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La «svolta femminista»: vincoli costituzionali, orientamento

4.2. I L PRINCIPIO DI PARITA ’ TRA UOMINI E DONNE E LA QUESTIONE DELLE

4.2.2. La «svolta femminista»: vincoli costituzionali, orientamento

pari opportunità

Nel corso del 2000 muta il contesto normativo alla luce del quale valutare eventuali disposizioni di riequilibrio della rappresentanza.

Muta, anzitutto, il quadro costituzionale. La riforma dell’ordinamento regionale, infatti, ha rappresentato per il legislatore di revisione costituzionale l’occasione per «ribadire, dare visibilità e sottolineare con vigore il principio della parità tra i sessi nella vita sociale, economica, culturale e politica»52.

superiore ai due terzi» - stabilisce altresì che, i applicazione dell’articolo 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la dichiarazione di illegittimità va estesa all’art. 7, comma 1, ultimo periodo della stessa legge 25 marzo 1993, n. 81, che contiene l’identica prescrizione per le liste dei candidati nei Comuni con popolazione superiore ai 15 mila abitanti; nonché, parimenti, nei confronti di tutte le misure «che prevedono limiti, vincoli o riserve nelle liste dei candidati in ragione del loro sesso» introdotte nelle leggi elettorali politiche, regionali o amministrative. Tale estensione di illegittimità è stata definita dalla dottrina «anomala», vista la diversa tecnica utilizzata dalle diverse disposizioni normative. Così, U.DE SIERVO, La mano pesante della Corte sulle «quote» nelle liste elettorali, in Giurisprudenza costituzionale, 1995, 3271. Di «uso certamente assai ardito dell’istituto della “illegittimità costituzionale consequenziale”», parla G. BRUNELLI, Donne e politica, cit., 52.

51 Sulla decisione assunta dalla Corte costituzionale, sentenza n. 422 del 1995, buona parte della

dottrina si è espressa in maniera molto critica. In particolare, U.DE SIERVO, La mano pesante della Corte sulle «quote» nelle liste elettorali, cit., 3271. Inoltre, L. GIANFORMAGGIO, Eguaglianza formale e sostanziale: il grande equivoco, in Foro italiano, 1996, I, 1971, commenta la decisione come un’occasione in cui la Corte ha dimostrato che invocare l’uguaglianza formale serve «a non realizzare quella sostanziale». Invero, è interessante notare come a fronte delle argomentazioni addotte dalla Corte – la quale richiama anche il contesto storico i cui è nata la Costituzione, per spiegare l’esigenza dei Padri costituenti di sottolineare l’eguaglianza fra i due sessi – si perviene a dichiarare l’illegittimità facendo leva sui lavori preparatori, nei quali è possibile riscontrare «la dichiarata finalità di assicurare alle donne una riserva di posti nelle liste dei candidati».

52 M.CARTABIA, Il principio della parità tra uomini e donne nell’art. 117, 7° comma, in T. Groppi

Il legislatore costituzionale, in particolare, è intervenuto in tre distinte occasioni, che richiamiamo di seguito rapidamente:

a) anzitutto, con la legge costituzionale n. 2 del 2001, concernente l’elezione diretta dei Presidenti delle Regioni a statuto speciale, ha riservato alle leggi statutarie il compito di «promuovere la parità per l’accesso alle consultazioni elettorali, al fine di conseguire l’equilibrio nella rappresentanza dei sessi»;

b) successivamente, il medesimo obbligo (sebbene, utilizzando una differente terminologia) è stato introdotto per le Regioni ordinarie: l’articolo 117, comma 7 (come modificato dalla legge cost. n. 3 del 2001), prescrive infatti alle leggi regionali l’obbligo di rimuovere «ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica» e di promuovere «la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive»;

c) infine, un ultimo intervento, nella stessa direzione, è stato realizzato con la modifica dell’articolo 51 della Costituzione, il quale, in seguito alla novella introdotta dalla legge costituzionale n. 1 del 2003, recita: «la Repubblica promuove con appositi provvedimenti la pari opportunità tra donne e uomini»53.

Nel frattempo, anche il quadro comunitario si era mosso nella medesima direzione. Già nel 1997, con l’articolo 141 del Trattato di Amsterdam, si apriva ad un’accentuazione del concetto di uguaglianza sostanziale fra i sessi, statuendo che «il principio della parità di trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure che prevedono vantaggi specifici diretti a facilitare l’esercizio di una attività professionale da parte del sesso sottorappresentato»54. Nel 2000, poi, nella Carta dei diritti fondamentali proclamata a Nizza, viene

53 Sull’art. 51, M. MIDIRI, Art. 51, in R. Bifulco – A. Celotto – M. Olivetti (a cura di),

Commentario alla Costituzione, cit. A proposito della diversa terminologia utilizzata dai tre enunciati costituzionali, in dottrina è stato evidenziato che gli stessi sono, tuttavia, «accomunati dalla “funzione promozionale”», I.SALZA, Le regole sulla partecipazione delle donne in politica: dalle cosiddette “quote rosa” al rinnovato quadro costituzionale, in Rassegna parlamentare, 2008,

54 Sul punto si sofferma, P.L.PETRILLO,

Democrazia paritaria, «quote rosa» e nuovi statuti regionali, in M. Carli – G. Carpani – A. Siniscalchi (a cura di), I nuovi statuti delle Regioni ordinarie. Problemi e prospettive, Bologna, 2006, 539 e ss.

inserito l’articolo 23, il quale ribadisce espressamente che «Il principio di parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi a favore del sesso sottorappresentato»55. E, infine, non possiamo non ricordare le numerose raccomandazioni del Parlamento europeo e la proposta di risoluzione sulla Relazione annuale sulle pari opportunità per le donne e gli uomini dell’Unione europea, presentata dalla Commissione per i diritti della donna e le pari opportunità il 27 febbraio 2002, nella quale si sottolinea che «il rispetto dell’acquis comunitario in materia di parità di trattamento e di opportunità per le donne e per gli uomini è una condicio sine qua non per l’adesione».

Alla luce di tale (rinnovato) contesto normativo, muta altresì la giurisprudenza costituzionale. Nel 2003 con la sentenza n. 49, si presenta infatti alla Corte «l’occasione» per rimediare all’«equivoco» alimentato dalla precedente sentenza del 1995, la quale con la «sua ambiguità (…) rischiava di condizionare pesantemente l’accesso alle cariche elettive ponendosi come “pietra d’inciampo” alla realizzazione di un’effettiva parità di chances fra donne e uomini nelle competizioni elettorali»56.

Vista l’importanza che la decisione richiamata riveste, riguardo all’argomento di cui si tratta, nelle righe che seguono ci sembra utile ricostruire brevemente la vicenda da cui ha avuto origine.

Con la decisione n. 49 del 2003, il Giudice delle leggi ha dichiarato non fondata la questione di legittimità sollevata dal Governo in riferimento alla legge della Regione Valle d’Aosta n. 21 del 2002, nella parte in cui ha stabilito, a pena di

55 Benché la Carta di Nizza non abbia efficacia giuridica vincolante, è stata la stessa Corte

costituzionale a chiarire che, tuttavia, essa dispiega un’influenza sull’interpretazione delle norme nazionali, anche di rango costituzionale, rivestendo un «carattere espressivo di principi comuni agli ordinamenti europei». Si veda, in proposito, la sentenza n. 135 del 2002 della Corte costituzionale. In dottrina, sull’efficacia giuridica della Carta di Nizza, M. Cartabia; A. Pace; G. F. Ferrari (a cura di), I diritti fondamentali dopo la Carta di Nizza, Milano, 2001.

56 L.CARLASSARE, La parità di accesso alle cariche elettive nella sentenza n. 49: la fine di un

equivoco, in Giurisprudenza costituzionale, cit., 364. Scrive l’A. nella nota alla citata sentenza che l’equivoco alimentato dalla decisione del 1995 risultava «dall’intreccio di due “idee”: che la previsione dell’obbligatoria presenza di candidature di entrambi i sessi nelle liste elettorali rientri in qualche modo fra le “azioni positive”; che pertanto, come “diritto diseguale”, urti contro l’eguaglianza di cui agli artt. 3 e 51 Cost., ponendosi così in contrasto con il concetto stesso di rappresentanza politica proprio delle democrazie pluraliste».

invalidità, che ogni lista di candidati all’elezione del Consiglio regionale debba prevedere la presenza di candidati di entrambi i sessi57.

La questione è tanto più interessante se si considera che, a fronte delle argomentazioni addotte dalla difesa statale (la quale altro non fa che riprendere l’impostazione già utilizzata dalla giurisprudenza alcuni anni prima), la Corte ritiene infondata la questione e, anzi, supera l’impostazione accolta nella sentenza n. 422 del 1995.

Preliminarmente, quasi a giustificare il cambiamento di rotta, la Corte ricorda che il quadro di riferimento costituzionale, «rispetto al quale vanno collocate le norme regionali (…) non coincide con quello vigente al momento della sentenza di illegittimità costituzionale n. 422 del 1995, invocata nel ricorso del Governo»58. Anzi, una lettura attenta e congiunta delle disposizioni impugnate e del dettato costituzionale rende chiaro come le prime siano poste in attuazione del secondo: sono le stesse disposizioni costituzionali – ricorda, infatti, la Corte – a porre esplicitamente l’obiettivo del riequilibrio ed è la disposizione costituzionale a porre «come doverosa l’azione promozionale per la parità di accesso alle consultazioni, riferendola esplicitamente alla legislazione elettorale»59.

57 L.CARLASSARE, La parità di accesso alle cariche elettive nella sentenza n. 49: la fine di un

equivoco, in Giurisprudenza costituzionale, 2003, 364; S. MABELLINI, Equilibrio dei sessi e rappresentanza politica: un revirement della Corte, in Giurisprudenza costituzionale, 2003, 372 e ss.;A.DEFFENU,Parità tra i sessi in politica e controllo della Corte: un revirement circondato da limiti e precauzioni, in Le Regioni, 2003, 918 e ss.; I.NICOTRA,La legge della Valle d’Aosta sulla «parità» passa indenne l’esame della Corte, in Quaderni costituzionali, 2003, 367 e ss. «Sarebbe esagerato parlare di un vero e proprio “rovesciamento” dell’orientamento del giudice delle leggi» in materia di norme di riequilibrio della rappresentanza, a parere di G.BRUNELLI,Un overruling in tema di norme elettorali antidiscriminatorie, cit., 903, poiché «non mancano i caratteri di continuità con la decisione precedente, che vanno considerati e valutati con attenzione al fine di trarne indicazioni sufficientemente precise per la stesura delle norme attuative del novo art. 51 Cost. e delle altre analoghe disposizioni costituzionali che si riferiscono all’ambito regionale».

58 Ricorda la Corte costituzionale che «la legge costituzionale n. 2 del 2001, integrando gli statuti

delle Regioni ad autonomia differenziata, ha espressamente attribuito alle leggi elettorali delle Regioni il compito di promuovere “condizioni di parità per l’accesso alle consultazioni elettorali”, e ciò proprio “al fine di conseguire l’equilibrio della rappresentanza dei sessi”».

59 Ci sembra interessante richiamare il parallelo rispetto alla situazione francese. Anche in

Francia,infatti, la giurisprudenza del Consiglio costituzionale – che fino al 1999 aveva bloccato l’introduzione di misure legislative volte a favorire la rappresentanza femminile (sulle sentenze n. 146 DC del 18 novembre 1982 e n. 98-407 DC del 14 gennaio 1999, si veda A.DEFFENU, La parità tra i sessi nella legislazione elettorale di alcuni paesi europei,in Diritto pubblico, 2001, 611 e ss.) – è mutata in seguito alla modifica costituzionale introdotta con la legge n. 569 del 1999, la quale ha aggiunto all’articolo 3 della Costituzione un comma, ai sensi del quale «La loi favorise l’égal accès des femme set des hommes aux mandats electoraux et fonctions électives».

Dunque, non solo le disposizioni regionali valdostane sono conformi al dettato costituzionale, ma rispettano altresì una serie di parametri già invocati dalla giurisprudenza nel 1995 (ed ancora validi) : il «vincolo» introdotto in via legislativa, infatti, «resta limitato al momento della formazione delle liste, e non incide in alcun modo sui diritti dei cittadini, sulla libertà di voto degli elettori e sulla parità di chances delle liste e dei candidati e delle candidate nella competizione elettorale, né sul carattere unitario della rappresentanza elettiva». Al contrario, argomenta la Corte, le disposizioni impugnate introducono «un vincolo legale rispetto alle scelte di chi forma e presenta le liste», che già la Corte aveva auspicato si realizzasse attraverso le scelte statutarie o regolamentari dei partiti.

Dunque, benché la possibilità (o, forse, anche la “doverosità”) di introdurre nella legislazione regionale misure volte a promuovere la parità sia garantita da norme costituzionali, al legislatore regionale si impongono dei limiti, alcuni dei quali erano già stati richiamati dalla “vecchia” giurisprudenza: anzitutto, l’appartenenza all’uno o all’altro sesso non può rappresentare un requisito ulteriore di eleggibilità, né tanto meno di “candidabilità”. In secondo luogo, le misure legislative non possono caratterizzarsi come «volutamente diseguali», ossia «adottate per eliminare situazioni di inferiorità» o per «rimuovere le disuguaglianze sociali fra gli individui», né possono «incidere direttamente sul contenuto stesso di quei medesimi diritti, rigorosamente garantiti in egual misura a tutti i cittadini in quanto tali» e, in particolare, sul diritto di elettorato passivo. In ultimo, i vincoli che il legislatore può (anzi, deve) legittimamente prevedere devono operare “soltanto nella fase anteriore alla vera e propria competizione elettorale, e non incidere su di essa. Dunque, è necessario che le disposizioni stabiliscano un vincolo non all’esercizio di voto o all’esplicazione dei diritti dei cittadini eleggibili, ma piuttosto «alla formazione delle libere scelte dei partiti e dei gruppi che formano e presentano le liste elettorali, precludendo loro (solo) la possibilità di presentare liste formate da candidati tutti dello stesso sesso»60.

60 Sulla distinzione fra «norme antidiscriminatorie e azioni positive» nonché «fra misure che

4.2.3. La promozione delle pari opportunità nella legislazione elettorale: misure