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Presentazione critica di G Monti, 14 aprile 25 maggio

Nella mostra di Villa Pisani sono esposte quindici grandi tele e due installazioni realizzate appositamente da Renato Pengo per questa occasione, opere che illustrano gli esiti più recenti della sua ricerca artistica. Traghettare il tempo rappresenta un ciclo di lavori nei quali Pengo si interroga ed esprime la propria personale riflessione sulla condizione dell’uomo moderno “stretto tra l’imperialismo tecnologico, che governa l’universo visivo, e la percezione della propria identità che tenta di conservare lucidità di giudizio e facoltà di scelta”134. Una tecnologia, quindi, che paradossalmente dà molto, ma tende

a prendere il sopravvento togliendo all’uomo la possibilità di essere critico e di provare emozioni. Per Pengo, infatti, essere artista significa prima di tutto “saper produrre idee, osservare da individuo pensante il mondo che lo circonda, sperimentare e ricercare fino al raggiungimento della realizzazione nel modo più adatto ed efficace”135.

In questo percorso la pittura si tramuta da momento di piacere a strumento di una lucida e consapevole indagine del nostro tempo. Tempo tecnologico, appunto, sentito come l’ultimo grande passaggio epocale. La pittura, per Pengo, può quindi trasformare “un travaglio analitico in opera d’arte”136.

Da qui nasce il lavoro di Pengo che si profila come il risultato della percezione che l’artista ha della realtà contemporanea: fagocitante, capace di inghiottire tutto, spazio, tempo, luoghi e idee che poi vengono restituiti sotto forma di immagini svuotate di senso e di valore.

Da questa visione nascono anche le opere esposte nello spazio delle Serre di Villa Pisani: su una delle pareti di fondo, ad accogliere il visitatore, l’artista dispone una installazione con le silouette di piombo di quella che è la “sua umanità”, sorta di replicanti impauriti ed amorfi, che galleggiano sullo sfondo del tempo lasciando deboli tracce del loro passaggio. Come afferma lo stesso Pengo queste sagome rappresentano “una umanità svuotata 134 dal comunicato stampa, mostra Renato Pengo, Museo Nazionale di Villa Pisani, Stra, 18 - 4 - 2008, su www.undo.

net/it/mostra/69938 [online].

135 E. FERRETTO, Renato Pengo: Presenze transitorie, in “AreAArtE”, rivista trimestrale,Thiene (VI), Martini Ed., 2013, nr. 14, p. 8.

136 in Pengo torna sull’uomo , da “La Nuova Venezia”, 18 aprile 2008, p. 49.

di tutti i suoi significati, dei suoi valori e della sua identità”, un’umanità senza più speranze. Sulle superfici monocrome di colore puro delle tele dipinte, tra punti che colano e si ripetono - allusione al foro che collega con l’infinito e diviene motivo di rinascita - fa la sua comparsa l’uomo, presente sulla scena con la sagoma della testa: “Le sagome che emergono da questa mancanza di gravità spaziale sembrano uscite dal teatro delle ombre. Infatti sono profili senza modello, ombre uscite dal nulla […]. Queste ombre che si mostrano per svanire rappresentano l’ambito essenziale dell’artista, il costante passaggio che contraddistingue la condizione dell’attesa: la presenza dell’attesa nella presenza dell’assenza. Queste ombre tenute dal vuoto sono destinate a farvi ritorno”137.

BIOGRAFIA

Renato Pengo nasce a Padova nel 1943, dove sviluppa la sua formazione all’istituto d’Arte. Negli anni Sessanta il suo lavoro, caratterizzato da una pittura ancora informale, si emancipa dalle premesse dell’approccio scolastico e dalla metà degli anni Settanta sperimenta linguaggi diversi.

Nel 1975 è tra i fondatori di Azionecritica la cui attività culturale si svolge nei quartieri di Padova: performance, happening, fotografia, murales, materiali industriali e interventi diretti sul sociale per arrivare negli anni successivi a focalizzarsi anche sull’antropologia e sulla psicoanalisi: la “libertà” mentale diventa per lui urgenza vitale. Da questa ricerca nascono opere forti, spiazzanti e destabilizzanti. Strutture seriali rigorosamente cerebrali che lo portano ad eliminare quasi totalmente il colore e alla registrazione quasi ossessiva di caratteri di una società alienante e programmata. “Così nel 1975 l’artista crea un eloquente trittico dove accosta tre grandi cervelli commentati dalla frase: ‘Non siamo più

esseri umani’ una forte critica che suona da monito a cercare non la via più semplice ma

la più vera, quella che apre la mente”138. Quest’opera è il primo passo che lo conduce negli

anni successivi a ricerche sempre più serrate e sugli effetti che l’overdose di tecnologia e consumismo ha sulla mente umana. Una sorta di alienazione alla quale la società attuale è 137 P. RESTANY, Lo spirito della materia, 1996, suwww.renatopengo.it/prefazione.html [online].

138 E. FERRETTO, Renato Pengo: Presenze treansitorie, 2013, op. cit., p. 8.

costantemente sottoposta, a causa di una bulimia di immagini provenienti da televisione, computer e carta stampata che quotidianamente ci travolge.

La presa di coscienza degli effetti destabilizzanti che questa tecnologia invasiva può provocare, minando la capacità dell’individuo di pensare autonomamente e di immaginare “ciò che non è visibile”, lo spinge negli anni ’90 ad un esperimento: per mesi, ogni notte per diverse ore si porta davanti alla televisione a fare zapping. Ne deriva una situazione di totale saturazione nella quale interrompere l’immagine televisiva per entrare in un canale non sintonizzato crea un salto di visione in un vuoto energetico blu, il blu di Klein trascendente, immateriale e infinito che assume valore liberatorio. “Nasce così lo Shock cioè la frantumazione, la cancellazione dell’immagine, lo stop visivo, che concede un momento di sospensione dal quale finalmente la mente liberata può far nascere ‘nuovi

giacimenti della percezione e della comunicazione’”139. Le conseguenze immediate di questo

esperimento sono dapprima la realizzazione di video, poi in un passaggio successivo il cosiddetto “effetto neve”: l’assenza di segnale di tipo analogico assume consistenza materica e “si fa materia pittorica assumendo una propria significazione palpabile, acuita più tardi dall’inserimento di una scrittura pre-linguistica o post-atomica; una simbolica involuzione umana per riscoprire la valenza del ‘segno’che torna ad essere testimonianza della presenza e del passaggio dell’uomo.”140.

L’assenza di visione si carica di un nuovo valore immaginativo ed energetico che permette una rinnovata corrispondenza con la misura umana. In questa direzione si svolge il suo percorso artistico che si sviluppa per cicli di ricerca: Autoritratto, Lacrime, Traghettare il

Tempo, fino al più recente Shock presentato nel

2012 ai Musei Civici agli Eremitani di Padova, dove il confronto tra arte contemporanea e arte storicizzata crea un effetto destabilizzante. Pur esplorando sempre nuove vie espressive Pengo mantiene una coerente continuità di orientamento in cui cerca di fondere un raffinato livello di analisi concettuale con una sapiente realizzazione estetica.

139 Ivi, p. 9. 140 Ivi, p. 8.