• Non ci sono risultati.

D ISCIPLINA ELETTORALE ( E FORMA DI G OVERNO ) REGIONALE NELLA

COSTITUZIONE DEL 1948

L’Assemblea costituente si preoccupò di indicare, nelle disposizioni transitorie e finali, termini puntuali in merito all’attuazione delle Regioni: le elezioni dei Consigli regionali avrebbero dovuto essere indette, ai sensi dell’VIII disposizione transitoria, entro un anno dall’entrata in vigore della Carta costituzionale, mentre tre anni di tempo erano previsti – dalla IX disposizione transitoria – perché la Repubblica adeguasse le leggi statali «alle esigenze delle autonomie locali e alla competenza legislativa attribuita alle Regioni».

L’idea che sembra emergere dai lavori della Costituente è di Regioni intese, non esclusivamente come enti di decentramento, pensati soltanto per avvicinare il livello di governo statale a realtà di dimensioni minori, tali da garantire una

maggiore efficienza dello Stato centrale, ma piuttosto di Regioni dotate anche di autonomia politica, «cioè enti esponenziali di ordinamenti, di comunità politiche, centri di autogoverno democratico capaci di elaborare, adottare ed attuare un indirizzo politico proprio»1.

A supporto di quanto appena sostenuto, basti pensare che la Costituzione – già nel testo del 1948 – riconosceva alle Regioni un potere di autorganizzazione e agli stessi Consigli regionali autonomia statutaria. Nell’ambito e in conformità con i principi stabiliti direttamente dalla Costituzione, dunque, l’organizzazione delle Regioni fin da subito venne rimessa alle scelte statutarie2.

E’ pur vero, però, che tale autonomia statutaria era limitata dai principi costituzionali e dalle leggi ordinarie cui rinviava direttamente la Costituzione, anzitutto per la disciplina del Consiglio regionale: sistema di elezione, numero dei consiglieri, casi di ineleggibilità e di incompatibilità, per la regolamentazione dei quali l’originario testo costituzionale prevedeva una riserva di legge statale.

La delicatezza della materia e le implicazioni derivanti dalla scelta del sistema elettorale probabilmente suggerirono ai Costituenti di sottrarla alla competenza del legislatore regionale e di disciplinarla, al contrario, in modo unitario, garantendo così dal centro il rispetto dei principi di democraticità e di uguaglianza fra gli elettori3.

Fino alla riforma costituzionale del 1999, dunque, le Regioni non avevano in materia elettorale nessuna competenza: il sistema di elezione dei Consigli delle Regioni a statuto ordinario, come anche il numero ed i casi di ineleggibilità e di

1 In proposito, si vedano i lavori della II Sottocommissione della Commissione per la Costituzione,

in CAMERA DEI DEPUTATI, La Costituzione nei lavori preparatori della Assemblea Costituente, Vol. VIII, Roma, 1971, 1397 e ss.

Di questo aspetto si occupano, T. MARTINES, Studio sull’autonomia politica delle regioni, in Rivista Trimestrale di Diritto pubblico, 1956, 100; P.VIRGA, La Regione, Milano, 1949, 17 e ss.; e ss; F.BASSANINI, L’attuazione delle Regioni, Firenze, 1970, p. 26, il quale ricorda come, nel 1968, la Corte costituzionale nella sentenza n. 143 evidenziava che «nel contesto del nostro ordinamento, caratterizzato dalla pluralità dei poteri, la Regione si colloca come ente dotato di autonomia politica pur nell’unità dello Stato».

2 F. BASSANINI, Le Regioni a statuto ordinario nella legge 10 febbraio 1953, in Esperienze

amministrative, VIII (1966-67), n. 8, 22 e ss; G.MIELE, La Regione, in Commentario sistematico alla Costituzione italiana, P. Calamandrei – A. Levi (diretto da), Firenze, 1950, 236; P.VIRGA, La Regione, cit., 27.

incompatibilità erano, infatti, interamente riservati alla competenza del legislatore statale.

E’ poi innegabile che, benché il testo originario della Costituzione non facesse nessun riferimento alla forma di governo regionale, la disciplina contenuta nel testo costituzionale era, per certi aspetti, talmente rigida e dettagliata da non lasciare spazio alle Regioni di sperimentare una (qualsiasi) forma di governo diversa rispetto a quella delineata4.

Come è noto, le tempistiche dettate dalla Costituzione in merito all’attuazione delle Regioni vennero ampiamente disattese. Dopo un lungo rinvio sine die degli adempimenti necessari a dare attuazione ai principi e alle disposizioni della Costituzione, nel 1953 venne approvata la cosiddetta legge Scelba, 10 febbraio 1953, n. 62, sulla costituzione e sul funzionamento degli organi regionali.

La legge Scelba, però, non prevedeva termini o scadenze per l’indizione delle elezioni regionali e la convocazione dei Consigli regionali, né si preoccupava di prorogare il termine di cui all’VIII disposizione transitoria5. D’altro canto, però, sul piano dell’organizzazione interna delle Regioni, la legge n. 62 del 1953 finiva per determinare in modo esaustivo la forma di governo delle Regioni e per rendere uniforme la struttura organizzativa delle Regioni.

La mancanza della legge elettorale regionale, poi, rimaneva un impedimento di fatto all’indizione delle elezioni e al compiersi del quadro costituzionale. La dizione “essenziale” dell’articolo 122 della Costituzione, che si limitava ad imputare la competenza in materia elettorale regionale alla «legge della

4 Fino alla riforma del Titolo V, la Costituzione prevedeva che «il Presidente ed i membri della

Giunta sono eletti dal Consiglio regionale fra i suoi componenti» (art. 122); che «il Consiglio regionale può essere sciolto quando (…) non corrisponda all’invito del Governo di sostituire il Presidente o la Giunta che abbiano compiuto (…) atti (contrari alla Costituzione) o gravi violazioni (di legge)». In tal modo, anzitutto, si escludeva che le Regioni potessero adottare una forma di governo di tipo presidenziale o governatoriale. E’, inoltre, la Costituzione che stabiliva quali sono gli organi fondamentali della Regione (art. 121). E’, ancora, la Costituzione che dettava alcune norme sull’organizzazione interna del Consiglio regionale (art. 122) e che ne determinava le funzioni (art. 121)

In questo senso, G. MIELE, La Regione, cit., 236; P. VIRGA, La Regione, cit., 27; nonché, F. BASSANINI, L’attuazione delle Regioni, cit., 43 e ss e M. GALIZIA, Aspetti dell’organizzazione regionale, in Studi in onore di G. Ambrosini, Milano, 1969, 12 e ss.

5 L’ultimo dei numerosi rinvii delle elezioni regionali si deve alla legge 7 novembre 1969, n. 774,

che prorogando alla primavera del 1970 la data delle elezioni comunali e provinciali previste per l’autunno del 1969 ha, di conseguenza, provocato il rinvio delle elezioni regionali, ai sensi dell’art. 22 della legge 17 febbraio 1968, n. 108 che ne stabiliva il collegamento.

Repubblica», senza aggiungere null’altro, lasciò spazio ad ampi dibattiti parlamentari6.

L’assenza di «capisaldi» costituzionali sul sistema elettorale regionale portò, infatti, alcuni esponenti politici dell’epoca (suffragati dalle opinioni di parte della dottrina) a presentare disegni di legge elettorali che prevedevano sistemi indiretti a doppio grado. Parte della classe politica, infatti, riteneva che nel silenzio della Costituzione, sarebbe stato possibile optare per un sistema elettorale indiretto, ovvero per un’elezione di secondo grado dei Consigli regionali ad opera dei consiglieri provinciali. Questi tentativi furono una delle concause che allungarono oltremodo i tempi di approvazione della legge elettorale7.

In sede di dibattito parlamentare, l’analisi dell’intero sistema di norme costituzionali concernenti le Regioni, persuase però il legislatore dell’opportunità di accantonare l’idea di elezioni di secondo grado8. Le previsioni dell’iniziativa legislativa e della richiesta di referendum abrogativo in capo alle Regioni poco si sarebbero giustificate se ai cittadini regionali fosse poi stata preclusa la possibilità di eleggere i propri rappresentanti. E, del resto, un’elezione indiretta dei Consigli regionali avrebbe fortemente depotenziato la forza politica delle Regioni e ne avrebbe compresso pesantemente l’autonomia9.

A differenza dei precedenti tentativi, il disegno di legge che poi venne approvato e che costituisce la prima legge elettorale per le Regioni ordinarie (legge 17 febbraio

6 Diversa, invece, la situazione per i Consigli delle Regioni speciali, per i quali i rispettivi statuti

prevedevano l’elezione a «suffragio universale, diretto e segreto»

7 In linea con l’ordine del giorno proposto dall’Onorevole Tosato e approvato il 28 luglio del 1949

– con il quale la Commissione per gli Affari interni della Camera dei deputati affermava che il sistema elettorale regionale doveva ispirarsi al principio della elezione di secondo grado – fra la I e la IV legislatura vennero presentati disegni di legge che confermavano l’idea dell’elezione indiretta, fra cui, ad esempio, il disegno di legge (n. 1391) presentato dalle Camere il 13 maggio 1964, che riservava la scelta dei consiglieri regionali ai soli consiglieri provinciali.

8 Riguardo alla possibilità di prevedere elezioni di secondo grado, la dottrina non solo ne mise, fin

da subito, in evidenza il carattere mortificante per le Regioni, ma altresì avanzò dubbi di legittimità costituzionale, per contrasto con l’articolo 48 della Costituzione. In proposito, T. MARTINES, Consiglio regionale, in Enciclopedia del Diritto, 288; L.PALADIN, Manuale di Diritto regionale, 1979, 277, desume il carattere necessariamente diretto delle elezioni consiliari dall’intero sistema costituzionale, evidenziando come non si spiegherebbe altrimenti perché altrimenti la Costituzione pone le Province «al servizio e sotto il controllo della Regione».

1968, n. 108, «Norme per l’elezione dei Consigli delle Regioni a statuto normale») prevede un sistema elettorale diretto, proporzionale e a liste concorrenti10.

Prima di dedicarci allo studio delle «nuove» leggi elettorali delle Regioni ordinarie (oltre che del sistema statale ancora in vigore nelle Regioni che non hanno provveduto ad attuare la disposizione costituzionale), ci sembra utile provare a capire cosa era il «sistema d’elezione» prima della riforma costituzionale del 1999 e quale il meccanismo elettorale disposto dal legislatore statale.

Preliminarmente, è forse anzitutto il caso di ricordare ancora una volta che, nella vigenza dell’originario Titolo V della Costituzione, non solo la definizione del sistema elettorale era rinviata interamente al legislatore statale, ma inoltre la forma di governo regionale (di cui non si faceva espressa menzione) era delineata dalla stessa Costituzione.

Poiché, dunque, fino alla riforma del Titolo V della Costituzione, ogni aspetto della disciplina elettorale era, comunque, riservato alla competenza del legislatore statale, di poca utilità risultava una delimitazione del concetto di sistema di elezione rispetto alla disciplina della forma di governo, anch’essa regolata dalla legge Scelba. Fra i due ambiti, infatti, – a differenza di quanto accade oggi – non c’era il rischio di creare sovrapposizioni di disciplina né «interferenze» di potestà.

2.2. L’EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA ELETTORALE STATALE E …QUELLO CHE NE