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La sentenza di non luogo a procedere: caratteristiche generali In base all'articolo 424 c.p.p., all'esito dell'udienza preliminare il giudice

GLI ESITI DELL'UDIENZA PRELIMINARE

2.2. La sentenza di non luogo a procedere: caratteristiche generali In base all'articolo 424 c.p.p., all'esito dell'udienza preliminare il giudice

può negare l'accesso al dibattimento alle imputazioni che ritiene non meritevoli, emettendo una sentenza che attesti che non vi è “luogo”, cioè che non vi sono le condizioni per procedere alla fase successiva, appunto quella dibattimentale.

Si tratta di una decisione con funzione procedurale che mira ad arrestare l'iter processuale dopo una prognosi di probabile inutilità del dibattimento, «fondata su risultanze positive pro reo o anche sulla mera insufficienza delle risultanze in suo danno, in base al principio in dubio

pro reo»18.

La decisione di non luogo a procedere ha quindi la forma della sentenza, la quale deve essere sommariamente motivata e di cui il giudice deve dare immediata lettura, che equivale a pubblicazione e notificazione per le parti presenti; dopodiché deve essere immediatamente depositata in cancelleria, ove le parti hanno diritto di ottenerne copia. Solo in casi eccezionali, ove non sia possibile procedere alla stesura immediata dei motivi, il giudice può differire tale adempimento non oltre il trentesimo giorno da quello della pronuncia.

Se per le parti presenti la lettura sostituisce la notificazione, per gli assenti vale la regola, di carattere generale, art. 128 comma 2 c.p.p., in

17 Così, testualmente, Cass. pen., S.U., sentenza n. 39915, Vottari, del 30 ottobre 2002, in Cass. pen., 2003, vol. I, p. 396, con nota adesiva di G. DIOTALLEVI, La possibilità

di rivalutare i gravi indizi di colpevolezza per il reato per cui è stata applicata una misura cautelare dopo l'emissione del decreto di rinvio a giudizio: le Sezioni Unite ricompongono il quadro giurisprudenziale tra pronunce della Corte costituzionale e

arrets di legittimità, ivi, pp. 405 ss.; v. anche, Cass. pen., S.U., sentenza n. 39915, Vottari, del 30 ottobre 2002, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2003, p. 1014, con nota di M. DANIELE, Fumus delicti ex art. 273 c.p.p. e decisione di rinvio a giudizio, ivi, pp. 1027 ss..

forza della quale l'avviso di deposito deve essere notificato a tutti coloro ai quali spetta il diritto di impugnare. Inoltre nel caso di imputato dichiarato assente, l'avviso deve essere integrato dall'estratto della sentenza e occorre comunque notificarlo a tutti i soggetti, assenti o presenti in aula, qualora la motivazione sia depositata oltre il trentesimo giorno dalla pronuncia della decisione.

L'articolo 425 del c.p.p., si apre sancendo le ipotesi in presenza delle quali occorre emettere sentenza di non luogo a procedere: «se sussiste una causa che estingue il reato o per la quale l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita, se il fatto non è previsto dalla legge come reato ovvero quando risulta che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o che si tratta di persona non punibile per qualsiasi causa, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere, indicandone la causa nel dispositivo».

Risultano così codificate le cause tipiche della sentenza di non luogo a procedere costituenti altrettante formule terminative:

• il reato è estinto (per la morte del reo, per remissione di querela, per amnistia, per prescrizione, per oblazione);

• l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita (ad esempio, perché manca una condizione di procedibilità: querela, istanza, esistenza del segreto di Stato confermato dal Presidente del Consiglio dei ministri);

• il fatto non è previsto dalla legge come reato;

• il fatto non sussiste (per mancanza di un elemento oggettivo del reato: azione, evento, nesso di causalità);

• l'imputato non lo ha commesso (perché estraneo alla commissione dell'illecito posto in essere da altri);

• il fatto non costituisce reato (per mancanza dell'elemento soggettivo del reato: dolo o colpa, ovvero perché sussiste una

causa di giustificazione);

• l'imputato è persona non punibile per qualsiasi causa.

Anche per la sentenza di non luogo a procedere è quindi prescritto che risulti dal dispositivo la relativa causa, ossia che risulti la formula di cui si è fatto uso e benché il codice le elenchi in ordine diverso, la gerarchia delle formule di non luogo a procedere sembra la stessa che una collaudata tradizione ha assegnato alle formule di proscioglimento o di assoluzione. È inoltre implicita l'applicabilità della regola, contenuta nell'art. 129 comma 2 c.p.p., della prevalenza del proscioglimento di merito su quello per estinzione del reato.

La declaratoria di non luogo a procedere consegue, in primo luogo, alla constatazione dell'esistenza di una di quelle condizioni in presenza delle quali il pubblico ministero avrebbe dovuto richiedere l'archiviazione degli atti. Si può trattare di una causa d'estinzione del reato, d'improcedibilità dell'azione penale o d'inesistenza di una norma che preveda il fatto come reato.

Sotto questo profilo la sentenza di non luogo a procedere funge da norma di chiusura del sistema d'archiviazione: se non si è valutata la sussistenza di una causa d'inutilità del dibattimento o se questa sia sopraggiunta dopo la richiesta di rinvio a giudizio, il giudice, all'esito dell'udienza, ribadisce, con il non luogo a procedere, che l'azione penale non sarebbe dovuta iniziare o che, comunque, non vi è necessità del giudizio dibattimentale. In secondo luogo la sentenza va pronunciata quando risulti che il fatto non sussiste, che l'imputato non lo ha commesso, che il fatto non costituisce reato, che l'imputato è persona non punibile per qualsiasi causa.

I poteri decisori del giudice corrispondono dunque a quelli del giudice del dibattimento perché le formule terminative del giudizio dibattimentale, in virtù delle quali l'assoluzione viene disposta, sono applicabili anche in questa fase: sia perché sono emerse prove a discarico

sia perché mancano, sono insufficienti o contraddittorie le prove a carico. La corrispondenza, ovviamente, tiene conto del diverso ambito cognitivo riservato all'uno e all'altro giudice.

La prospettiva è infatti diversa perché, mentre il giudice del dibattimento rende una decisione in termini di assoluzione o condanna, il giudice dell'udienza preliminare pronuncia sentenza di non luogo a procedere se gli elementi acquisiti siano insufficienti o contraddittori, o comunque inidonei a sostenere l'accusa in giudizio19.

Le cause che legittimano il giudice dell'udienza preliminare all'emissione di una sentenza di non luogo a procedere, ex art. 425 c.p.p., sono quindi la pedissequa trasposizione dei parametri di riferimento che legittimano il giudice del dibattimento alla pronuncia di assoluzione, ex art. 530 c.p.p., con l'unica formale eccezione per i casi di inimputabilità, nonché quelli elencati dagli artt. 529 e 531 c.p.p. per la sentenza di non doversi procedere; fatta salva naturalmente la diversità del fine, che nell'udienza preliminare è la verifica della idoneità degli elementi raccolti dal pubblico ministero ed eventualmente dal difensore nella fase delle indagini preliminari ad affrontare proficuamente il dibattimento, e non della sussistenza degli elementi per affermare la responsabilità dell'imputato che invece caratterizza l'esito della fase dibattimentale20.

La sentenza di non luogo a procedere sarà quindi pronunciata quando emerge già in questa fase l'esistenza di una causa di assoluzione o di estinzione del reato, o la mancanza di una condizione di procedibilità, così da evitare la celebrazione di un dibattimento inutile.

A tal fine nella riscrittura dell'art. 425 del c.p.p., la legge 16 dicembre 1999 n. 479 aveva addirittura introdotto, al comma 2, la possibilità per il giudice dell'udienza preliminare di tener conto delle circostanze attenuanti, nonché di applicare l'art. 69 c.p. in tema di concorso tra

19 Cfr., A.A. DALIA - M. FERRAIOLI, Manuale di diritto processuale penale, Padova, 2012, p. 555.

circostanze aggravanti e attenuanti, quando esse risultino rilevanti per la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione o per altra causa. Nonostante tale comma debba oggi intendersi implicitamente abrogato dalla legge n. 251 del 2005, meglio conosciuta come ex Cirielli, dalla disposizione è evidente come tale valutazione fosse operata esclusivamente «ai fini della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere e non già ai fini della responsabilità dell'imputato»21 e nella

«logica di evitare la celebrazione di dibattimenti superflui, in quanto destinati a concludersi con il riconoscimento di una causa di estinzione del reato», sebbene «siffatto meccanismo proietti il giudice dell'udienza preliminare in una dimensione valutativa, espressione di quella discrezionalità tecnica che trova la sede naturale al termine del dibattimento»22.

Risulta manifesto come il giudice per l'udienza preliminare abbia il compito, ove possibile, di anticipare le future assoluzioni e le sentenze di proscioglimento dibattimentali laddove sia ragionevolmente prevedibile, sulla base degli elementi acquisiti, un esito proscioglitivo e che il dibattimento non potrà arricchire un compendio probatorio che sin dalla fase dell'udienza preliminare si palesa inidoneo a una pronuncia di condanna.

L'articolo 425, al nuovo comma 3 inserito dalla legge Carotti, stabilisce che dovrà essere pronunciata sentenza di non luogo a procedere «anche quando gli elementi acquisiti appaiono insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l'accusa in giudizio». Il legislatore del 1999 ha così accolto e trasfuso in una disposizione normativa l'orientamento giurisprudenziale e dottrinale sviluppatosi sul punto già dalla novella del 1993.

Il giudice dell'udienza preliminare è chiamato in questi casi a fare «una 21 Testualmente, V. MAFFEO, L'udienza preliminare: tra diritto giurisprudenziale e

prospettive di riforma, cit., p. 178.

22 Così, G. GARUTI, L'udienza preliminare, in Procedura penale, AA. VV., Torino, 2015, p. 496.

valutazione prognostica sulla potenzialità espansiva, nel futuro dibattimento, degli elementi di prova disponibili»23, assimilabile a quella

condotta secondo la regola di giudizio di cui all'art. 125 disp. att. c.p.p., effettuata dal pubblico ministero nella scelta tra archiviazione ed esercizio dell'azione penale24; ogni volta che tale valutazione darà esito

negativo, in quanto ritenga che «l'insufficienza degli elementi acquisiti non possa essere colmata o che la loro contraddittorietà non possa essere sanata in giudizio»25, il giudice dovrà emettere sentenza di non luogo a

procedere.

Tale esito costituisce comunque «l'extrema ratio, nel senso che la valutazione in punto d'idoneità degli elementi probatori raccolti a supportare l'accusa dovrà essere preceduta da ogni tentativo d'integrare, anche pro reo, il quadro probatorio insufficiente o contraddittorio»26.

Infatti, a differenza di quanto avveniva anteriormente alla riforma del 1999, il giudice dell'udienza preliminare dispone oggi degli ampi e penetranti poteri d'integrazione probatoria conferitigli dagli artt. 421 bis e 422 c.p.p.27, sicché la sua valutazione in ordine all'insufficienza,

contraddittorietà o inidoneità degli elementi acquisiti a sostenere l'accusa in giudizio, che interviene all'esito di una fase dell'udienza preliminare in cui egli ha avuto modo, anche d'ufficio, di esercitare tali poteri-doveri diretti ad assicurare la tendenziale completezza delle indagini preliminari, assume una pregnanza nuova e diversa che vale a certificare l'esistenza di una lacuna probatoria di carattere oggettivo che, come tale, è indipendente da ogni sforzo investigativo ed è insuscettibile di essere colmata nell'istruttoria dibattimentale, donde l'inutilità e superfluità del 23 Così, testualmente, tra le altre, in giurisprudenza, Cass. pen., Sez. IV, sentenza n.

46403 del 28 ottobre 2008, in C.E.D. Cass., Sez. IV, n. 242170.

24 Cfr., tra gli altri, G. GARUTI, L'udienza preliminare, cit., p. 494; V. MAFFEO,

L'udienza preliminare: tra diritto giurisprudenziale e prospettive di riforma, cit., p.

177. 25 Ibidem.

26 E. APRILE – M. SASO, L'udienza preliminare, cit., p. 198.

27 V., supra, capitolo I, paragrafo 1.3. La riforma Carotti, legge n. 479/1999 e l'assetto vigente, p. 16.

giudizio sulla base di quegli elementi.

Del resto, che un simile esito sia fisiologico nel sistema è dimostrato dalla revocabilità ex art. 434 c.p.p. della sentenza di non luogo a procedere in caso di sopravvenienza o scoperta di nuove fonti di prova che, da sole o unitamente a quelle già acquisite, possono determinare il rinvio a giudizio: proprio l'esistenza di tale disposizione deve consigliare prudenza per evitare che un'accusa traballante superi il filtro dell'udienza preliminare e giunga in dibattimento ove l'inevitabile esito assolutorio determinerebbe l'effetto preclusivo del divieto di un secondo giudizio ex art. 649 c.p.p., anche in caso d'emersione di nuove e decisive prove, evenienza tutt'altro che remota, quanto meno per i delitti più gravi28.

Per converso, ogniqualvolta il giudice dell'udienza preliminare abbia motivo di ritenere che un determinato elemento probatorio insufficiente o contraddittorio, anche in relazione alla sua rilevanza nell'economia del quadro investigativo, sia suscettibile d'essere integrato in senso favorevole all'accusa nel corso dell'istruzione dibattimentale, governata dal principio costituzionale del contraddittorio nella formazione della prova, potrà legittimamente far luogo all'apertura della fase dibattimentale sul presupposto, appunto, della non superfluità del giudizio.

Giova infatti osservare che la valutazione compiuta dal giudice, nell'ambito dell'udienza preliminare, continua a essere diversa per ampiezza ed estensione da quella del giudice dibattimentale.

All'udienza preliminare, la connotazione della decisività richiesta per l'ammissione, peraltro solo eventuale, della prova, dall'articolo 422 comma 1 c.p.p., limita fortemente l'assunzione di elementi conoscitivi, i quali vengono raccolti dal giudice con la partecipazione soltanto indiretta delle parti. In dibattimento, invece, «il giudice ammette le prove in forza di un criterio meno selettivo di quello adottato all'udienza preliminare e

forma, di regola, il proprio convincimento, sulla base di prove assunte seguendo i principi dell'oralità, dell'immediatezza e nel rispetto del contraddittorio»29.

La prognosi si compone, quindi, di due momenti complementari ma distinti: il primo attiene alla completabilità degli atti di indagine (gli atti compiuti non devono presentare lacune, le indagini possono dirsi complete solo quando al giudice appare ragionevole ritenere che, anche continuandole, non si reperirebbero ulteriori elementi conoscitivi); il secondo attiene alla c.d. utilità del dibattimento (dovrà cioè essere valutata la forza di resistenza del compendio probatorio raccolto, in modo da prevedere se lo svolgimento del dibattimento li trasformerebbe in prove dello stesso segno ovvero di tenore diverso).

Ne deriva che la sentenza di non luogo a procedere deve essere pronunciata quando è consentito formulare una prognosi di resistenza in giudizio di uno fra tre possibili esiti dell'udienza preliminare: la prova dell'innocenza dell'accusato, la mancanza di prova, oppure la prova insufficiente o contraddittoria, ex art. 425, comma 1 e 3 c.p.p..

All'esito dell'udienza preliminare dunque, in primo luogo, il giudice dovrà valutare se il dibattimento è inutile in quanto esiste una causa di estinzione del reato o la mancanza di una condizione di procedibilità tali da portare, in un eventuale dibattimento, a una sentenza di non doversi procedere ex artt. 529 e 531 c.p.p., compiendo un giudizio che completa quello previsto dall'art. 129 c.p.p.30.

In secondo luogo, superato questo vaglio, dovrà verificare se esistono motivi per valutare prognosticamente inevitabile o probabile una sentenza di assoluzione nel merito tra quelle previste e disciplinate

29 Così, testualmente, G. GARUTI, L'udienza preliminare, cit., p. 495.

30 L'articolo 129 c.p.p. prevede, infatti, che: «In ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità lo dichiara d'ufficio con sentenza».

dall'art. 530 comma 1 c.p.p..

In presenza di una delle cause predette, l'emissione della sentenza di non luogo a procedere è un preciso dovere imposto dalla legge cui non si può derogare per motivi di opportunità o per scelta discrezionale.

Infine il giudice dell'udienza preliminare dovrà estendere il proprio giudizio alla difficile verifica prognostica della sufficienza degli elementi raccolti a sostenere l'accusa in giudizio, valutando ex ante e tenendo conto dei futuri possibili sviluppi in dibattimento, il possibile esito assolutorio ex art. 530 comma 2 c.p.p..

Infine l'articolo 425, comma 4 c.p.p., prevede l'esplicito divieto in capo al giudice dell'udienza preliminare di emettere sentenza di non luogo a procedere quando ritenga che dal proscioglimento possa conseguire «l'applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca». In tal modo il legislatore sottolinea ancora una volta l'incompatibilità, già messa in evidenza in precedenza anche dalla Corte costituzionale31, tra il

tipo di accertamento compiuto nell'ambito dell'udienza preliminare e il tipo di accertamento richiesto per l'adozione di una misura di sicurezza personale.

Se nell'udienza preliminare l'accertamento è volto soltanto a verificare la ragionevole possibilità di sostenere l'accusa in dibattimento, l'adozione di una misura di sicurezza personale richiede, invece, un accertamento più approfondito: «tale misura, essendo infatti equiparabile, dal punto di vista del contenuto afflittivo, a una vera e propria pena, presuppone un accertamento giurisdizionale in ordine non solo alla commissione del fatto da parte dell'imputato, ma anche alla pericolosità del medesimo»32.

É quindi possibile affermare che le misure di sicurezza personali, con le quali si possono imporre pesanti limiti alla libertà, possono essere applicate soltanto sulla base di un provvedimento che consegue al più

31 V., Corte cost., sentenza n. 41 del 10 febbraio 1993, in Cass. pen., 1993, vol. II, p. 1080.

completo controllo svolto dal giudice del dibattimento.

Per quanto riguarda invece l'opportunità di applicare la confisca in caso di emissione di una sentenza di non luogo a procedere, il riferimento, per quanto la previsione non lo espliciti, è all'art. 240, comma 2, ultimo periodo, c.p., in cui si ordina la confisca delle cose obiettivamente criminose, pure laddove non è stata pronunciata sentenza di condanna. In tale contesto, la valutazione cui è tenuto il giudice riguarda infatti l'obiettiva illiceità della cosa e quindi una valutazione suscettibile di essere effettuata anche grazie agli strumenti e al materiale conoscitivo in possesso del giudice dell'udienza preliminare33.