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A cura dell’Associazione Culturale “Il Filò”, 3 ottobre 1 novembre

La mostra che si svolge a Villa Pisani è parte di un percorso espositivo di ampio respiro volto a documentare l’intera avventura creativa di Miro Romagna, artista veneto tra i protagonisti della pittura veneziana del Novecento scomparso nel 2006. L’evento infatti si compone di tre “stazioni”che prendono vita a Vittorio Veneto in tre luoghi differenti - la Galleria d’Arte “Maria Fioretti Paludetti” di Villa Croze, l’Oratorio cenedese di San Paolo al Piano e la Chiesetta serravallese di San Giuseppe - che ospitano rispettivamente le opere di esordio dell’artista, una selezionata raccolta della produzione matura e alcuni saggi di arte sacra. Il Museo Nazionale di Villa Pisani rappresenta quindi la quarta “stazione” di questo elaborato viaggio, ed è dedicata all’attività ritrattistica dell’artista, importante sia per la qualità pittorica e la resa fisionomica sia per il suo valore documentario in grado di fissare i tratti di quegli intellettuali protagonisti della Venezia del tempo.

“La disseminazione spaziale ha una sua ragione simbolica: allude allo scambio che è incessantemente intervenuto fra la ‘capitale’, Venezia, dove gli artisti veneti trovavano i naturali punti di riferimento, di formazione e di prova (l’Accademia di Belle Arti, Ca’ Pesaro, Palazzo Carminati, gli spazi espositivi della Fondazione Bevilacqua La Masa) e la terraferma trevigiana e bellunese. […]: è grazie a questo costante rapporto fra laguna, pianura, collina e montagna, che si è formata ed evoluta, almeno fino agli anni Sessanta del Novecento, la Koiné linguistica che anima il lungo ‘romanzo’ dell’arte veneta contemporanea”166.

A Villa Pisani, inoltre, prende vita un interessante confronto fra un cospicuo numero di ritratti pittorici dei suoi amici artisti che Romagna esegue tra gli anni Sessanta e Ottanta, e i ritratti fotografici degli stessi realizzati dal fotografo veneziano Francesco Barasciutti. I ritratti di Miro Romagna sono definiti dal critico Enzo Di Martino “fuminanti”167 per

freschezza e introspezione e rappresentano una sorta di omaggio ai protagonisti della vita intellettuale veneziana della seconda metà del Novecento. Di Miro Romagna sono esposti i ritratti di Eugenio da Venezia, Giovanni Nei Pasinetti, Giampaolo Domestici, Neno Mori, “L’amico Bassuto”, Paolo Rizzi ed Enzo Di Martino solo per citarne alcuni, mentre l’esposizione di Barasciutti conta circa una quindicina di ritratti fotografici di pittori tra cui Pizzinato, Gianquinto, Licata ed altri. Si tratta di un interessante confronto tra due 166 F. GIRARDELLO, Miro Romagna, spadaccino felice e inattuale, in Miro Romagna da Palazzo Carminati ai giorni

nostri, catalogo della mostra, Mogliano Veneto (TV), Arcari, 2009, p. 6.

diversi linguaggi espressivi. I ritratti del pittore, fortemente realistici grazie ad una pennellata vivace, piena ed espressiva sembrano voler lanciare una sfida alla fotografia. Quello di Romagna è un linguaggio animato che attraverso il colore e il segno guizzante e vitale sembra cogliere l’essenza psicologica del soggetto ritratto.

“Romagna ha cercato di adattare non soltanto il suo animus, ma il suo stesso polso, cioè la tensione fisica, alle peculiarità del ritrattando, alla maniera dei grandi artisti del passato. In parte,[…] c’è riuscito: lo si vede dal ductus stesso della pennellata, che ora è frenetica, eccitata, ora invece indugia e quasi si coagula nello sforzo della resa. Romagna appartiene alla schiera degli schermitori della pittura (da Frans Hals a Boldini) ed è quindi portato alla stoccata virtuosistica, al puro effetto pittorico. Questo è un pregio ma anche un limite. Non sempre infatti egli sa frenare la sua esuberanza: e se l’istinto lo porta talvolta ad azzeccare di prim’acchito l’opera (vedi il ritratto di Domestici), altre volte la bravura gli fa passare il segno. Ma anche in taluni quadri più mediati e fusi […] il tocco rapido e guizzante giunge ad esiti notevoli sia sotto il profilo psicologico che sotto quello, propriamente pittorico”168.

BIOGRAFIA

Miro Romagna nasce a Venezia nel 1927 e inizia giovanissimo la sua avventura creativa nel dinamico mondo artistico veneziano esponendo i suoi primi lavori nel 1942, poco più che quindicenne. Paolo Rizzi, critico, giornalista ma soprattutto amico dell’artista, ricorda che Romagna “esponeva nel 1942, a poco più di quindici anni, in Sala Napoleonica proprio accanto ad un maestro come Cadorin!”169. Del 1949 la sua prima collettiva all’Opera

Bevilacqua La Masa e nel 1953 è invitato ad esporre alla Little Gallery di Seattle. Nel 1956 “Romagna partecipa al prestigioso Premio Marzotto vincendo (è un caso clamoroso 168 P. RIZZI, Mostre d’arte: gli amici di Romagna, da “Il Gazzettino”, Venezia, 14 - 12 - 1972, s. p.

169 P. RIZZI, Una pittura nostalgica e frenetica, 1991, in S. ROMAGNA (a cura di) Miro Romagna 1927-2006, Padova, Ditre Group, 2007, p. 9.

per un giovane) il terzo premio. Rammemoriamo: primo un maestro come Felice Carena, secondi ex aequo Crippa e Dova, terzi ex aequo Pirandello e Romagna.”170 ricorda ancora Rizzi.

Un inizio quindi contraddistinto da importanti riconoscimenti pubblici, tanto più apprezzabili se si considerano le convulse vicende artistiche destinate a sconvolgere l’ambiente lagunare tormentato fra “tardiva assimilazione delle avanguardie storiche e […] l’affermazione delle neoavanguardie”171. Tuttavia le grandi

speranze e gli entusiasmi del periodo iniziale sembrano negli anni successivi in qualche modo venire disattesi. Le scelte artistiche di Romagna sono votate ad una ricerca silenziosa e paziente che affonda le sue radici nella grande tradizione veneziana della natura morta, del paesaggio e soprattutto della felice pennellata e dell’intenso tonalismo. Scelte che tuttavia spesso “lo hanno relegato in un ambito malinconicamente nostalgico e crepuscolare […] finendo per alimentare la vulgata secondo cui Romagna […] può essere letto, […], come l’epigone di Neno Mori, il maestro che il nostro autore ha sempre venerato e che a sua volta è stato troppo sbrigativamente incasellato fra gli ultimi artefici di un vedutismo prezioso, ma sostanzialmente di ‘maniera’”172. Nella sua concezione dell’arte Romagna non cerca le grandi occasioni

espositive, ma si dedica piuttosto con gusto artigianale ad una incessante produzione pittorica che lo assorbe totalmente. “È come una sferzata di energia. […] dai quadri emana sempre questo colore acceso, fresco, che scorre […]. È un impossessarsi goloso e avido dell’aria, della luce, dell’atmosfera. In questo senso Romagna è un autentico spadaccino della pittura: il suo gesto è veloce, addirittura frenetico, ma pur sempre preciso, puntuale.”173.

170 Ibidem

171 F. GIRARDELLO, Miro Romagna, spadaccino felice e inattuale, 2009, op. cit., pp. 7-8. 172 Ibidem

173 P. RIZZI, Una pittura nostalgica e frenetica, 1991, in S. ROMAGNA, 2007, op. cit., p. 8.

La prima produzione dell’artista si orienta alla natura morta, alla ritrattistica senza sottovalutare la produzione sacra. “I paesaggi veneziani degli anni Settanta e Ottanta, a cui si lega la sua più immediata notorietà sono, semmai, la sintesi di un percorso che, nel suo primo segmento, è stato pressoché dimenticato”174.

Tra il 1956 e il 1962 Romagna occupa a Palazzo Carminati un alloggio-studio che gli viene assegnato dall’Opera Bevilacqua La Masa. A questo periodo appartiene la serie dei

Tetti da Palazzo Carminati in cui Romagna sperimenta una tavolozza più cupa fatta di

una materia ricca e pastosa, stesa con una pennellata quasi aggressiva frutto di profonde inquietudini interiori. “Va sottolineato che l’adesione a tematiche diverse da quelle degli esordi non costituisce, per Romagna, un passaggio determinato dal puro ‘spirito del tempo’. Il cambio di registro tematico gli consente invece di ampliare l’orizzonte di indagine, liberandosi definitivamente dalla costrizione del soggetto ‘sublime’, per concentrarsi sull’autonomia dei valori pittorici e compositivi”175.

Sembrano invece una sorta di ritorno e ripensamento su tematiche trascorse le opere degli anni Settanta, durante i quali la sperimentazione dell’artista appare “disordinata” e priva di una precisa e coerente linea espressiva che sembra corrispondere alla ricerca di un linguaggio nuovo scevro da appartenenze prestabilite. Il suo orientarsi quindi entro “un dipingere ordinato secondo canoniche suddivisioni per soggetto”176 che si registra negli anni

Settanta sembra una sorta di incapacità di trovare una sintonia con la “contemporaneità”. “Di vero c’è che, alla fine degli anni Settanta, Miro Romagna effettivamente si avvia a diventare un pittore inattuale. Confermerà questa opzione negli anni successivi, e ne rimarrà fedele fino alla fine”177. L’inattualità della grande pittura figurativa veneziana.

174 F. GIRARDELLO, Miro Romagna, spadaccino felice e inattuale, 2009, op. cit., p. 9. 175 Ivi, p. 15.

176 Ivi, p. 16. 177 Ibidem