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VENEZIANO CONTEMPORANEO

A cura di Myriam Zerbi e Costantino D’Orazio 28 marzo 26 settembre

VENEZIANO CONTEMPORANEO

A dimostrazione del fatto che Venezia è ancora oggi un vivace centro creativo capace di influenzare o quantomeno stimolare la ricerca delle nuove generazioni ormai proiettate verso il futuro, la mostra accoglie cinque giovani artisti accomunati tra loro, e con l’”Ottocento Veneziano” da una particolare relazione con la città lagunare.

Chiamati a confrontarsi con lo scenario del parco di Villa Pisani, questi artisti scelgono opere realizzate per l’occasione che rappresentano quindi il frutto di un dialogo e di uno scambio che si instaura tra creazioni inevitabilmente connotate in senso anticlassico e il contesto naturale e architettonico settecentesco del parco della Villa. I cinque artisti disegnano un percorso espositivo che coinvolge luoghi spesso interdetti al pubblico, che grazie alle installazioni possono così svelarsi e offrirsi a nuove interpretazioni.

Giorgio Andreotta Calò individua nella Ghiacciaia del Boschetto il luogo dove esprimere, attraverso il suo lavoro, le sensazioni e le percezioni che l’accostamento a questo particolare contesto produce. La Ghiacciaia, immersa nella zona più intima e “romantica” del parco, ispirata alla “poetica dell’irregolare [...] e lontana dalle regole geometriche del parco settecentesco”332 , è un piccolo vano ipogeo dissimulato da una montagnola su cui una

“finta cascata lavica imprigiona busti e teste di dee e mostri”333. L’ingresso, una minuscola

facciatina in mattoni che compare dal vano interrato, sembra introdurre in una dimensione sepolcrale e inquietante: ed è questa sensazione a guidare Andreotta Calò nella creazione della sua installazione. Spunto iniziale è una riflessione che, attraverso un percorso a ritroso nel tempo, conduce alla nascita della splendida Villeggiatura che si erge maestosa dalla sponda del Brenta specchiandosi sulle sue acque, a modello dei principeschi palazzi riflessi sul Canal Grande che tanto fascino esercitano per turisti ed artisti dal vedutismo settecentesco all’impressionismo di Monet. Nel fondo della ghiacciaia Andreotta Calò dispone una superficie d’acqua su cui “si specchia la volta interna, che risulta così prolungata in una immagine più trasparente e diafana, nella quale la riflessione restituisce la forma, ma non la consistenza”334. Il suono rielaborato di una goccia concorre a creare

un’atmosfera di sospensione aprendo la strada a molteplici possibilità di interpretazione. “Figlio di un’epoca in cui l’arte da visione si è fatta anche esperienza, Andreotta Calò ha voluto ricostruire l’effetto della riflessione sfruttando l’artificio della tecnica, utile a riportare la ghiacciaia all’origine della sua funzione in una situazione del tutto virtuale”335.

Elisabetta Di Maggio riconosce nella Coffee House il luogo privilegiato dove dar vita 332 A. FORNEZZA, G. RALLO, Villa Pisani, guida, Oriago (Ve), Medoacus, 2000,p. 62.

333 Ibidem

334 C. D’ORAZIO, Crescere da artista a Venezia, in C. D’ORAZIO (a cura di),Veneziano Contemporaneo, catalogo della mostra, Roma, TUTTOALTO, 2010, p. 7.

alla sua ispirazione. Mediante l’uso del bisturi l’artista incide e intaglia con pazienza ed estrema cautela le foglie prese dall’edera che si inerpica sulla collina su cui sorge il piccolo edificio. I rami sembrano emergere dalla grata che comunica con il sottosuolo e con la loro “strisciante raffinatezza” invadono l’intero ambiente. Le foglie, come piccoli e delicati merletti di Burano, o “i muri di Venezia che accolgono gli strati della storia”336, reagiscono alla luce che li attraversa

e si frammenta creando un suggestivo gioco di luci e ombre che si modifica nel tempo. È proprio con la dimensione temporale che Di Maggio si confronta in maniera duplice: nel “processo creativo è l’elemento che determina la trasformazione della materia”337 e

proprio per il tempo ad essa dedicato le conferisce preziosità, una volta installata l’opera - quasi sottoposta ad una volontà alchemica - ne determina il mutamento che si proietta sull’ambiente.

Cercando un luogo con il quale il suo lavoro possa interagire e al contempo evocare fasti e miti passati Margherita Morgantin si sofferma sul Labirinto. Nel dedalo vegetale settecentesco nove cerchi concentrici di bosso sono variamente interrotti da segmenti

perpendicolari che creano piccoli luoghi appartati per incontri spesso amorosi. Nel Settecento veneto incline al gioco e ai fasti, predomina sulle altre la componente ludica, amorosa e illusoria. Morgantin colloca in un punto senza uscita del Labirinto - adatto a schermaglie d’amore secondo il codice settecentesco - due maniche a vento, che posiziona su aste lunghe sei metri. Le maniche seguono la direzione 336 E. DI MAGGIO nell’intervista contenuta in C. D’ORAZIO (a cura di),Veneziano Contemporaneo, 2010, op. cit., p. 53. 337 C. D’ORAZIO, Crescere da artista a Venezia, 2010, op. cit., p. 7.

Elisabetta Di Maggio, Senza Titolo, 2009-2010, foglie di edera stabilizzate e tagliate a mano con bisturi.

Margherita Morgantin, Senza Titolo#2, in un punto del Labirinto, 2010, maniche a vento, ferro dipinto.

del vento: se questo “spira da nord-est in modo costante per alcuni minuti, potrebbe accadere che le due maniche entrino l’una nell’altra, diventando una cosa sola”338. Una metafora di incontri imprevisti

e intensi che trova nel Labirinto la sua più suggestiva legittimazione.

Anche Arcangelo Sassolino, attraverso il suo lavoro, evoca un incontro che per la natura degli elementi coinvolti si “trasforma in uno scontro tra natura e macchina, generando una tensione che arriva al collasso”339. È all’interno del Bagno di Beauharnais,

cassa armonica ideale, che l’artista sceglie di installare il suo “stridente contrasto”: un pistone spinge con una pressione superiore a centosettanta atmosfere contro una trave di legno, che oppone resistenza. La macchina che agisce con velocità e direzione costanti porta il legno - che si ribella con lamenti e rumori strazianti - alla sua lenta ma inesorabile distruzione. “Il legno elemento organico, si piega alla forza artificiale del pistone mettendo in scena un conflitto che evoca una situazione ben più ampia dei confini di Villa Pisani”340.

Un suono, lacerante e intenso, difficile da sostenere che proviene dalla Serra Tropicale connota anche il lavoro di Alberto Tadiello. È il sibilo con il quale a Venezia le sirene annunciano l’arrivo dell’acqua alta. La Serra Tropicale, dove nell’Ottocento si ricreava il clima adatto a conservare le piante esotiche che venivano portate a Stra, rappresenta un ambiente già di per sé straniante che avvolge con la sua umidità e disorienta con la sua ricerca di luce. “ Il lavoro di Tadiello esalta questa condizione e sfrutta la nostra fragilità, che cede al fascino di un suono che si presenta come un’arma sonora, alla quale è difficile sottrarsi. Ascoltato da fuori, invita ad entrare, […]. All’interno colpisce e stordisce”341

338 Ibidem

339 C. D’ORAZIO, Crescere da artista a Venezia, 2010, op. cit., p. 8. 340 Ibidem

341 Ibidem

Arcangelo Sassolino, Senza Titolo, 2008, acciaio, legno e sistema idraulico.

BIOGRAFIE