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La natura dell’autentica alterità di Dio

1.3 “Dio non è non-Dio”: la datità di Dio fuori dal mondo

1.4. La natura dell’autentica alterità di Dio

Questa domanda è sostanzialmente coincidente con il problema della datità all’ “uomo nel mondo” dell’ “uomo al di fuori del mondo”, che è l’unico a cui può darsi Dio. Kojève afferma improvvisamente che tale datità «deve essere possibile». In realtà, con tale affermazione si apre una sostanziosa sezione di pesante e lenta speculazione, che rinnoverà il paradosso della interazione e porrà nuovamente la domanda sulla stessità dei due soggetti.

Se da un lato il teista e l’ateo sono accomunati dal fatto di essere entrambi “uomini nel mondo”, tuttavia, il teista sa di non essere ateo, in quanto è dato a se stesso come colui al quale si dà Dio, cioè nel mondo egli si riconosce anche come “uomo al di fuori del mondo”. Il che sembra già implicare la possibilità di questa relazione tra io ed io fuori dal mondo. Se poi si considera che l’ateismo non è mai ingenuo o animale, ma si definisce come una risposta alla domanda su Dio, allora esso è possibile solo a partire dalla datità di tale domanda, che in vero già segna la stessa via verso Dio. La qual cosa implica, secondo Kojève, che anche per l’ateo è possibile la datità de “l’uomo al di fuori del mondo” all’ “uomo nel mondo”, sebbene al di fuori del mondo per lui non ci sia nulla.

Ancora una volta, la possibilità di questa interazione tra i due termini, nonché la garanzia della loro identità, che è appena stata

postulata, è tuttavia ancora lungi dall’essere acquisita. A tal fine il pensatore di origini russe analizza il rapporto tra uomo e mondo, definendolo omogeneo: si svolge, infatti, su un piano di eguaglianza, secondo una dinamica d’interazione (da -› a), che può andare in entrambe le direzioni (cioè tanto dall’uomo -› al mondo quanto dal

mondo -› all’uomo), nella quale uno dei due termini tende a prevalere sull’altro.

Questa interrelazione, pur nell’infinità di modalità in cui può esprimersi nella struttura spazio-temporale a cui è esposta (il mondo, infatti, si produce in una moltitudine di realtà esteriori, mentre l’io

possiede al suo interno un’infinita varietà di sfaccettature), essa è tuttavia omogenea. Il mondo e l’io, in effetti, condividono il medesimo modo d’essere, che si differenzia solo per contenuto qualificativo: essi, cioè, sono uguali nel loro semplice essere dei

qualcosa. Kojève argomenta tale affermazione come segue:

“L’uomo nel mondo” è dato a se stesso in quanto tale simultaneamente in tutti i modi d’essere, ma con l’uno o l’altro che prevalgono nell’uno o nell’altro livello. La possibilità di passare da un modo all’altro si fonda su una certa omogeneità dei modi in questione, tutti comunque modi d’essere; tale omogeneità è data quale tono della datità comune a tutti i suoi modi, come tono della datità dell’essere e come essere-qualcosa in genere, il quale riunisce uomo e mondo ne “l’uomo nel mondo” radicalmente distinto dal puro nulla.21

In quest’ottica tale rapporto si prospetta come una quieta prossimità affine (Vertrautheit), che si radica nella fiduciosa certezza dell’immutabilità del suo modo d’essere. Se però si considera il punto di vista del teista, l’elemento del divino complica decisamente le cose: Dio, infatti, per il teista, si presenta come qualcosa (a

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prescindere dal fatto che sia qualificato o meno), che sarà radicalmente altro rispetto a “l’uomo nel mondo”, secondo un’alterità che è nel suo essere e non semplicemente nella modalità qualificativa del suo darsi. Quest’ultima segna la differenza tra “l’uomo nel mondo matematico”, “l’uomo nel mondo fisico”, “l’uomo nel mondo filosofico” etc… che tuttavia non altera l’omogeneità dell’essere “nel mondo”. L’uomo, in effetti, è dotato di una vastissima gamma di modalità che si danno a se stesso sempre simultaneamente. Il darsi a se stesso, tuttavia, implica il prevalere di una delle modalità sulle altre. Questo garantisce, secondo Kojève, l’identità del soggetto, ferme restando le diversità delle sue modalità dell’essere; egli, in somma, “nel mondo” matematico, fisico o filosofico, sarà comunque sempre identico a se stesso: «e questo – precisa il russo – è vero per tutte le modalità dell’essere dell’uomo nel mondo. La datità all’uomo della propria uguaglianza con se stesso in tutte le modalità dell’essere è la datità a lui dell’omogeneità dell’essere, la datità dell’integrità dell’“uomo nel mondo”»22

.

Torniamo a Dio. Egli, in quanto “qualcosa”, si dà secondo un’alterità radicale rispetto all’io e al mondo, non già perché abbia una peculiare modalità del suo essere che lo distingue da essi, bensì proprio perché il suo essere è peculiare. Non è il modo del suo tono a sancire la differnza tra la sua datità all’uomo e la datità all’uomo del mondo, ma esattamente il tono stesso della sua datità.

Io, in quanto uomo (“nel mondo”), posso parlare soltanto de “l’uomo nel mondo” o, per lo meno, partire da esso nella mia indagine: infatti, l’uomo è dato a se stesso come uomo e il mondo gli è dato come mondo “attorno” a lui. Nella relazione tra io e ambiente si esprime una sorta di centralità fenomenica del primo sul secondo, che pone di conseguenza la questione dell’accessibilità del divino. A rigor di logica, se l’uomo si relaziona al mondo in un rapporto di datità, che trova una formula esaustiva nell’ “uomo nel mondo”,

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analogamente Dio si darà all’uomo in un’interazione, secondo cui l’uomo si riconoscerà come colui cui si dà Dio. Come nel caso del mondo, è implicito che tra i due termini l’interazione si fondi sulla loro reciproca omogeneità dell’essere. Ecco perché, di conseguenza, all’ “uomo nel mondo” farà da contraltare “l’uomo in Dio”, che gli è radicalmente altro e, per l’appunto, “fuori dal mondo”.

È questo un punto controverso della speculazione kojèviana, in cui essa sembra quasi avvilupparsi su se stessa. L’interrogativo in cui s’imbatte e che esige urgentemente una risposta è il seguente: se “l’uomo nel mondo” non è “l’uomo in Dio”, com’è possibile allora parlare di datità di Dio all’uomo?

Per l’ateo il problema apparentemente non si pone, dal momento che esclude l’esistenza di un “al di fuori del mondo”, ma per il teista, inteso quale “uomo nel mondo”, la datità di Dio assume dei connotati molto particolari: poiché al teista “nel mondo” è dato se stesso in quanto “uomo al di fuori del mondo”, al quale è dato Dio, allora Dio gli è dato in maniera “indiretta”, ovvero quasi per interposta persona.

È questa quella che Kojève definisce come l’ipotesi della datità indiretta:

non c’è niente di strano – argomenta il pensatore russo – nella datità indiretta: io non sono (ora) a Madrid, vale a dire che Madrid non mi è data direttamente, ma mi è dato colui (io stesso) che a Madrid è stato, mentre ora Madrid (in quanto città reale e non quale concetto et similia) mi è data solamente perché mi è dato l’uomo al quale è data Madrid. Analoga è la posizione del teista, al quale Dio è dato, per esempio, nella Scrittura (il teista che nel dato momento non ha esperienza di Dio).23

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Tale ipotesi, per quanto suggestiva, tuttavia offre il fianco ad un paradosso (peraltro ben evidente allo stesso Kojève): nel caso di Madrid, tanto l’uomo a cui è data quanto quello che ora non ne ha esperienza sono uomini “nel mondo”, anzi sono lo stesso e identico

io in cui le differenze sono solo accidentali (perché relative a diversi contesti spazio-temporali), che dunque non ne minano l’integrità individuale, laddove per sua stessa definizione la differenza tra “l’uomo nel mondo” e “l’uomo in Dio” è radicale.

È vero, d’altro canto, che, come si accennava in precedenza, in un certo senso il solo parlare di Dio implica che egli si dia a chi ne parla, ma in questo caso non si tratterebbe di Dio, in quanto essere reale, bensì se ne darebbe il semplice concetto (sarebbe cioè solo “Dio” tra virgolette). Se “realmente” egli può essere dato solo all’ “uomo al di fuori del mondo”, l’interrogativo ancora da sciogliere è sempre in piedi: «ma è o non è lui quest’uomo?»

È proprio Kojève a porre l’interrogazione, ben consapevole che le argomentazioni finora addotte sono ben lungi dall’essere decisive: «il paradosso della datità – ammette con una profonda onestà intellettuale – (vale a dire dell’interazione) sui diversi livelli resta. Il paradosso della stessità non fa che aggiungersi agli altri, quando poi non si dissolve per la propria paradossalità intrinseca24

». E dunque rimane ancora aperta la questione della possibilità della datità a “l’uomo nel mondo” dell’ “uomo al di fuori del mondo”, quale identico a se stesso, che Kojève, invece, aveva ottimisticamente affermato già ben dodici pagine prima.

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