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A cura di Daniele Resini e Myriam Zerbi, 28 marzo 3 novembre

Evento promosso in collaborazione con IRE425 di Venezia

Nell’ambito di una ricognizione sull’Ottocento veneto, che caratterizza ormai da tempo l’offerta espositiva del complesso museale di Stra, il piano nobile del Museo Nazionale di Villa Pisani ospita una nuova rassegna antologica, con 150 foto, sul lavoro del fotografo veneziano Tomaso Filippi, brillante e creativo pioniere della fotografia in Italia, attivo dalla seconda metà dell’Ottocento fino ai primi anni Venti. Le foto, che provengono dall’ampio fondo conservato presso L’IRE (Istituzioni di Ricovero e di Educazione), sono suddivise in cinque sezioni tematiche, cui si aggiunge una proiezione su schermo di trenta stereoscopie,426 che consentono di trovarsi “dentro” una Venezia nel passaggio tra

Ottocento e Novecento, il che aiuta ad approfondire la conoscenza della fotografia storica e il suo ruolo nella cultura figurativa veneta. A completare la mostra un’esposizione di macchine fotografiche e attrezzature utilizzate dal fotografo veneziano.

La prima sezione della mostra, che apre il percorso espositivo, è costituita principalmente da vedute - souvenirs. Dalle più datate, realizzate con lo Stabilimento veneziano Naya con i suggestivi paesaggi al chiaro di luna di grande formato, ritratti di una Venezia spettrale e inanimata, fino agli scatti più “moderni” nei quali si assiste ad un progressivo spostarsi

dell’interesse dell’autore verso il paesaggio animato. Questa produzione iniziale, a cavallo dei due secoli, si caratterizza di inquadrature tradizionali, ancora fortemente condizionate da macchinari pesanti che impongono pose relativamente lunghe, nelle quali però si affacciano sempre più le figure che animano questi spazi diventandone protagoniste. Sono stampe nelle quali l’obiettivo fotografico fissa una realtà 425 Istituzioni di Ricovero e di Educazione - Fondo Tomaso Filippi.

426 Tecnica di realizzazione e di visione di immagini con l’illusione della tridimensionalità, inventata nel 1832 che può essere considerata la prima versione del 3D.

Venezia, Castello, processione a San Francesco de la Vigna, 1894-1897, stampa su carta all’albumina colorata a mano.

che viene successivamente modificata in laboratorio, creando così effetti notturni e pittoreschi. Si tratta di stampe “all’albumina”427 ritoccate con colorazione a mano in

un’ottica puramente commerciale. “Totalmente trasfigurate con pennellate dense in forma di quadri impressionisti […] soggiaciono al trattamento pittorico alla moda e si trasformano per questo verso in piccoli quadretti, come li definisce lo stesso Filippi nelle sue fittissime minute di corrispondenze con clienti e fornitori, stereotipi della Venezia cadente e romantica”428.

Venezia, d’altro canto, è da tempo tappa essenziale del Grand Tour, attirando visitatori e artisti provenienti da tutto il mondo desiderosi di acquistare vedute ricordo della città, che con le sue architetture e monumenti diviene presto luogo di indagine privilegiato per i primi fotografi. I quali, nel realizzare le loro immagini, hanno come riferimento la pittura, e nel desiderio di arricchire di artisticità “la colpevole meccanicità dell’atto fotografico”429,

non esitano ad intervenire sulle stampe dipingendo “le carte in modo da aggiungere, con chiari di luna, i notturni, la neve, e i cieli annuvolati, quel tocco di poesia e sentimento che sembra mancare alle stampe in bianco e nero”430.

Il Paesaggio Ottocentesco della prima sezione della mostra a Villa Pisani si anima via via di figure in movimento, grazie anche all’utilizzo di strumenti più moderni che riducono i tempi di esposizione. Questi soggetti hanno perso la staticità della produzione precedente e, cominciando ad affollare la città con i momenti della quotidianità, delle regate e processioni, trasformano l’immagine in un “racconto fotografico”. E in questo senso è interessante osservare due scatti che evidenziano scritture diametralmente opposte: in uno, alcune infilatrici di perle

- impiraresse - ordinatamente disposte,

sembrano figure allegoriche fissate in una città che appare fuori dal tempo; nell’altro, donne simili sono colte in un momento della fatica quotidiana, mentre in primo piano spicca la risata di una ragazza che, per un 427 Un tipo di stampa fotografica inventata nel 1951 dal francese L. D. Blanquart-Evrard. Nella carta all’albumina

(albume d’uovo sbattuto) il cloruro d’argento veniva a trovarsi in uno strato sottile sulla superficie della carta albuminata con la formazione di immagini nitide e brillanti. Da l’Enciclopedia, Roma, Ed. L’Espresso, 2003, vol. 8, p. 480.

428 D. RESINI, Fra Ottocento e Novecento, in D. RESINI, M. ZERBI, (a cura di) Venezia tra Ottocento e Novecento nelle

fotografie di Tomaso Filippi, Roma, Ed. Palombi, 2013, p. 15.

429 G. D’AUTILIA, Fotografi e pittori, in Storia della fotografia in Italia, Torino, Ed. Einaudi, 2012, p. 144.

430 M. ZERBI, Fotografia e pittura, in D. RESINI, M. ZERBI, (a cura di) Venezia tra Ottocento e Novecento, op. cit. p. 21.

Venezia, Castello, corte Soresina con impiraresse al lavoro, 1894-1897.

momento, sospende il lavoro.

È un periodo, questo, di grande transizione, in cui la fotografia, che si sta avviando a diventare importante strumento di comunicazione, cerca sempre più di liberarsi dall’originale legame con la pittura, e in particolare con il vedutismo settecentesco, per sperimentare in forme autonome la propria capacità di rappresentazione del reale. “È in questa ricerca costante dell’elemento realistico che si manifesta una rottura in qualche modo irreversibile degli schemi precedenti […] le immagini ricordano le rappresentazioni delle arti figurative contemporanee, non in forma imitativa ma come una manifestazione parallela, e non subalterna, […] di una nuova forma di rappresentazione della realtà”431.

Il rapporto che lega fotografia e pittura in questo scorcio di secolo emerge chiaramente nella terza e nella quarta sezione della mostra. Sono gli anni in cui Verga ha da poco pubblicato I Malavoglia e l’interesse del mondo artistico e letterario si sposta verso la realtà delle classi più umili: una realtà che nelle opere dei pittori veristi diventa “racconto sociale”. Filippi collabora con questi pittori suoi contemporanei non solo per riproduzioni o fotografie di allestimenti di mostre - è il primo fotografo ufficiale per la Biennale sin dal 1895 -, ma si cimenta anche con la composizione di scene di “genere”. Sono foto fatte a uomini e donne presi dal popolo, che Filippi ritrae in pose diverse all’interno del suo studio. Sono modelli improvvisati che si stagliano contro un rudimentale sfondo, oppure sono immagini di una Venezia minore, lontana dal monumentale centro cittadino, dove tra calli, campielli e isole, affiorano le misere condizioni dei popolani intenti nelle loro attività quotidiane, grazie ad inquadrature inedite, in diretta senza alcun artificio alla ricerca del vero. Sono foto ai “confini del reportage” come le definisce il curatore della mostra Daniele Resini. “Su queste figure simboliche […] lavorano i pittori, traggono spunti, ne riproducono i tratti e le posture”432.

Parallelamente ai suoi interessi per le vedute e per la fotografia “realista” Filippi collabora con musei e gallerie, con istituzioni e riviste specializzate per le quali lavora 431 RESINI D., Fra Ottocento e Novecento, in RESINI D. - ZERBI M. (a cura di) Venezia tra Ottocento e Novecento, op.

cit. p. 15. 432 Ivi p. 16.

Venezia, studio di figura in interno popolano, 1894-1897.

come “fotogiornalista”, fissando importanti momenti “pubblici” come la suggestiva Regata Storica del 1984 ripresa da Ca’Foscari o le macerie del campanile di San Marco dopo il crollo del 1902 e la cerimonia inaugurale per la sua ricostruzione il 25 aprile 1912.

Si arriva cosi agli anni Venti, gli anni della Grande Guerra. Da un lato diventano protagonisti i luoghi della socialità, gli alberghi del Lido, dall’altro le Soprintendenze con le loro opere di protezione sui monumenti, i reparti delle fabbriche, i cantieri, le colonie di sfollati e gli ospedali militari, che chiamano Filippi per documentare la loro attività e la loro realtà attraverso un linguaggio fatto di immagini, in grado di trasmettere un messaggio fruibile da un pubblico sempre più vasto. In questo periodo la fotografia assume sempre più significato di documento senza però trascurare il suo valore artistico, attestandosi a tutti gli effetti come moderno mezzo di comunicazione. A chiudere la mostra due foto della Reale Fotografia Giacomelli, il più importante studio fotografico cittadino tra le due guerre, in continuità stilistica con l’opera di Filippi. Attraverso i suoi scatti racconta le trasformazioni urbanistiche e le grandi fabbriche di Porto Marghera, come nelle due immagini esposte, ma anche gli ospedali, la Mostra del Cinema e le vicende del regime fascista.

Nella Casa del Giardiniere nel parco della Villa una proiezione di trenta stereoscopie offre immagini in cui l’effetto tridimensionale, ottenuto attraverso una particolare tecnica di sovrapposizione delle figure, ne accentua il movimento e la profondità, offrendo inquadrature che per soggetto e composizione segnano una definitiva rottura con la tradizione della fotografia dell’Ottocento.

BIOGRAFIA

Tomaso Filippi, veneziano (1852 - 1948) proveniente da una famiglia di tipografi, si forma all’Accademia di Belle Arti diplomandosi nel 1872. Il suo lavoro inizia già nel 1870 quando viene assunto nello Stabilimento Naya, il più importante studio fotografico di Venezia attivo nella seconda metà dell’Ottocento e nei primi anni dieci del secolo successivo. Ne diviene direttore nel 1882, per lasciarlo nel 1895: ...Come avranno inteso dopo 25 anni ed un mese

ch’io ero operatore e direttore dello stabilimento Naja, sono venuto nella determinazione di lasciare la casa per varie ragioni, una delle quali perché il nuovo erede non se ne intende affatto della partita. Avendo per un’epoca così lunga lavorato sempre con il massimo amore, non è il caso di cambio la mia professione, per cui ò stabilito di organizzarmi per poter senza pretesa d’uno stabilimento lavorare per commissioni da per me…433

Avvia una attività di fotografo per conto proprio in un locale in Piazza S. Marco, sotto le Procuratie Nuove. Nel 1907 si trasferisce in Piazzetta dei Leoncini dove apre un negozio di “specialità veneziane” in cui, oltre alle fotografie di vedute della città e delle isole della laguna, i turisti possono trovare souvenirs di ogni genere.

L’opera di Tomaso Filippi si inserisce in un’epoca in cui la fotografia si sta affermando a tutti gli effetti come importante mezzo di comunicazione. Le vedute realizzate per mezzo della “dagherrotipia”, un po’sfocate ma fedeli riproduzioni del vero, che possono essere riunite in fotografici album ricordo “fanno la felicità dei turisti e la fortuna dei fotografi”. In uno dei poemetti più celebri di Guido Gozzano L’amica di nonna Speranza434 il poeta,

sfogliando uno di questi album, rinviene la fotografia di un’amica della nonna, appunto un dagherrotipo scattato nel 1850 con figure sognanti in perplessità: sono le prime foto- ritratto che fissano ogni particolare del viso e non rinunciano ad apparire alla stregua di un dipinto da incorniciare, che accanto a Venezia ritratta a musaici e agli acquerelli un po’

scialbi sono le buone cose di pessimo gusto che adornano i salotti delle famiglie “dabbene”

del tempo.

Nella sua attività di fotografo, Filippi sperimenta tutte le differenti discipline offerte da questa professione lavorando su commissione di enti ed industrie, collaborando con studiosi e pittori e con le più accreditate riviste del tempo, tra cui “La Tribuna Illustrata”, “Natura e Arte”, “Ars et Labor”, “Emporium”. A Venezia è in contatto con le più importanti istituzioni d’arte, dal Museo Correr alla Querini Stampalia; sono suoi clienti alcune delle personalità più influenti del mondo dell’arte: Antonio Fradeletto, autorevole Segretario della Biennale e Nino Barbantini creatore delle innovative mostre alla Bevilacqua la Masa, ma anche storici dell’arte e studiosi come Vittorio Pica, Pompeo Gherardo Molmenti, Ugo Ojetti e Bernard Berenson. Sin dal 1895, cioè dall’anno di nascita dell’Esposizione

internazionale d’Arte di Venezia, lavora per la Biennale fotografando padiglioni e

allestimenti, riproducendo le principali opere esposte, messe in vendita per i visitatori, per ben dodici edizioni.

Il “ritratto”, genere peraltro molto diffuso negli studi fotografici del tempo, lo impegna 433 T. FILIPPI, lettera autografa indirizzata alla ditta Fratelli Alinari di Firenze in data 15 febbraio 1895. Archivio IRE,

fondo Tomaso Filippi, A/10,3.

434 A. GIANNI, M. BALESTRERI M., A. PASQUALI, Antologia della Letteratura Italiana, Messina - Firenze, Casa Editrice G. D’Anna, 1975, Vol. III, Parte II., p. 580.

solo marginalmente. Le “vedute” sono quasi un “atto dovuto” in quanto rispondono alle esigenze di uno dei mercati più fiorenti a Venezia, quello dei turisti che “assetati di italianità” sono “voraci consumatori di icone veneziane a basso prezzo”, che trovano nel suo negozio anche una ricca rassegna di fotografia “pittorialista”, dove il realismo delle inquadrature è forzato dall’utilizzo di viraggi e carte colorate ma, soprattutto, dalla coloratura diretta con tempere e aniline fatta direttamente sulle stampe fotografiche, a imitazione della pittura. I suoi interessi però lo portano, verso la fine del secolo, ad allontanarsi dalle “trasfigurazioni ottocentesche della realtà veneziana” dedicandosi ad un genere più realista favorito anche dall’introduzione di nuovi strumenti tecnici più versatili, ricorrendo spesso a macchine portatili, in cui le immagini anche se di minore qualità e definizione, permettono una nuova rappresentazione della realtà: il suo “fotogiornalismo” lo spinge ai confini del moderno

reportage con immagini di una Venezia antimonumentale, fatta di miseria e di povera

gente intenta al faticoso lavoro quotidiano, ma anche testimone di importanti momenti pubblici, di fatti di cronaca, delle vicende della guerra e degli irreversibili cambiamenti economici e sociali che il nuovo secolo stava portando. Uno spaccato della città a cavallo tra Ottocento e Novecento che assume un innegabile valore di documento storico.

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