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2. Alcune interpretazioni hegeliane in Francia: J Wahl, A Koyré, J Hyppolite e G Bataille

2.3. Wahl, Kojève e Hyppolite

Esiste, dunque, una base comune ai due interpreti (laddove, ben inteso, si consideri soprattutto il Wahl del Malheur) e la si può rintracciare senza grandi difficoltà nella convinzione, per entrambi, che l’idea scientifica di una fenomenologia contenga e costituisca l’intera logica dialettica di Hegel. È perciò alla Fenomenologia dello

Spirito che ci si deve rifare, per non rischiare di assumere la filosofia

hegeliana attraverso uno sterile schematismo. Per entrambi, inoltre, è l’impiego ed il senso di una particolare figura fenomenologica a rivelare il contenuto problematico del pensiero dialettico, costituendo così una vera chiave per misurare l’attualità di Hegel: la coscienza infelice.

Jean Wahl parte proprio da questa figura, per delineare una nuova immagine dell’hegelismo, che si potrebbe indicare per molti versi come alternativa rispetto alla versione ateistica di Alexandre Kojève. La figura della coscienza infelice, infatti, che nella struttura interna della Fenomenologia costituisce il momento della completa interiorizzazione della dialettica Signorià-Servitù, è per Wahl l’anima

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Secondo Vegetti, l’antropologismo che Wahl matura in questa fase, non solo si declina in termini di antihegelismo, ma diviene soprattutto il terreno più fertile per il proliferare degli esistenzialismi, sia quelli cristiani sia quelli atei. «Su questo stesso terreno il Wahl antihegeliano di Heidegger e Kierkegaard fu il primo ad intuire la possibilità di un approccio heideggeriano al testo di Hegel» [M.VEGETTI, La fine della storia. Saggio sul pensiero di Alexandre Kojève, cit., p. 13].

vivente di tutta la dialettica hegeliana. Nella coscienza infelice, inoltre, il rapporto tra certezza e verità, che è continuamente perduto e ritrovato, meglio ancora è trovato come già perduto, sembra finanche anticipare, secondo Wahl, gli esiti cristiani della riflessione di Kierkegaard48

.

Di parere differente, invece, sarà Jean Hyppolite, secondo il quale, nella fase iniziale del percorso di formazione di Hegel, il momento della coscienza infelice coincide con la scomparsa di quell’idea di libertà, intesa come relazione armoniosa tra individuo e comunità, tipica del mondo antico, e con il simultaneo manifestarsi della scissione in due mondi, introdotta dal Cristianesimo49

.

La sua opera, Introduction à la philosophie de l’histoire de

Hegel, pubblicata nel 1948, costituisce uno dei passaggi cardine nella

rilettura di Hegel nel secolo scorso: rompe lo schema tradizionale d’interpretazione mistico-romantica degli scritti giovanili, cogliendone, invece un impegno alla comprensione della dimensione storica dell’uomo nello sviluppo dello Spirito:

la nuova parola d’ordine – scrive Hyppolite – è stata “ritorno alle cose stesse”. Ma è proprio questa la caratteristica degli scritti giovanili di Hegel che forse un po’ a torto sono stati chiamati teologici. In essi Hegel si occupa più di storia che di filosofia; e anche il termine storia è inadatto a caratterizzare questo tipo di

48

«È lo spettacolo – scrive J. Wahl – offertoci dalle pagine della Fenomenologia sulla coscienza infelice. Questa coscienza scissa al suo interno, che oscilla fra l’idea del suo oggetto immutabile e quella della propria mutabilità, distruggendosi regolarmente al contatto di quest’immutabile, e per la quale “la coscienza della propria vita, esistenza e azione non è altro che il dolore di questa vita, esistenza e azione”, non è già la coscienza di Kierkegaard? E nella Fenomenologia non c’è, a partire dalle caratteristiche della coscienza infelice, una specie di deduzione del cristianesimo quale Kierkegaard doveva concepirlo?» [J.WAHL, Hegel e Kierkegaard (1933), in R.SALVADORI (a cura), Interpretazioni hegeliane, cit., p. 127].

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Scrive Hyppolite: «è col cristianesimo che, secondo Hegel, appare la separazione fra al di qua e al di là. Precedentemente, nella polis antica, la religione di un popolo era pura immanenza. Come ritrovare quest’immanenza dopo aver attraversato la scissione cristiana, o coscienza infelice? Questo ci sembra, sotto certi aspetti, uno dei problemi essenziali dell’hegelismo» [J.HYPPOLITE, Introduction à la philosophie de l’histoire de Hegel, Rivière, Paris 1948, trad. it. in R.SALVADORI (a cura), Interpretazioni hegeliane, cit., p. 325].

speculazione! Quel che interessa il nostro pensatore è scoprire lo spirito di una religione o di un popolo, e creare nuovi concetti idonei ad esprimere la vita storica dell’uomo, la sua esistenza in un popolo o in una storia.50

Ecco ora introdotto il concetto di Spirito di un popolo

(Volksgeist), che nella visione di Hyppolite, in quanto presente e

vivente, assume i caratteri della ragione «in verità attuata»:

In esso l’individuo non solo trova la sua destinazione, ma si può dire che l’ha raggiunta, poiché essa non è al di là di lui, ma presente nei costumi e nell’intera vita del suo popolo.51

In questo senso, egli bandisce il panlogismo dalla filosofia hegeliana, mostrando la tensione dalla quale essa è spinta alla determinazione delle condizioni generali dell’esistenza umana. Hegel si occupa della “vita”, secondo il suo interprete francese, ma di una “vita” libera da ogni connotazione biologica, che si presenta come vita dello Spirito e, di conseguenza, inseparabile dalla storia. Così egli si è già espresso l’anno prima (1947):

quando la storia invade tutto il campo del pensiero e dell’azione umana, bisogna andare fino alla radice di questa storia, fino all’esistenza umana che rende possibile questa stessa storia e domandarsi, come ha fatto Hegel, quali siano le condizioni della coscienza di sé, cioè dell’esistenza stessa dell’uomo.52

50

Ivi, p. 314.

51 Ivi

, p. 318. Dal momento che, soprattutto negli anni trascorsi a Tubinga, Hegel si occupa alacremente di sviluppare il concetto di Volksgeist, non stupisce, secondo Hyppolite, che i suoi scritti giovanili trattino di religione. Infatti, «l’incarnazione dello spirito è una realtà insieme individuale e universale che appare nella storia sotto forma di un popolo. L’umanità si realizza nei diversi popoli […]. Ma la religione è proprio uno dei momenti essenziali del genio e dello spirito di un popolo» [Ivi, pp. 319-320].

52

J. HYPPOLITE, La situation de l’homme dans la Phénoménologie hégélienne (1947), in

Études sur Marx et Hegel, Rivière, Paris 1955, trad. it. Saggi su Marx e Hegel, Bompiani, Milano 1963, pp. 185-204.

In questo senso, secondo Dal Pra, l’interpretazione proposta da Hyppolite, non solo potrebbe essere definita come «umanistica»53

, ma per molti versi sembra familiarizzare con quelle di Wahl e Kojève, dal momento che «sottolinea gli aspetti esistenzialistici della fenomenologia hegeliana». Eppure, proprio quando se ne individuano le parentele, essa se ne distacca. In primo luogo, infatti, da un punto di vista ermeneutico, Hyppolite dimostra, soprattutto nella sua opera dal titolo Genèse et structure de la «Phénoménologie

de l’Esprit» de Hegel, una costante esigenza di fedeltà al testo

hegeliano, una cura particolare nell’evitare di sopraffarlo o travisarlo, che si manifesta in una sorta di «compresenza con l’autore della

Fenomenologia». Egli è un lettore di Hegel, un divulgatore. La qual

cosa è certamente assente nelle letture proposte dagli altri due interpreti, come abbiamo già avuto modo di sottolineare. In secondo luogo, sotto un profilo più squisitamente teoretico, il suo interesse per l’uomo, inteso come criterio del mondo storico, distoglie la sua attenzione tanto dall’idea di coscienza infelice, nozione senza dubbio centrale nella lettura wahliana, quanto dal tema della morte, e del

negativo in generale, che costituisce invece uno dei punti focali

dell’interpretazione proposta da Alexandre Kojève54

.

Torniamo, ora, per un attimo ancora, a Jean Wahl e Alexandre Kojève. Sebbene, come si diceva sopra, essi partano quasi tenendosi per mano nel loro viaggio all’interno della Fenomenologia

dello Spirito hegeliana, tuttavia ben presto le mani si divideranno e

ognuno imboccherà una direzione diversa, attratto, e di riflesso coinvolto, da “negazioni” differenti da far affrontare all’uomo, anche in questo caso “umano”. C’è, tuttavia, un terreno comune che li terrà sempre insieme, e s’identifica con l’autocoscienza, intesa come luogo

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E, d’altro canto, è lo stesso Hyppolite ad affermare con entusiasmo che «in questo [nel tratteggiare la vita storica dell’uomo] Hegel è impareggiabile, e gli scritti giovanili ci mostrano il suo sforzo schietto e genuino per pensare la vita umana» [J. HYPPOLITE, Introduction à la philosophie de l’histoire de Hegel, Rivière, Paris 1948, trad. it. cit. pp. 314-315].

54 Cf.

M. DAL PRA, Presentazione, in J. HYPPOLITE, Genèse et structure de la «Phénoménologie de l’Esprit» de Hegel (Paris, 1946), trad. it. cit., pp. xi-xiii.

in cui anche lo speculativo razionale comincia a mettere le tende. È proprio qui, secondo entrambi i pensatori, che la Logica e la formulazione del Concetto trovano linfa vitale.

È autocoscienza, infatti, l’uomo che nega l’animalità rigenerandosi costantemente. Così come è autocoscienza l’uomo che “media” l’immediato attraverso l’idea (non naturale, ma umana) che lo vuole congelare. Ed è ancora autocoscienza la dinamica del Concetto, lo speculativo razionale, che solo grazie all’ingresso del negativo (attraverso il lavoro) può essere “concepito”.

Questi tre momenti non scandiscono necessariamente tre “tempi” diversi, ma si delineano come tre processi sincretici ben differenti, che quasi si danno appuntamento nello stesso luogo, ovvero nell’autocoscienza stessa, che vive nell’esistente e che, forse, finge soltanto di voler scappare via. Sta bene dov’è, perché si realizza lottando, amando, morendo, e sarà tale finché la negazione intrinseca a questa azioni resterà tale, dal momento che, se dovesse annullarsi, ne sancirebbe la fine stessa.

Ed è a questo livello che s’insinua e si sviluppa la riflessione del nostro Kojève, intrecciandosi con quella di Hegel, e a volte nascondendosi dietro di essa. Frequentando le pagine della

Fenomenologia dello Spirito, e ripercorrendo lo sviluppo

dell’autocoscienza, Kojève ritroverà nella dialettica Signoria-Servitù il nucleo fondante ed illuminante della sua stessa idea di Storia. Ma di questo avremo modo di parlare più diffusamente nei capitoli seguenti.

Ora, prima di gettarci a capo fitto nella frequentazione delle pagine dell’Introduzione alla lettura di Hegel, l’ultimo passo di questo capitolo sarà quello di mostrare come la nuova stagione dell’hegelismo francese, inaugurata dai sublimi interpreti finora menzionati, abbia prodotto anche alcune esperienze per così dire “fuori dagli schemi”, raggiungendo esiti inattesi, tra i quali di particolare interesse sembrano essere quelli della riflessione di

Georges Bataille, e soprattutto delle sue idee di sovranità e

dispendio.