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L’ateismo e/è l’interrogazione filosofica

1. Alla ricerca di una religione atea

1.2. Tra teismo ed ateismo.

Secondo quanto lo stesso Kojève scrive in una nota, nell’ultima pagina del manoscritto, il testo de L’Ateismo, ben lungi dal costituire un’opera conclusa, rappresenta piuttosto soltanto il primo capitolo di un lavoro ben più ampio di carattere sistematico8

, che per tutta la vita egli cercò di portare a compimento senza riuscirvi. In effetti, tutto il suo sforzo speculativo si delinea come una tensione indefessa al

sistema, la filosofia in generale è per Kojève da intendersi come un

Sapere sistematico, tanto che arriva ad affermare:

la filosofia dell’ateismo non si differenzia dalla filosofia in genere. Qui e sempre nella filosofia non ci sono e non possono esserci questioni personali, vale a dire che parlando in senso filosofico di qualcosa si parla di tutta la filosofia. Per questo, idealmente, ha senso solo un «sistema» filosofico che tutto comprenda.9

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Di questo scritto oggi possiamo disporre: del manoscritto originale in russo, redatto a Parigi in poco più di tre mesi fra l’estate e l’autunno del 1931; di un’edizione francese, curata dalla compagna di Kojève, Nina Ivanoff (Gallimard, 1998); e di una recentissima traduzione italiana di C. Zonghetti, edizione a cura di M. Filoni e E. Stimilli (Quodlibet, 2008), della quale ci serviremo nella nostra analisi.

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«Questo libro – scrive nella nota 219 – è solo un abbozzo di una mia fantasia che non risolve il problema di chi sia nel giusto tra ateismo e teismo. I. “Filosofia dell’inesistente” (ontologia); II. Filosofia dell’esistente: 1. Scienza, 2. Attitudine attiva, 3. Estetica ed Etica, 4. Religione e Mistica; III. Filosofia della filosofia» [A. KOJÈVE, L’Ateismo, cit., p. 153].

9

Il punto di partenza della filosofia dell’ateismo è costituito dall’interrogazione circa il paradosso, incarnato nel buddhismo, della possibilità di una religione ateistica. È comunemente risaputo che in questa religione generalmente non è prevista la presenza di una divinità trascendente, ma il percorso di fede è rivolto principalmente alla ricerca di un’universalità ritmica all’interno dell’individuo stesso, che lo rende capace di raggiungere l’armonia con la legge dell’intero universo di cui egli stesso fa parte (Dharma).

Secondo il raffinato pensatore russo, tuttavia, il paradosso che si cela sotto l’affermazione di una religione ateistica è solo apparente, a patto che si calibri correttamente la nozione di “ateismo”:

se con ateismo – precisa Kojève – è da intendersi la negazione di Dio, il concetto di «religione ateistica» può avere ragion d’essere, a patto d’intendere la religione in senso alquanto lato.10

In queste righe non solo è contenuta la tesi di fondo di tutta l’opera, ma si esprime l’intento programmatico dell’intera riflessione kojèviana, che da partendo dall’interrogazione su Dio conduce fino alla fine della Storia, attraversando ed utilizzando la lezione fenomenologica di Hegel, impossessandosene e ruminandola fino a renderlo quasi indistiguibile dalla sua propria.

Ora, se, come appena affermato, l’ateismo è la negazione di Dio, il primo rilievo mira a precisare quale sia la natura e quale l’oggetto di questa negazione. Negazione di Dio significa, qui, niente più che la semplice negazione dell’esistenza di Dio, non già della sua esistenza fisica (prerogativa peculiare degli uomini, degli animali e delle cose di questo Mondo), bensì della sua esistenza intesa in termini di sostanzialità. Di modo che tale negazione non ne escluda la mera presenza, ma neghi ogni altro possibile attributo della

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divinità. In questi termini Dio, che si configura adesso come Nulla, è del tutto privo di ogni genere di qualcosità: non è qualcosa, ma Nulla.

Diremo che ogni qualcosa – spiega Kojève – è l’essere e ogni essere è qualcosa, laddove il nulla, che da tali qualcosa è diverso, è il non-essere; il qualcosa esiste, il nulla no. E allora, negando che Dio sia qualcosa, l’ateismo ne nega l’esistenza, laddove chi professa una qualunque religione non ateistica ne afferma l’esistenza.11

In questo senso, dunque, tra l’essere (il qualcosa) e Dio (il nulla) non possono esserci rapporti di sorta, non avendo i due termini niente in comune: e cosa mai potrebbe aver in comune, se il primo esiste, mentre il secondo no? E, di conseguenza, non se ne potrebbe finanche dire nulla, per il semplice motivo che non ci sarebbe nulla da dire. Insomma per l’ateo la negazione di Dio è «radicale e semplice»: Dio non esiste!

Eppure già a questo livello Kojève comincia ad insinuare alcuni elementi di carattere dubitativo, spiegando che per l’uomo ateo Dio non esiste, esattamente allo stesso modo in cui non esiste per le cose naturali, come, ad esempio, per una pietra.

Solo che – precisa immediatamente – la pietra (è l’ateo ingenuo, in caso esista) non sa che Dio non c’è, mentre l’ateo sì. Per analogia non vedo il tavolo, oppure vedo che il tavolo non c’è. Dunque l’ateismo presuppone il teismo?12

A questo punto, per capire se sia possibile una religione ateistica, occorre trovare una declinazione del termine religione che riesca a rendere conto contemporaneamente tanto del teismo quanto

11Ivi,

p. 23.

12

dell’ateismo. Ecco perché, pur non proponedone una fenomenologia dettagliata, Kojève sente il bisogno di partire da una religione che esiste realmente e che è comunemente considerata ateistica, come il Buddhismo, al fine di comprendere se essa possa essere considerata alla stregua di un ateismo in senso radicale. E lo stesso filosofo ci fornisce le coordinate programmatiche della sua analisi:

Ovviamente – precisa in nota al suo scritto – l’analisi del buddhismo è possibile soltanto sulla base di una fenomenologia della religione in genere. È mia opinione, pertanto, che tale fenomenologia non possa essere data sulla base della pura

Wesenschau; essa deve insorgere gradualmente dall’analisi delle religioni di fatto. La giusta via per una ricerca sarà: 1) analisi preliminare delle religioni storiche atta a fornire materiale per la fenomenologia dell’impostazione religosa in quanto tale; 2) fenomenologia della religione in genere; 3) analisi completa e ragionata delle religioni storiche sulla basa della fenomenologia del fenomeno religioso.13

Tracciato il piano d’azione, il pensatore di origini russe affronta la questione di petto. Nella terminologia kojèviana la negazione degli attributi divini non implica necessariamente la negazione di Dio stesso, dal momento che comunque, anche privo di attributi, Dio sarebbe qualcosa piuttosto che nulla. Questa è esattamente la posizione del teismo puro, secondo il quale non si potrebbe aggiungere nulla al fatto che Dio è qualcosa, se non che è qualcosa di diverso da me. Precisazione indispensabile per evitare di cadere nel

solipsismo, che Kojève considera un atteggiamento artificiale e

sostanzialmente assurdo, capace di affermare solo l’io senza alterità, fino a confonderlo con Dio stesso. In realtà, spiega il raffinato russo,

13

«io e non-io sono perfettamente e ugualmente autentici: l’uomo è dato a se stesso non nel vuoto, ma nel mondo»14

.

La differenza, dunque, tra un teista puro e un ateo sta nel fatto che, mentre quello afferma l’esistenza di un qualcosa privo di attributi (che chiama Dio), questo invece nega tale possibilità. D’altronde, poiché sia l’io che il non-io (inteso come mondo esterno) sono qualcosa di caratterizzato e qualificato, il teista puro recupera Dio individuando un ulteriore qualcosa non qualificato. E, non essendo possibile una molteplicità di qualcosa non qualificati (o almeno non sarebbero distiguibili gli uni dagli altri, secondo una semplice applicazione del principio degli indiscernibili), si può concludere, secondo Kojève, che il teismo puro sia essenzialmente un monoteismo.

A questo punto, l’ateismo sembra configurarsi come l’antitesi al teismo puro:

tutto ciò – argomenta Kojève – che per il teista confluisce in qualcosa di omogeneo e privo di attributi, l’ateo, senza differenziarlo e senza modificarlo, lo precipita nell’abisso del non- essere.15

Appare chiaro che la diatriba, innescatasi tra i due, in questi termini sia di natura logica, psicologica, finanche ontologica, ma certo non religiosa. Dal punto di vista strettamente religioso, infatti, le differenze evidenziate da Kojève non distinguono il teista puro dall’ateo. Affinchè il discorso acquisisca carattere specificamente religioso, bisogna considerare che in effetti il teista puro non è mai realmente esistito, non in termini di Homo religiosus. Questi, riconosce oltre all’io e al mondo un qualcosa dotato di uno o più attributi (dunque qualcosa qualificato) e lo chiama Dio; per l’ateo,

14Ivi

, p. 28.

15

invece Dio non c’è. L’io e il mondo sono essi stessi qualcosa di qualificato, così come Dio, la differenza tra di essi allora si gioca tutta dalla parte degli attributi che li qualificano. Se l’ateo negasse semplicemente gli attributi che fanno di questo qualcosa Dio, allora egli coinciderebbe con il tesita puro, anzi, si potrebbe affermare più precisamente che il puro teismo non sarebbe altro che una forma di ateismo. L’unica cosa, in effetti, che hanno in comune il teista puro e quello qualificativo è che per entrambi Dio è un qualcosa, sebbene “semplicemente non qualificabile” per l’uno e qualificato (spesso “onni-qualificato”) per l’altro. L’ateo, invece è colui per il quale Dio non è (o è nulla).

1.3. “Dio non è non-Dio”: la datità di Dio fuori dal