La Storia dall’inizio alla fine
2. Dall’Uomo della Lotta all’uomo post-storico
2.1. L’indeterminismo scientifico
È interessante notare che Kojève non fornisce mai indicazioni dettagliate circa la struttura dell’Uomo (o dell’Esserci, il che è lo stesso), ma si limita ad indicarne la genesi nell’unico atto antropogeno che è quello della Lotta, nel quale, in realtà, avviene una sorta di «presentificazione»36
della morte. In altri termini, nell’accettazione del rischio di morire, che l’individuo corre ingaggiando una Lotta di puro prestigio, egli trascende la sua mera datità, ovvero il suo esser-dato in quanto ente naturale, per riconoscersi (ed essere riconosciuto) come autocoscienza. In questo istante, egli guadagna libertà e storicità, «la quale non è altro se non l’individualità libera o libertà individuale o individualizzata»37
. È possibile, di conseguenza, affermare che una tale Lotta, cioè la «prima Lotta per il Riconoscimento», risulti antropogena esattamente nella misura in cui implica il reale rischio della vita.
La Storia per Hegel, spiega Kojève, inizia esattamente con questo atto antropogeno e si contraddistingue, nel suo procedere, come «lo svolgimento della “contraddizione” (Widerspruch) che nasce dalla soluzione “immediata” (unmittelbar) di questo primo conflitto sociale o umano, per l’opposizione (Entgegensetzung) della Signoria e della Servitù»38
.
Se paragonassimo la Storia ad un edificio, ci renderemmo conto con maggiore chiarezza della centralità dell’Uomo in essa. Egli ne costituirebbe senza dubbio il materiale fondativo, alla stregua dei
36
Cfr. M.VEGETTI, La fine della storia. Saggio sul pensiero di Alexandre Kojève, cit., p. 55.
37
A. KOJÈVE, Introduzione alla lettura di Hegel, cit., p. 647.
38
Ibidem. M. Vegetti fa notare che il termine Servo, che nel tedesco hegeliano è Knecht, nell’oscillazione linguistica al francese di Kojève si trasforma in Esclave, «come se Hegel – puntualizza lo studioso – facesse riferimento al termine di Sklave piuttosto che all’area semantica occupata dal dienen, dal servire», il che «innesca poi tutt’altra catena di significati, che Kojève non mancherà di sfruttare» [M.VEGETTI, La fine della storia. Saggio sul pensiero di Alexandre Kojève, cit., p. 117].
mattoni, dal momento che essa origina dall’elemento negatore introdotto dalla sua Azione, senza la quale non il processo storico s’innescherebbe puno. Ma proprio perché si fonda sull’Azione
dell’Uomo, egli sarebbe al contempo anche il costruttore, ovvero il
muratore, nonché l’architetto del medesimo edificio storico. Inoltre, egli vestirebbe anche i panni di «colui per il quale questo edificio viene costruito: ci vive, lo vede e lo comprende, lo descrive e lo
critica»39
.
Il che implica che «per sapere ciò che è la Storia, occorre sapere ciò che è l’Uomo che la realizza»40
. L’Uomo è mortale e, se non fosse tale, la Storia non avrebbe alcun senso. Se, infatti fosse eterno (in un’accezione esclusivamente temporale, cioè se vivesse «fintanto che dura il Tempo»), egli potrebbe subire un’evoluzione, nella stessa misura in cui la subiscono le piante o gli animali, cioè svilupperebbe una natura che gli è già data e, per questo, non conoscerebbe alcuna fine. Una qualunque situazione storica, invece, esige una certa «serietà» in quanto tale, che si recupera solo a partire dalla fallibilità (dal rischio della fine) del suo attore-creatore, che è appunto l’Uomo:
unicamente – commenta con una certa ironia Kojève – a causa della finitezza essenziale dell’Uomo e della Storia questa è qualcosa di diverso da una tragedia, se non da una commedia, recitata da attori umani per il divertimento degli dei.41
La morte dell’Uomo, dunque, risulta ben diversa dalla semplice fine di un essere naturale, perché essa costituisce l’apparizione nel Mondo della Negatività, «che è il vero motore della dialettica»: la Morte, infatti, sopprime l’Uomo dialetticamente, cioè hegelianamente conservandolo e, al contempo, sublimandolo. Non si
39
A. KOJÈVE, Introduzione alla lettura di Hegel, cit., p. 203.
40Ivi
, p. 202.
41
sta parlando qui di una sorta d’immortalità (intesa come una mera «sopravvivenza» eterna nell’Essere-dato), piuttosto si può affermare che «nella e mediante la sua morte, l’Uomo si annienta completamente e definitivamente; egli diventa, se così si può dire, puro Nulla (Nichts), cessando d’essere Essere-dato (Sein)»42
. Egli, in questi termini, «trascende» la propria morte attraverso il pensiero, cioè si distingue dall’animale proprio perché si pensa mortale, e può pensarsi tale perché sa di esserlo. In questo senso, secondo Kojève, il famoso ragionamento di Epicuro (non si deve temere la morte perché, finché ci siamo noi, la morte non c’è e, viceversa, quando c’è la morte noi non ci siamo più) risulta valido solo per gli esseri non dialettici, che subiscono la propria fine senza mai poterla anticipare, perché essa è «in sé e per altro». La morte dell’Uomo invece è «per sé», o meglio, l’Uomo è mortale per se stesso, è il solo a poter vivere sapendo di morire43
.
È questo il fondamentale passaggio dal semplice Selbestgefühl, sentimento di sé comune a tutti gli animali e gli esseri naturali e “immediatamente” dati, al Selbstbewußtsein, l’autocoscienza umana, tipica dell’essere dialettico, che si produce soltanto nell’atto di mettere a rischio la propria vita44
.
42Ivi
, pp. 648-649. Secondo M. Vespa, sarebbe precisamente questa umanizzazione del Nulla e della Negatività, chiave di volta del dualismo ontologico ipotizzato da Kojève, «a impedire un accostamento con Heidegger: qui il Dasein è posto come esistenza empirica […] ovvero semplice presenza (Vorhandenheit) e manipolabilità (Zuhandenheit): viene perciò escluso ogni tratto di quella apertura trascendentale-orizzontale caratteristica di Sein und Zeit» [M.VESPA,
Temporalità e negazione: Kojève, Heidegger e la fenomenologia dello spirito, in Archivio di filosofia, 1-3, 1996, pp. 853-878].
43
Cfr. A. KOJÈVE, Introduzione alla lettura di Hegel, cit., p. 650 (n. 1).
44
«Il senso della Storia – scrive D. Pirotte riflettendo sulla nozione kojèviana di morte – è, è sempre stato e sarà sempre spettrale, se la riflessività storica è il movimento attraverso il quale un vivente, tra i viventi, la nega – e si nega –, per rivelarsi e rivelarla, in questo scarto col Bios. La Storia è il movimento stesso dell’inscrizione di una “morte differita” nella positività del Vivente. Questa inscrizione non è certo la Morte stessa, nella sua effettività – poiché la morte effettiva ricongiunge il ciclo del Vivente con la sua indifferenzazione primordiale […]. Sarebbe fraintendere il senso profondo della negatività kojèviana vedervi un pensiero che celebra la morte, la distruzione, ed opporgli, in un gesto irenico, l’antidoto di uno “spinozismo” incrollabile destinato a celebrare il “Vivente”, per il quale l’idea della morte è quanto di più “estraneo” vi sia. L’Uomo è l’animale che scopre di essere mortale e, per questa stessa ragione, rifiuta di morire, rimanda la sua morte a più tardi» [D.PIROTTE., Alexandre Kojève. Un système anthropologique, cit., p. 160].
La comprensione dialettica, pertanto, si può applicare solo alla realtà storica, quella cioè creata dal Lavoro umano, e non può rivolgersi alla Natura che è già data precedentemente nello spazio (ma, si badi, non nel tempo), perché essa, nella sua datità naturale, è inconoscibile, o più esattamente è incomprensibile attraverso il discorso concettuale, che invece è sempre dialettico45
:
Non vedo inconvenienti – afferma Kojève – a dire che il Mondo naturale si sottrae alla comprensione concettuale. Infatti, questo significherebbe soltanto che l’esistenza della Natura si rivela, per esempio, mediante l’algoritmo matematico, e non mediante concetti, cioè parole, aventi un significato. Ora la fisica moderna approda al risultato secondo cui non è possibile parlare della realtà fisica senza contraddizioni. Non appena si passa dall’algoritmo alla descrizione verbale, ci si contraddice (per esempio, corpuscoli-onde)46
. Non ci sarebbe dunque discorso in
45
In questa negazione dell’applicabilità della dialettica alla Natura Jean Wahl individua uno dei tratti salienti dell’esistenzialismo francese, su cui Kojève sembra avere esercitato una profonda influenza, in particolare su Sartre [cfr. J. WAHL, Tableau de la philosophie française, Gallimard, Paris 1962]. In un altro luogo, J. Wahl afferma che in Kojève «si può trovare abbozzata la separazione fra i due campi del reale, ossia per usare i termini di Sartre, fra l’in-sé e il per-sé» [J. WAHL, A proposito dell’Introduzione alla Fenomenologia, cit., p. 48]. Tali
parentele sono state individuate da molti altri interpreti: da N. Bobbio (Studi hegeliani, cit., pp. 225-226) a R. Salvadori (Hegel in Francia, cit., p. 44) a M. Poster (Existentialism Marxism in Postwar France: From Sartre to Althusser, Princeton University Press, Princeton 1975). Qualcun altro ha perfino voluto annoverare il pensiero di Kojève tra gli esistenzialismi francesi [cfr. G.PLANTY-BONJOUR, Le project hégélien, J. Vrin, Paris 1993, pp. 9-24], ipotesi da cui
dissente M. Vegetti, che ne denuncia l’errore di prospettiva storicista: «noi non sosteniamo che ciò sia “falso”, ma piuttosto che si tratti di un errore prospettico: è l’esistenzialismo francese ad essere (in parte) kojèviano, e non viceversa» [M. VEGETTI, La fine della storia. Saggio sul pensiero di Alexandre Kojève, cit., p. 66 (n. 70)].
46
In un’opera del 1933, deticata al determinismo nella fisica classica e moderna, Alexandre Kojève denuncia la contraddizione della scienza nel definire il fotone contemporanemente come un corpuscolo e come un’onda. «Ora – argomenta il russo – è evidente che impiegando i termini “onda” e “corpuscolo” nel loro significato intuitivo, ci troviamo in presenza di una flagrante contraddizione. Un’onda del mondo biologico non può certo essere un “corpuscolo”, una “cosa” dai limiti netti e immutabili: tra i due non vi è per dir così nulla in comune. In generale, è assolutamente impossibile concepire un’entità reale che sia allo stesso tempo onda e corpuscolo[…]. Ora, poiché è impossibile applicare a un individuo fisico una di queste nozioni (biologiche) senza applicargli anche l’altra, c’è solo un modo per evitare la contraddizione ed è quello di dichiarare che le due nozioni sono in fondo inapplicabili, che l’entità fisica non è, in ultima analisi, né onda né corpuscolo» [A. KOJÈVE, L’idée du
grado di rivelare la realtà fisica o naturale. Questa (già secondo la presentazione di Galileo) si rivelerebbe all’uomo solo mediante il
silenzio articolato dell’algoritmo. La materia fisica si comprende
concettualmente, o dialetticamente (se ne può parlare), solo nella misura in cui essa è la «materia prima» di un prodotto del lavoro umano.47
In effetti, secondo Kojève, il discorso scientifico, tutto rivolto a considerare l’oggetto indipendentemente dal soggetto che lo osserva, si limita a descrivere un’astrazione (Bestehen), non già il reale. Nel contempo, col suo linguaggio matematico, la «scienza volgare» descrive il reale in quanto dato ad un soggetto anch’esso a-storico e indefinito. La verità, invece, ovvero la realtà rivelata, è in generale la «coincidenza del pensiero o conoscenza descrittiva con il Reale concreto», dunque è erroneo considerare il reale alla stregua di una cosa in sé di matrice kantiana, una sorta di oggetto fisso e immutabile, dal momento che l’osservatore (nell’atto stesso della sua conoscenza descrittiva) lo perturba costantemente. Dalla qual cosa si può concludere che «non esiste verità scientifica in senso forte». Lo scienziato, infatti, può pensare e conoscere l’oggetto della propria indagine sempre e solo nella misura in cui questo risulta essere
«l’insieme dell’Oggetto conosciuto dal Soggetto o del Soggetto che
conosce l’Oggetto»48
.
In questo Kojève applica la lezione della fisica contemporanea che è approdata, tra le altre cose, al principio d’indeterminazione di Heisenberg e al principio delle nozioni complementari di Bohr. La teoria dei quanti di Plank, e lo sviluppo delle sue applicazioni sull’atomo nell’ambito della fisica quantistica (si vedano Bohr, Heisenberg e Schrödinger, per l’appunto), costituiscono, secondo il
determinisme dans la physique classique et dans la fisique moderne (1933), Le livre de Poche, Paris 1990, pp. 181-182].
47
A. KOJÈVE, Introduzione alla lettura di Hegel, cit., p. 471 (n. 1).
48
raffinato pensatore franco-russo, una frattura epistemologica insanabile nell’ambito della scienza moderna: esse scardinano, di fatto, il determinismo atomistico, imperante nella fisica di matrice newtoniana, mostrando come non sia mai realmente possibile un’osservazione fisica senza che in essa stessa venga alterato lo stato dell’oggetto osservato.
Tutto ciò rigetta d’un sol colpo l’ideale di un sapere di natura intuitivo-teologica, cui l’uomo parteciperebbe, approssimandovisi per verifiche empiriche, ed introduce, allo stesso tempo, l’elemento “ateistico”, con l’affermazione di un dualismo di sistema tra l’osservato e chi osserva, secondo il quale, ormai, non è più possibile ritenere che l’oggetto dell’indagine scientifica sia una realtà autonoma rispetto al soggetto inquirente49
.
Tutto ciò funge da grande incubatrice della teoria kojèviana della fine della Storia: è, infatti, con l’elemento della negazione, che solo l’uomo mediante il Lavoro introduce nella Natura (nonché nella scienza e che fa di lui l’Uomo stesso), che si rende possibile l’approdo al Concetto, dunque al sapere scientifico, il quale si configura soltanto ora alla stregua di un Realismo.