• Non ci sono risultati.

Napoleone ed Hegel: dualità tra Azione e Sapere

La Storia dall’inizio alla fine

3. Il Saggio e il Libro

3.1. Napoleone ed Hegel: dualità tra Azione e Sapere

Siamo giunti, ora, al cuore della questione sulla fine della

Storia. Il nodo da sciogliere ancora è quello relativo alla circolarità

del Sapere assoluto di matrice hegeliana, che abbiamo già introdotto, ma lasciato in sospeso. Ad esso, infatti, il percorso speculativo kojèviano approda, in vista dell’affermazione di un Sistema del Sapere. L’elemento centrale, da cui partire, per lo sviluppo di questo snodo teoretico è dato dalla figura del Saggio di definizione platonico-hegeliana.

Secondo Kojève, infatti, tanto Platone, nel quale egli individua l’inizio della filosofia classica, quanto Hegel, che invece ne segna la fine, forniscono la medesima definizione di Saggio, o meglio tratteggiano in maniera simile il rapporto tra la Filosofia e la Saggezza. L’unica differenza, che costituisce peraltro una divergenza fondamentale, è quella che intercorre tra i rispettivi sistemi filosofici.

In Platone, infatti, è negata la possibilità di realizzazione di una Saggezza umana, dal momento che la sua riflessione filosofica tende costantemente ad un’ulteriorità trascendente, che s’identifica con l’Uno, l’Agathón, il Bene Assoluto. La Saggezza, cui può approdare la sua Filosofia, si riduce allora semplicemente ad una sorta di «conversione», ovvero a quella che si potrebbe definire come una contemplazione silenziosa del trascendente.

Questo, tuttavia, è l’atteggiamento teologico che contraddistingue l’uomo religioso.

Per Hegel, invece, mentre la Filsofia è l’arte di porre tutte le domande possibili sull’esistenza umana, la Saggezza, dal canto suo, si connota come l’arte di rispondere a tutte queste domande ed si realizza proprio attraverso e nell’ “Uomo-nel-Mondo”.

Su quest’ultima suggestione Kojève elabora la sua definizione di Saggio:

Il Saggio è l’uomo in grado di rispondere in modo comprensibile, anzi soddisfacente, a tutte le domande che gli si possono rivolgere intorno ai propri atti, e di rispondere in modo tale che l’insieme

delle sue risposte formi un discorso coerente. Oppure, il che è lo

stesso: il Saggio è l’uomo pienamente e perfettamente

autocosciente.100

Questa è, invece, l’interpretazione antropologica che contraddistingue l’ateo.

Ora, la distanza che si divarica tra Platone ed Hegel è esattamente quella che si trova tra la Religione e la Filosofia, tra teista e ateo. Nel filosofo greco (così come in tutta la successiva tradizione di matrice platonica), infatti, aspirando l’individuo ad una saggezza trascendente (volgendosi cioè verso Dio), che non può raggiungere in questa esistenza, la Filosofia cede il passo alla Teologia. La Filosofia non ha cioè alcun senso e ragion d’essere, perché non costituisce il cammino verso la Saggezza. In Hegel, invece, con l’acquisizione della verità attraverso la mediazione dialettica, e la sua conseguente sovrapposizione con la Realtà, il Filosofo aspira e può realizzare il Sapere assoluto (Das absolute Wissen). Questo ha la prerogativa imprescindibile di essere circolare, «vale a dire che, sviluppandolo, si arriva al punto da cui si è partiti»101

.

Fornire le risposte (che sono vere proprio perché circolari) a

tutte le domande possibili implica che si realizzi pienamente

l’autocoscienza, ovvero che si approdi ad un sapere enciclopedico in

senso forte. Ma possedere tutte le risposte è possibile solo quando

tutte le domande siano già state poste, il che è possibile solo quando

100

A. KOJÈVE, Introduzione alla lettura di Hegel, cit., p. 337.

101

la Verità è divenuta totale e definitiva, ovvero all’interno di uno Stato universale ed omogeneo.

Al riguardo Kojève è chiarissimo:

dato che il sapere del Saggio non rivela nient’altro che l’Uomo- nel-Mondo, la realtà che trasforma questo sapere totale e circolare

in verità è lo Stato universale e omogeneo (cioè privo di

contraddizioni interne, lotte di classe, ecc.); il Filosofo non può dunque arrivare al sapere assoluto se non dopo la realizzazione di questo Stato, cioè dopo il compimento della Storia.102

Siamo esattamente al punto centrale, per dirimere la questione della circolarità: la fine della Storia. In vero, aguzzando lo sguardo, sembra evidente che le due nozioni siano talmente intrecciate l’una all’altra, che sarebbe impossibile stabilire un primato tra di esse. Certo entrambe si completano, se è vero che, per Kojève, la Saggezza può realizzarsi soltanto alla fine della Storia, ovvero al compimento dello Spirito, ed «Hegel non si stanca di ripetere che lo Spirito non è origine o inizio, bensì fine o risultato»103

.

È proprio qui che la riflessione kojèviana s’imbatte nella difficoltà di mediare la duplicazione tra il Saggio e l’Autore, ovvero

102

Ibidem.

103

Ivi, p. 534. Nella parte iniziale della sezione VI della Fenomenologia dello Spirito, dedicata allo Spirito, Hegel ne fornisce una definizione chiara: «lo spirito è la sostanza e l’essenza universale, permanente e uguale a se stessa, è il fondamento (Grund) e il punto di partenza (Ausgangspunkt) irremovibile e indissolubile dell’attività di Tutti: in quanto In-sé pensato di ogni autocoscienza, lo spirito è il fine e la meta di tale attività» [Fenomenologia, p. 591]. Secondo R. Dati, alla luce di questo brano, sembra evidente che, nel considerare lo Spirito semplicemente come fine, Kojève manchi di approccio dialettico verso la definizione hegeliana. Se nella nozione di Spirito come fine il russo vede la differenza sostanziale tra la filosofia di Hegel e quella di Fichte, lo studioso, invece, vi individua una carenza nell’interpretazione kojèviana: «la reale differenza – conclude R. Dati – tra il sistema di Fichte e quello di Hegel non risiede, come pretende Kojève, nel fatto che l’uno considera fondamento quello che, per l’altro, invece sarebbe solo risultato, quanto, piuttosto, che in Hegel il risultato finale del Sistema non è altro che lo svolgimento (dialettico) del proprio fondamento, perché questo, proprio perché fondamento, all’inizio si presenta soltanto come immediato, cioè, appunto, come non mediato» [R. DATI, Alexandre Kojève interprete di Hegel, La Città del Sole, Napoli 1998, pp. 43-44].

tra chi conosce la Storia e chi la fa, tra il saper-dire e il saper-fare, tra consapevolezza storica e storia: è questa la diade “non-mediata” tra Napoleone, che incarna il Realizzatore dell’apparizione del Dio reale e vivente (erscheinender Gott), ed Hegel, che è il Saggio, il Rivelatore; tra l’Azione (universale) e il Sapere (assoluto). Questo pone, secondo Kojève, il problema della dualità tra questi stessi due termini:

Da una parte, c’è Bewußtsein; dall’altra, Selbstbewußtsein.

Napoleone è rivolto verso il Mondo esterno (sociale e naturale): lo comprende, poiché agisce con successo. Ma non comprende se stesso […]. Hegel è rivolto verso Napoleone: ma Napoleone è un uomo, è l’Uomo «perfetto» grazie all’integrazione totale della Storia; comprenderlo è comprendere l’Uomo, comprendere se stesso. Comprendendo (= giustificando) Napoleone, Hegel completa dunque la propria autocoscienza.104

Eppure Hegel e Napoleone sono due uomini differenti e il

Bewußtsein e il Selbstbewußtsein, che essi incarnano, a questo livello,

restano ancora del tutto separati. «Hegel, però, non ama il dualismo. Occorre forse sopprimere la diade finale?»105

. Questo è l’interrogativo con cui Kojève chiude il corso del 1936/37 ed al quale proverà a trovare una soluzione fino al 1939, anno in cui si concluderanno le sue lezioni parigine sulla Fenomenologia dello Spirito di Hegel.

104

A. KOJÈVE, Introduzione alla lettura di Hegel, cit., pp. 192-193.

105