La Storia dall’inizio alla fine
2. Dall’Uomo della Lotta all’uomo post-storico
2.3. Il desiderio antropogeno
Riepilogando quanto abbiamo guadagnato finora, appare con una certa evidenza che, all’interno dell’intrepretazione kojèviana del pensiero di Hegel, venga operato un vero e proprio raddoppiamento
riflessivo dell’iniziale monismo statico (di matrice parmenidea),
rappresentato dal Sein, che è la Natura o il Mondo-dato, in una
dualità dinamica (che a breve vedremo essere anche transitoria), che
è rappresentata dalla dimensione storica della esistenza umana, a sua
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volta innescata ed alimentata dalla negatività introdotta dall’Azione dell’Uomo stesso.
Questa nuova dialettica s’innesca allorché il Desiderio
(Begierde) di un’autocoscienza si rivolge verso quello di un’altra
autocoscienza, fronteggiandolo in una Lotta a morte di puro prestigio in vista del Riconoscimento. Tale dialettica, che definiremo del Desiderio del Desiderio, ovvero del Desiderio antropogeno, è il tratto saliente, più personale ed originale, di tutta la speculazione di Kojève rispetto alla guida sistematica che Hegel gli fornisce. D’altro canto, egli stesso lo ammette senza alcuna difficoltà, in un passaggio della già citata missiva a Tran-Duc-Thao:
per quanto concerne la mia teoria del «desiderio del desiderio», neppure essa esiste in Hegel, e non sono sicuro che egli abbia ben visto la cosa. Ho introdotto questa nozione perché avevo l’intenzione di fare, non già un commento della Fenomenologia, ma un’interrpetazione; altrimenti detto, ho cercato di ritrovare le premesse profonde della dottrina hegeliana e di costruirla deducendola logicamente da queste premesse. Il «desiderio del desiderio» mi sembra essere una delle premesse fondamentali in questione e, se Hegel stesso non l’ha colta con chiarezza, considero che, formulandola espressamente, ho realizzato un certo progresso filosofico.58
Procediamo gradualmente ed in modo analitico. In questo brano il pensatore russo, per individuare il suo contributo originale, introduce il sintagma «desiderio del desiderio». In esso egli individua la chiave della trasformazione indeducibile del monismo pre-storico (cioè naturale) in Storia vera e propria, che, infatti, s’identifica esattamente con il movimento attraverso cui il regno animale
(Tierreich) della Begierde (il desiderio naturale) diviene desiderio del
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desiderio dell’altro (désir du désir de l’Autre) all’interno della dialettica hegeliana del Riconoscimento (Anerkennung)59
.
Lo scarto tra Hegel e Kojève, dunque, sembra prodursi proprio nell’alveo di un’analitica del desiderio (che qualche studioso ha definito para-heideggeriana60
), che fa corto circuito sin dalla traduzione kojèviana dell’hegeliano termine tedesco Bergierde con quello francese di désir: è con quest’ultimo, infatti, che deriva direttamente dal latino desiderium, che Kojève pone l’accento sulla
differenza tra il desiderio puramente animale ed istintuale (di mera
sopravvivenza) e quello peculiarmente umano (che invece è rivolto verso un altro desiderio). Questo è ciò che egli definisce come
desiderio antropogeno, attraverso il quale cioè l’uomo naturalmente
dato apre ed entra nel mondo (dialettico) della Storia, in una parola diviene Uomo, con l’iniziale maiuscola61
:
il Desiderio umano – scrive Kojève –, o meglio ancora, antropogeno, […] differisce dunque dal Desiderio animale (costituente un essere naturale, che semplicemente vive e ha soltanto un sentimento della propria vita) per il fatto che si dirige non verso un oggetto reale, «positivo», dato, ma verso un altro Desiderio.62
Nel rapporto tra i sessi, ad esempio, il desiderio umano non si riduce, come quello ferino, alla mera bramosia di un altro corpo (o al soddisfacimento di un istinto), ma si rivolge all’altro-da-sé in termini di «individuo desiderante», nella misura in cui l’uno vuole essere
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Cfr. D.PIROTTE., Alexandre Kojève. Un système anthropologique, cit., p. 80.
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Così si esprime ancora D. Pirotte [cfr. Ibidem].
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M. Vegetti descrive con parole molto efficaci la natura del désir kojèviano: «piuttosto che una brama volta alla soddisfazione tramite oggetti sensibili, l’accezione etimologica illumina il luogo di una mancanza ontologica. L’uomo vi appare come gettato nella distanza che lo esilia dall’ordine del cosmo, dalla salvaguardia delle costellazioni, dal mito di una natura benevola che regge le sorti dell’accadere. L’originale difettività del soggetto è quindi inscritta nella natura del suo desiderio» [M.VEGETTI, La fine della storia. Saggio sul pensiero di Alexandre Kojève, cit., p. 74].
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esattemente desiderato dall’altro, ovvero vuole essere riconosciuto
nel suo valore di individuo umano. D’altro canto, anche quando è rivolto verso gli oggetti naturali il desiderio può definirsi «umano» solo in quanto è «mediato dal Desiderio di un altro che si dirige verso lo stesso oggetto». L’elemento centrale, nell’interpretazione che Kojève propone, risiede nel fatto che si deve considerare peculiarmente «umano desiderare ciò che gli altri desiderano, perché lo desiderano»63
.
Ne deriva, allora, che la Storia umana, non solo si apre con questo desiderio, ma si configura proprio come la storia dei desideri
desiderati. Infatti, se, affinchè l’Uomo sia veramente umano, cioè si
differenzi essenzialmente e realmente dall’animale, è necessario che il suo desiderio umano prevalga su quello animale, che non è altro che il semplice desiderio di conservazione, è solo quando egli rischia la vita in funzione del suo desiderio (che si dirige verso un altro desiderio) che risulta umano in senso pieno, cioè differente dall’essere animale e naturale. È questa Lotta di puro prestigio in vista del Riconoscimento (perché desiderare il desiderio dell’altro vuol dire desiderare che l’altro mi riconosca nella mia autonomia) che garantisce la presenza degli esseri umani sulla terra: «l’essere umano può costituirsi solo a patto che almeno due di questi Desideri si affrontino»64
. È il “gioco di specchi” del riconoscimento, che la dialettica Signoria-Servitù inaugura: ciascuno costituisce uno specchio per l’altro, non già come identico a se stesso, bensì come altra cosa rispetto ad una cosa naturalmente data65
. 63Ibidem . 64 Ivi, p. 21. 65
«Un gioco di specchi – scrive D. Pirotte – s’instaura così, nel quale ciascuno ricercherà nell’altro le tracce della sua propria umanità nascente, provocandolo a distaccarsi dalla pienezza omogenea, non riflettuta, del Vivente. Un tale processo di riconoscimento non potrà ingaggiarsi se non sotto forma di una lotta violenta di puro prestigio» [D.PIROTTE., Alexandre Kojève. Un système anthropologique, cit., p. 92].
L’Uomo realizza (= crea) – commenta Alexandre Kojève – e «manifesta» la propria umanità (= libertà) rischiando la propria vita, o per lo meno, potendo e volendo rischiarla, unicamente «per la gloria» o solo in funzione della sua «vanità» (la quale, con questo rischio, cessa di essere «vana» o «inesistente» e diviene il valore specificamente umano dell’onore).66
Si tratta insomma della formazione del Concetto, che nel pensiero di Kojève designa, per dir così, l’assassinio della Cosa-data naturalmente. Attraverso l’apprendimento del linguaggio, ad esempio, si frantuma l’immediatezza dell’oggetto: esso, infatti, può essere riprodotto, anche in sua assenza, attraverso l’uso della parola. Ma il linguaggio stesso ha un senso se legato all’altro, inteso come altro da sé (ovvero alla dimensione riconoscitiva del nostro rapporto con l’altro), perché noi parliamo utilizzando le parole degli altri e viceversa. Dalla qual cosa, secondo Kojève, si può arrivare ad affermare che noi parliamo esattamente perché gli altri parlano.
A questo livello, si potrebbe aprire una ampia gamma di scenari psicanalitici, che condurrebbero fino alle riflessioni di Lacan, Girard ed Abraham, già ripercorsi da alcuni studiosi, ma che noi qui non intendiamo approfondire67
. Ci interessa piuttosto, in questa sede,
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Anche alla luce del carteggio con L. Strauss, quello dell’orgoglio e del puro prestigio, fattori caratterizzanti l’elemento della vanità, sembrano di chiara matrice hobbesiana. D’altronde, è lo stesso Kojève a sostenere che «Hegel indubbiamente prende Hobbes come suo punto di partenza», tanto che propone all’amico L. Strauss la stesura, mai realizzata, di un lavoro a quattro mani su un confronto tra i due [cfr. A. KOJÈVE a L. STRAUSS, 2 novembre 1936, in A.
KOJÈVE- L. STRAUSS, On tyranny, cit.]. M. Vegetti offre una rapida ricostruzione della
vicenda, commentando che «dalla lettura parallela del commento straussiano a Hobbes e di quello kojèviano a Hegel emerge con chiarezza un’affinità profonda che interseca, in prima istanza, il tema dell’origine storica come effetto dell’ “antithesis vanity-fear”». In realtà, forzando un po’ i termini, sembra che tra Thomas Hobbes e Alexandre Kojève s’instauri un legame molto profondo: «si direbbe che per entrambi la paura rappresenti la scaturigine della storia, cioè della storicità servile». Tuttavia, il fallimento hobbesiano, secondo il filosofo di natali moscoviti, risiede nella sua sottostima del valore del lavoro, dal momento che la sola paura della morte non riesce a condurre l’uomo alla ragione [cfr. M.VEGETTI, La fine della
storia. Saggio sul pensiero di Alexandre Kojève, cit., pp. 118-120].
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Per un quadro esaustivo si vedano i già citati M.VEGETTI, La fine della storia. Saggio sul pensiero di Alexandre Kojève, cit., pp. 73-111 e D.PIROTTE., Alexandre Kojève. Un système anthropologique, cit., pp. 97-110.
guadagnare ed analizzare la nozione di fine della Storia, alla quale le idee già messe in campo di Desiderio, Tempo, Morte, Negatività,
Lotta e Lavoro conducono la riflessione di Alexandre Kojève.