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La Storia dall’inizio alla fine

1. Genesi della nozione

1.3. Il dualismo ontologico di Kojève.

Alexandre Kojève, nel raccogliere l’eredità didattica dell’amico presso l’École Pratique des Hautes Études, ne ripercorre le analisi hegeliane e vi lavora su, sciogliendone alcune difficoltà, smussandone alcuni angoli ermeneutici, fino a renderle proprie e del tutto originali. Solo l’aporia cui giunge Koyré gli crea una forte difficoltà, ma anziché denunciarne l’illogicità, ne resta, piuttosto, affascinato e ne radicalizza fino al paradosso le conseguenze19

.

La critica fondamentale che Kojève muove verso Hegel è quella di essere rimasto imprigionato nella tradizione di un monismo

ontologico, che può farsi risalire fino all’antica Grecia, fondato sull’unica categoria parmenidea della “identità”. Se, per un verso, egli

18Ivi

, pp. 166-167.

19

D. Auffret scrive al riguardo: «se è certo che Koyré non comprende davvero Hegel – egli dà una definizione dell’uomo che Hegel propone per caratterizzare l’essenza del tempo nella Natura –, Kojève pensa che si debba radicalizzare l’interpretazione di Koyré al punto di farne, non un’aporia nel pensiero hegeliano, ma una chiave di lettura della Fenomenologia dello Spirito. Quando Koyré vede nella fine della Storia una conseguenza “assurda” della metafisica hegeliana, Kojève vi suppone la soluzione infinitamente paradossale per comprendere la Storia universale e il presente del Mondo» [D. AUFFRET, Alexandre Kojève. La philosophie, l’État, la fin de l’Histoire, cit., pp. 321-322].

ha il merito di aver introdotto le categorie dialettiche della “negatività” e della “totalità”, analizzando l’essere umano, per altro verso, tuttavia, secondo Kojève, ha commesso un errore, allorchè le ha applicate in modo del tutto arbitrario alla Natura:

Questa estensione – analizza Kojève – non è per nulla giustificata (e in Hegel nemmeno discussa). Infatti, se il fondamento ultimo della Natura è l’identico Essere-statico-dato (Sein), non si trova in

esso nulla di comparabile ad un’Azione (Tun) negatrice, che

costituisce la base dell’esistenza specificamente umana o storica.20

Per il filosofo di origini russe, sembrerebbe, dunque, necessario elaborare due forme di ontologia: quella dell’Essere- statico-dato (Sein), che si fonda sull’ “identità”, ed è riferibile al discorso sulla Natura; e quella dialettica dell’Uomo e della Storia.

L’errore monistico, che egli imputa ad Hegel, produce due conseguenze decisamente problematiche: da una parte, il tentativo di elaborare una metafisica ed una fenomenologia dialettiche della Natura, che risultano inaccettabili nella sostituzione della scienza classica; dall’altra parte, con l’ammissione della dialetticità di tutto, anche dell’Essere-dato naturale, Hegel si trova quasi costretto ad individuare nella “circolarità” l’unico criterio di verità del sapere. Ma proprio in questo Kojève individua una profonda contraddizione:

Ora, noi abbiamo visto che la circolarità del sapere relativo all’Uomo è possibile solo al termine della Storia; infatti, fintanto che l’Uomo muta radicalmente, cioè si crea altro da quello che è, la sua descrizione, anche se corretta, è sempre una «verità» parziale e del tutto provvisoria. Se, dunque, la Natura è creatrice o

20

storica allo stesso titolo dell’Uomo, la verità e la scienza propriamente dette sono possibili solo «alla fine dei tempi»?21

La conseguenza necessaria sarà che, in attesa dell’arrivo della fine, il sapere potrà limitarsi semplicemente ad oscillare tra lo

scetticismo, inteso in tuttte le sue forme (dal relativismo, allo

storicismo, al nichilismo) e la fede di matrice religiosa.

Occorre pertanto, secondo Kojève, ammettere un dualismo

ontologico, dal momento che applicando la categoria di “identità” alla Natura se ne può costituire una scienza, così come avviene generalmente. Il che è possibile perché essa non è esposta ad una mutevolezza incessante, alla stregua dell’Uomo, se lo fosse, sarebbe assolutamente incomunicabile nel tempo. Questo è ciò che suggeriscono le lingue, ad esempio: se non esistesse un essere reale identico e dato che incarna il cane, non potremmo mai comunicarlo attraverso le parole Hund o canis (esiste cioè il cane reale, che è identico in Francia, Germania e nella Roma imperiale). Ciò implica che anche rispetto al passato si può maturare una comprensione da parte delle generazioni presenti e future, ma solo a patto che si ammetta un’ontologia dualistica, di cui il pensatore russo fornisce una celebre metafora molto efficace:

prendiamo un anello d’oro. Esso ha un buco, e questo buco è altrettanto essenziale all’anello dell’oro: senza l’oro, il «buco» (che, d’altronde, non esisterebbe) non sarebbe anello; ma, senza il buco, neanche l’oro (che pure esisterebbe) sarebbe anello. Ma, se nell’oro si sono trovati degli atomi, non è affatto necessario

cercarli nel buco. E niente dice che l’oro e il buco sono

assimilabili. Il buco è un nulla che sussiste (in quanto presenza di un’assenza) solo grazie all’oro che lo circonda. Allo stesso modo,

21

l’Uomo che è Azione potrebbe essere un niente che «nientifica» nell’essere, grazie all’essere che egli nega.22

È interessante notare che il “niente” di cui si parla qui, che nell’Ateismo abbiamo visto essere relegato “al di fuori del mondo”, si manifesta ora proprio “in seno al mondo”: si tratta della riconquista della negatività attiva e produttrice del desiderio antropogeno, che Kojève riguadagna con l’ingaggio della Lotta per il Riconoscimento di sé come non-dato nella datità. E questa Lotta per il Riconoscimento, che si performa hegelianamente innescando la dialettica Signoria- Servitù, non è altro che l’inizio della Storia.