3. L’oggetto del brevetto. Da elemento del riassunto a ruolo centrale nella definizione
3.9. Un’ulteriore conferma: l’autonomia delle rivendicazioni nel decreto correttivo del
Da ultimo il d.lgs. 131 del 2010 è andato a modificare tutti gli articoli in cui si faceva riferimento alle rivendicazioni, confermando la loro autonomia rispetto alle descrizione e coronando la loro centralità nella definizione dell’ambito della privativa.
In particolare agli artt. 51 e 53 CPI sono stati aggiunti i riferimenti alle rivendicazioni intese come elemento autonomo da allegarsi alla domanda di brevetto oltre a descrizione e disegni. Inoltre all’art. 52,1 CPI che nella versione del 2005 disponeva «La descrizione deve iniziare con un riassunto che ha solo fini di
informazione tecnica e deve concludersi con una o più rivendicazioni in cui sia indicato, specificamente, ciò che si intende debba formare oggetto del brevetto», è stato
definitivamente tolto il riferimento alla descrizione e alle rivendicazioni intese come parte finale di quest’ultima, oggi infatti le rivendicazioni hanno acquisito alla lettera della legge un ruolo autonomo, e il nuovo primo comma prevede che «nelle
rivendicazioni è indicato, specificamente, ciò che si intende debba formare oggetto del brevetto».
Un ulteriore modifica, minima ma rilevante, è intervenuta nel secondo comma dell’art. 52 CPI, ove è stato espunto il termine «tenore». Si ricorda che tale comma riproduceva fedelmente quanto previsto dall’art. 69 CBE nella versione originaria
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del 1973, e si è già trattato in precedenza dei problemi che il riferimento ai “terms of
the claims” aveva portato, con la conseguente emanazione di un Protocollo
interpretativo.
Orbene, la modifica avvenuta in Italia nel 2010 rispecchia quanto emendato in sede convenzionale nella versione di EPC 2000, ove all’art. 69 CBE, dalla formulazione «determined by the terms of the claims» sono state eliminate le parole «the terms of». Tale intervento, per quanto circoscritto, era parso senz'altro opportuno, in quanto l'espressione cancellata appariva da un lato del tutto ridondante e superflua, e dall'altro come già accennato aveva offerto il pretesto per introdurre delle difformità nelle traduzioni ufficiali dell'articolo, con conseguente disparità nella fase di interpretazione65. E proprio questa disomogeneità nelle traduzioni veniva indicata, nel Commento ufficiale a «EPC 2000», come il principale motivo della cancellazione dell'inciso, si affermava infatti: «Pursuant to Article 69(1) EPC 1973, the extent of
protection of a European patent is determined by the "terms" of the claims. The expressions "Inhalt", "terms", "teneur" are unclear in scope and do not have the same meaning in all three official languages. The corresponding provision in the WIPO Basic Proposal for a Patent Law Treaty of 1991 did not include this particular construction, and merely set forth that the extent of protection shall be determined by the claims. The reference to the "terms" of the claims can also be dispensed with in view of the Protocol on the Interpretation of Article 69 EPC. Article 69(1) EPC is therefore redrafted accordingly»66.
Da ultimo il decreto correttivo ha novellato l’art. 52 CPI introducendo il comma 3 bis sulla tutela degli equivalenti67, il quale prevede che « Per determinare l’ambito della
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Cfr. F.ROSSI, Teoria degli «equivalenti» ed «element by element approach» in epc 2000 e nel
nuovo art. 52, comma 3-bis, c.p.i., in Riv.dir.ind., 2010, p. 231.
66 Pubblicato nell'Official Journal EPO, 2007, n. 4 (ed. speciale), p. 68.
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La “teoria degli equivalenti” è una dottrina di interpretazione brevettuale in base alla quale un trovato formalmente diverso da un’invenzione brevettata viene comunque a quest’ultima equiparato e ricondotto nell’ambito di protezione del relativo di brevetto, configurando per tale motivo una contraffazione. Questa teoria tutela da un lato il titolare del brevetto in quei casi in cui il contraffattore non si avvalga di un trovato identico integrando una mera contraffazione letterale, bensì di un trovato diverso solo per varianti non significative da quello rivendicato, ma nella sostanza ad esso equivalente; dall’altro lato tutela anche i terzi concorrenti, poiché evita che uno di essi possa appropriarsi in esclusiva di un elemento di pubblico dominio solo perché rivendicato in un brevetto con varianti puramente nominalistiche.
La giurisprudenza italiana nell’applicare questa teoria si è avvalsa degli orientamenti maturati nelle corti straniere: in particolare i due criteri dominanti sono quello americano del “triple test” o “function-way-result”, per cui sussisterebbe contraffazione quando il trovato svolga sostanzialmente
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la stessa funzione, sostanzialmente allo stesso modo, e produca sostanzialmente lo stesso risultato di quanto brevettato, e quello di matrice tedesca sull’ovvietà, per cui è considerato equivalente quel trovato la cui soluzione tecnica risulta evidente all’esperto del settore rispetto alle conoscenze insegnate dall’invenzione rivendicata nel brevetto.
Da un'altra prospettiva si constata come l’approccio alla tutela degli equivalenti si sia evoluto pari passo con la rilevanza, prima marginale e poi assoluta, data al ruolo delle rivendicazioni. Inizialmente infatti la nostra giurisprudenza si è basata sul criterio della “central definition theory”, per cui il brevetto veniva considerato nella sua interezza, secondo un approccio “as a whole” che ne tutelava il nucleo essenziale inteso come concetto inventivo e idea di soluzione. Testimonia l’adozione di questa soluzione la sentenza “Forel”, (Cass., 13 gennaio 2004, n.257, in GADI, 2004, p. 69 ) in cui la Suprema Corte, per la prima volta chiamata a giudicare su un caso di equivalenza, ha affermato che «per valutare se la realizzazione accusata di contraffazione possa considerarsi
equivalente a quella brevettata, occorre chiedersi se, nel permettere di raggiungere il medesimo risultato finale, essa presenti carattere di originalità», e che l’interferenza deve essere accertata
verificando se la soluzione adottata dal prodotto che si assume contraffattorio «si trovi al di fuori
dell’idea di soluzione protetta». Sulla stessa linea si è posta anche Cass., 19 ottobre 2006, n. 22495,
in Giust. civ. Mass., 2006, 10, la quale focalizzando l’attenzione su quell’elemento considerato il “cuore” dell’invenzione, ha affermato che «Costituisce contraffazione del brevetto per invenzione
industriale il produrre e commercializzare anche solo le componenti di un macchinario brevettato se queste sono destinate univocamente a far parte di detto macchinario, con la precisazione che per aversi contraffazione in siffatte ipotesi occorre che le componenti del macchinario riprodotte e commercializzate siano quelle in cui essenzialmente si esplica la valenza inventiva di quanto brevettato» .
Un altro orientamento, di recente sviluppo, sposa il criterio statunitense della “peripheral
definition theory”, che va a limitare l’ambito di protezione a quanto espressamente rivendicato,
tutelando il brevetto secondo un approccio denominato “element by element”, secondo il quale non si considera come rilevante l’insegnamento alla base del brevetto, ma esclusivamente da un lato le caratteristiche del trovato specificamente rivendicate, e dall’altro le sostituzioni operate dal terzo, al fine di stabilire se queste siano o meno ovvie sulla base delle conoscenze del tecnico medio del ramo. Occorre tuttavia notare come l’utilizzo radicale dell’ultimo criterio sia stato criticato dalla dottrina per la mancanza di flessibilità, dato che l’indagine elemento per elemento rimarrebbe ancorata al modo in cui l’inventore ha presentato nelle rivendicazioni il trovato suddividendolo in un certo numero di caratteristiche costitutive, potendo portare ad esiti eccessivamente penalizzanti per l’inventore, in quei casi in cui uno degli elementi rivendicati risulti del tutto assente nella realizzazione del terzo, la quale si dimostri ugualmente e ovviamente idonea a conseguire la soluzione inventiva del brevetto.
Per questi motivi le sentenze più recenti fanno tesoro di entrambi gli insegnamenti sopracitati, ovvero che per stabilire se vi sia contraffazione per equivalenti rimanga essenziale la ricostruzione del concetto inventivo, ma sulla base esclusivamente di quanto previsto nelle rivendicazioni: in questo modo le eventuali varianti apportate dal terzo assumerebbero rilievo solo per accertare se portino al di fuori del concetto stesso, ovvie o originali che siano. Afferma in questo senso Cass. 30 dicembre 2011, n. 30234 (caso “Barilla”), in Dejure, che «in tema di contraffazione per
equivalenza…al fine di valutare se la realizzazione contestata possa considerarsi equivalente a quella brevettata, sì da costituirne una contraffazione, occorre accertare se, nel permettere di raggiungere il medesimo risultato finale, essa presenti carattere di originalità, offrendo una risposta non banale, nè ripetitiva della precedente, essendo da qualificarsi tale quella che ecceda le competenze del tecnico medio che si trovi ad affrontare il medesimo problema». Nello stesso senso si è pronunciata
nuovamente la Suprema Corte, in Cass., 12 giugno 2012, n. 9548, in Giur. comm., 2013, II, 826. In queste ultime due sentenze è stato fatto un passo ulteriore, sottolineando una questione finora taciuta nei precedenti giurisprudenziali in tema di equivalenza: viene infatti riconosciuto che perché si possa escludere la contraffazione per equivalenti non basta «l’originalità» di una variazione della seconda invenzione, cosi come era stato deciso nel caso “Forel”, ma originale deve essere l’invenzione nel suo complesso. Da tale rilievo viene in luce, nel caso di ovvietà delle variazioni,
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protezione conferita dal brevetto, si tiene nel dovuto conto ogni elemento equivalente ad un elemento indicato nelle rivendicazioni». Anche questa novità, oltre a confermare un
orientamento giurisprudenziale e dottrinale ormai consolidato, discende da quanto disposto in EPC 2000, precisamente nel nuovo art. 2 del Protocollo interpretativo all’art. 69 CBE.
4. L’oggetto del brevetto. Interpretazione delle rivendicazioni dopo il d.lgs.