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Dall’astrazione stoica alla vertiginosa negazione scettica

Il Servo e il Padrone “eternamente” fatti l’uno per l’altro

2. La libertà dell’autocoscienza

2.1. Dall’astrazione stoica alla vertiginosa negazione scettica

Nel prosieguo della Fenomenologia dello Spirito attraverso una seconda serie di esperienze dell’autocoscienza si guadagna, non più soltanto il superamento dell'immediatezza della vita naturale, che è stato già recuperato a partire dall’atto fondativo della dialettica tra Signoria e Servitù, ma anche, a questo punto, la concretezza della

libertà nell'autocoscienza. Tale libertà si declina a partire dalla

capacità della coscienza di pensare, e contemporaneamente di essere oggetto del proprio pensiero, ovvero di pensare se stessa come essere in sé:

In altre parole – scrive Hegel – dinanzi a noi è sorta una nuova figura dell’autocoscienza. Si tratta di una coscienza che ha per essenza se stessa come infinità, come movimento puro della

coscienza: è una coscienza che pensa, cioè un’autocoscienza

libera. Pensare, infatti, vuol dire essere oggetto di se stesso non come Io astratto, bensì come io che ha a un tempo il significato dell’essere-in-sé: pensare vuol dire rapportarsi all’essenza oggettiva

come all’essere-per-sé della coscienza per la quale l’essenza stessa è.29

Il rinvio alle figure della storia dello Spirito, ovvero lo

Stoicismo, lo Scetticismo e la Coscienza infelice, non deve essere

inteso nel senso di una presentazione di tipo meramente storico, sebbene l’ingresso nel Mondo “mediato” (umano) della Storia sia, nella lettura di Kojève, il vero grande guadagno della dialettica Signoria-Servitù. Queste figure, tuttavia, si presentano piuttosto come delle vere e proprie illustrazioni di esperienze che la coscienza compie, in modo del tutto corrispondente ai diversi momenti della Logica.

L’uomo comprende che il suo Lavoro costituisce un prolungamento della forza creativa della natura e, di conseguenza, egli diventa consapevole di sé come individuo, dunque libero. «L’uomo è libero perché pensa»30

, in questo Kojève individua il principio dello Stoicismo, che riesce a trovare in questa autocoscienza il Logos stesso del mondo. Ma lo Stoicismo resta in fondo disumano nel continuare a ripetere che l’uomo, «sia sul trono che in catene», deve uniformarsi al Logos e trovare in questo la sua libertà, dal momento che questa, permanendo nella sua stessa essenza astratta, si risolve in nient’altro che in una sorta di pura indifferenza verso l’esistenza naturale:

La libertà – argomenta Hegel – nel pensiero, infatti, ha come propria verità soltanto il pensiero puro, cioè una verità cui manca il riempimento della vita. Si tratta dunque solo del concetto della libertà, non della stessa libertà vivente.31

29

Fenomenologia, p. 293.

30

Cf. A.KOJÈVE, Introduzione alla lettura di Hegel, cit., p. 77. Oppure, per dirla con Hegel,

«Il suo (dello Stoicismo) principio suona: la coscienza è essenza pensante, e per essa qualcosa è essenziale, cioè vero e buono, solo perché la coscienza stessa si comporta al riguardo come essenza pensante» [Fenomenologia, p. 295].

31

In questo senso, lo stoico entra in crisi nel momento stesso in cui gli si pone la domanda sui contenuti di tale pensiero. Egli sviluppa un atteggiamento provvisorio e scivola inevitabilmente in un profondo scetticismo, innescando così la seconda figura di questo movimento dialettico dell’autocoscienza. La contraddizione dello stoico, dunque, si consuma nel suo proclamarsi libero di fronte al mondo, laddove in vero trae tutti gli elementi della sua morale proprio dal mondo esterno: «si accorge che la sua libertà è illusoria – usiamo le parole di Kojève –, diviene, allora, scettico o “nichilista”»32

, perché solo lo scettico realizza l’ideale dello stoico, ovvero la libertà astratta, dal momento che nega l’esistenza stessa del mondo esterno.

Lo Scetticismo – scrive Hegel – è la realizzazione di ciò di cui lo Stoicismo è soltanto il concetto: è l’esperienza reale di ciò che è la libertà del pensiero. E poiché la libertà del pensiero è in sé il negativo, è in questa forma che essa deve dunque presentarsi necessariamente33

.

È proprio questa negatività, la capacità di trascendere la natura, che segna la libertà umana: se la totalità è la storicità dell’uomo (ovvero la sua esistenza nel mondo, quello che egli stesso crea all’interno della natura), egli tuttavia non è totalità, ma si distingue dagli altri animali perché è un essere negatore. In quanto opposto alla natura, lo scettico ha già l’autocoscienza, cioè la certezza soggettiva della sua esistenza non naturale, che coincide con la sua libertà. Ma questa libertà, lungi dall’essere una proprietà, è invece un atto: l’uomo non può dirsi libero una volta per tutte, ma la sua stessa coscienza, nella sua Azione negatrice, si pone come una absolute

dialektische Unruhe34

.

32

A.KOJÈVE, Introduzione alla lettura di Hegel, cit., p. 79

33

Fenomenologia, 299.

34 Ivi

, 303. L’immagine dell’inquietudine costitutiva dell’essere umano è presente anche in Leibniz: Il termine tedesco, che egli utilizza per indicarla è identico a quello hegeliano, Unruhe, con il quale la lingua germanica individua il bilanciere degli orologi, che è

A questo livello, però, lo Scetticismo s’imbatte nel dualismo del

Bewußtsein: la coscienza scettica, infatti, lungi dall’essere uguale a se

stessa, si presenta invece come «la vertigine di un disordine che si produce continuamente», si pone come negatività di ogni singolarità ed ogni differenza, che oscillando continuamente da un estremo all’altro, si rivela come un vaniloquio inconsapevole, un movimento puramente negativo in generale.

In realtà – scrive Hegel – la sua chiacchiera non è altro che un litigio tra ragazzi ostinati e testardi, in cui l’uno dice A quando l’altro dice B, per poi dire B quando l’altro dice A; e in definitiva, entrando in contraddizione con se stesso, ciascuno ciascuno si guadagna la soddisfazione di restare in contraddizione con l’altro35

.

Si assiste qui, ancora una volta, a quella che possiamo definire una riproposizione della “duplicazione” della coscienza. Ma, se nello

Stoicismo, come abbiamo visto, essa si ripartiva in due singoli, il

Signore, da una parte, ed il Servo, dall’altra, nello Scetticismo, invece, essa si dà in uno solo, ovvero si assiste qui alla «duplicazione della coscienza entro se stessa, ma non ancora la sua unità»36

. È proprio a

costantemente in movimento, alla ricerca di un equilibrio, che sebbene non sia mai raggiunto, è tuttavia sempre attuato e conquistato [cf. G. W.LEIBNIZ, Nuovi Saggi sull’intelletto umano, in Scritti Filosofici, a cura di E. Pasini e M. Mugnai, UTET, Torino, 2000, vol. II, p. 143]. Ma, mentre in Leibniz tale inquietudine è il prodotto di un’infinità di semi-dolori che bombardano costantemente l’individuo, inclinandone la condotta morale, in Hegel invece essa s’inscrive pienamente nella dimensione dialettica di un soggetto, quello umano, capace di affermare la propria libertà negando la natura. Jean Hyppolite scrive che «l’aggettivo più ricorrente nella dialettica hegeliana è unruhing. La vita è inquietudine, inquietudine del Sé che, perdutosi, si ritrova nella sua alterità; essa non è mai coincidenza con sé, poiché è sempre altro proprio per essere se stessa; si pone sempre in una determinazione e sempre si nega per essere sé, perché la determinazione in quanto tale è già una sua prima negazione» [J. HYPPOLITE, Genesi e

struttura della «Fenomenologia dello Spirito» di Hegel, cit., p. 183].

35Fenomenologia

, 305.

36Ivi

, 307. Scrive Chiereghin al riguardo: «La dialettica appare qui nel suo aspetto formalistico e astratto, perché gli opposti differenti, all’interno dell’unità del genere, tra i quali essa opera, sono un miscuglio inessenziale di rappresentazioni in parte sensibili, in parte pensate. Essa appare così in due forme egualmente distanti da una concreta e radicale esperienza della negatività. Da un lato, nel suo rincorrere tutto ciò che è empirico e accidentale, essa finisce per conferire a se stessa una vita altrettanto accidentale o addirittura l’aspetto animalesco di una coscienza smarrita. Dall’altro essa si ritrae in se stessa, dove ogni differenza si dissolve

questo livello che s’innesca il terzo momento dell’Autocoscienza, ovvero quello che Hegel identifica con la figura della Coscienza infelice.