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Nella letteratura internazionale il concetto di domiciliarità è conosciuto con il termine di aging in place.

Il concetto di aging in place ha riscosso crescente interesse nella letteratura gerontologica degli ultimi 30 anni: menzionato a partire dagli anni ’60, nel tempo ha registrato un continuo aumento nel numero di contributi scientifici prodotti divenendo un tema centrale a partire dagli anni ‘90 (Forsyth & Molinsky, 2021; Vasunilashorn et al., 2012).

Le ragioni per cui l’aging in place rappresenta un tema particolarmente citato e significativo sono di diversa natura.

In via prioritaria va considerato che alla proprietà della casa viene attribuito da parte delle persone un valore predominante; mentre il numero di persone che vivono in affitto è da decenni in continua riduzione (Cucca & Gaeta, 2018), il Secondo Rapporto sulle condizioni abitative degli anziani nel nostro Paese ha messo in luce come l’80.3%

della popolazione anziana italiana viva in case di proprietà (Abitare e Anziani, 2015).

L’aging in place inoltre rappresenta una strategia diffusamente adottata da parte dei decisori politici per far fronte al crescente aumento della popolazione anziana e alla conseguente domanda di servizi assistenziali (Sixsmith et al., 2017; Vasunilashorn et al., 2012; Sixsmith & Sixsmith, 2008). La domiciliarità è ritenuta vantaggiosa per i Paesi europei poiché, nell’ambito di un orientamento volto alla deistituzionalizzazione, consente loro di aumentare la sostenibilità dei propri sistemi di welfare (Ilinca et al., 2015). Infine, l’aging in place è considerata un’opzione preferibile anche dalle stesse persone anziane che aspirano ad invecchiare nelle proprie case e all’interno del loro contesto territoriale di appartenenza quanto più possibile, anche in casi di compromissione della propria salute ed autonomia (Wiles et al., 2012; Marek et al., 2012).

Generalmente il termine di aging in place viene associato ad invecchiare nella propria casa e comunità per il più a lungo possibile e, conseguentemente, a posticipare qualsiasi potenziale trasferimento verso un contesto istituzionale di assistenza a lungo termine (Bigonnesse & Chaudhury, 2020). Ad oggi, tuttavia, non vi è consenso sulla definizione da utilizzare per descrivere l’aging in place né tanto meno sui fattori che influenzano la possibilità che esso si realizzi e, di conseguenza, questo termine viene utilizzato in modo molto ampio (Forsyth & Molinsky, 2021; Bigonnesse & Chaudhury, 2020; Pani-Harreman et al., 2020).

La review condotta da Bigonesse e Chaudhury (2020) ha rilevato e messo in luce due versioni del significato di aging in place utilizzate nell’ambito della ricerca.

Nell’accezione più diffusa, quest’ultimo viene adottato per riferirsi sia alla permanenza delle persone anziane presso la propria dimora (ad esempio adeguando la stessa oppure usufruendo del supporto di servizi assistenziali) che per intendere la permanenza nella stessa comunità o quartiere residenziale seppure in una differente abitazione. Nella seconda versione l’aging in place riguarda invece la permanenza in alloggi o comunità residenziali per persone anziane (ad esempio soluzioni di vita indipendente o assistita) come alternativa all’istituzionalizzazione in strutture residenziali.

La review recentemente effettuata da Forsyth e Molinsky (2021), prendendo in considerazione anche contributi afferenti alla letteratura grigia, ha individuato ulteriori significati a quelli precedentemente associati al termine aging in place. Dal lavoro svolto dagli autori emerge come le definizioni utilizzate per parlare di domiciliarità diano enfasi ad aspetti differenti della stessa che possono essere raggruppati in sette diversi temi. Un primo gruppo di definizioni si concentra sul luogo in cui le persone invecchiano e nelle definizioni afferenti a questa sezione vengono enfatizzati gli aspetti di non volersi spostare dalla propria abitazione, restare in essa il più a lungo possibile oppure rimanere nelle sue vicinanze. Un secondo gruppo di definizioni si focalizza sull’aspetto dell'assistenza; in questa sezione si trovano definizioni di aging in place che mettono l’accento sulla desiderabilità di restare a casa propria per evitare il ricovero in una struttura residenziale oppure, in situazioni di istituzionalizzazione, viene esaltata la possibilità di ricevere livelli di assistenza progressivamente più elevati senza doversi spostare dalla struttura in cui si è. Nell’ultimo gruppo di definizioni, infine, vengono rimarcati i valori di libera scelta e autodeterminazione che l’aging in place assume per le persone anziane e l’inclinazione dei governi a fare in modo che questo possa realizzarsi.

Come si evince dal quadro ricostruito appena sopra, la definizione del concetto di aging in place è tuttora ampiamente discussa. La presenza di numerosi e differenti significati di aging in place può essere spiegata dalle caratteristiche stesse di questo concetto che presenta dimensioni diversificate se pur tra loro interconnesse (Iecovich, 2014); all’interno del concetto di aging in place possiamo infatti individuare: la dimensione fisica strettamente connessa alla casa o al quartiere; la dimensione sociale che coinvolge le relazioni con le persone e i modi in cui gli individui rimangono in relazione con gli altri; la dimensione emotiva e psicologica che ha a che fare con il senso di appartenenza e attaccamento; la dimensione culturale che riguarda i valori, le credenze e l'etnia delle persone anziane.

Quanto detto fino a qui, rende evidente la necessità di promuovere lo sviluppo di un’unica definizione di aging in place che riesca tuttavia a comprendere sia tutte le dimensioni che caratterizzano questo concetto che le relazioni che si sviluppano tra di esse.

Le ricerche che hanno tenuto conto del punto di vista delle persone anziane in merito a questioni che riguardano l’aging in place hanno messo in luce come, anche per

loro, questo concetto abbracci significati diversificati come ad esempio: il mantenimento dell'attività, l'indipendenza, la salute fisica e cognitiva, un ambiente domestico adatto alle loro esigenze, sentirsi al sicuro, poter intrattenere rapporti sociali, accedere a servizi assistenziali e a un sistema di trasporti pubblici (Burns, 2016; Dobner et al., 2016; Black &

Dobbs, 2015a; Grimmer et al., 2015; Bacsu et al., 2014; Wiles et al., 2012).

La possibilità quindi che il concetto di aging in place riesca ad afferrare il reale significato che assume per le persone anziane è vincolata al rispetto di due accorgimenti fondamentali; da un lato, la necessità di intendere le diverse dimensioni che costituiscono il concetto come connesse tra di loro e considerarle nel loro complesso e, dall’altro – diversamente da quanto accade oggi dove sono decisori politici, professionisti e ricercatori a definire l’aging in place – riuscire ad includere la prospettiva delle persone anziane sul tema e informare del loro punto di vista il concetto (Sokolec, 2016; Bacsu et al., 2014). Quest’ultimo aspetto appare tanto più realizzabile quanto più si è in grado di promuovere lo sviluppo della ricerca sull’aging in place con le persone anziane piuttosto che su di loro (Wiles et al., 2012).

La presenza di molteplici sfaccettature del concetto ha nel tempo portato all’elaborazione di differenti prospettive attraverso cui guardare all’aging in place e all’interno delle quali gli studi e le ricerche svolte nel tempo si sono collocate. A tal proposito, Bigonesse e Chaudhury (2020) operano una distinzione tra prospettiva funzionalista o biomedica, prospettiva strutturalista e critica, prospettiva fenomenologica e prospettiva sistemica (ecologica).

La prospettiva funzionalista o biomedica guarda agli anziani come a individui con funzioni in declino. Questo corpus della letteratura tende quindi a focalizzarsi sugli aspetti dell’ambiente fisico che limitano la capacità degli anziani di invecchiare a casa propria trattando temi quali la manutenzione e l’adeguamento della casa o le tecnologie a disposizione per supportare l’aging in place.

Nella seconda prospettiva gli anziani sono vittime delle strutture sociali che causano disuguaglianze e stratificazione all’interno della società, per questo la letteratura che fa parte di questa prospettiva mira a promuovere l'empowerment, l'inclusione sociale e la partecipazione degli anziani.

La prospettiva fenomenologica si concentra sull'esperienza vissuta dal punto di vista della persona anziana. La letteratura sull’aging in place che fa parte di questa prospettiva esamina le esperienze degli anziani in relazione al luogo in cui vivono come il senso di appartenenza, l'identità, il tempo, il senso di attaccamento al contesto di vita e il significato attribuito alla casa.

L’ultima prospettiva, sistemica (ecologica), riprendendo l’opera di Lawton e Nahemow (1973), concettualizza gli anziani come parte di una serie di transazioni dinamiche con il loro ambiente. Questo approccio è quello predominante in letteratura (Bigonnesse & Chaudhury, 2020) e per questo verrà approfondito anche nel corso del prossimo paragrafo.

Ahn (Ahn, 2017) offre una diversa interpretazione e suggerisce di cogliere l’aging in place nelle sue caratteristiche di fenomeno, obiettivo e processo. L’aging in place inteso come fenomeno focalizza la propria attenzione sul desiderio di domiciliarità da parte delle persone anziane, sulle motivazioni che vi stanno alla base e sulle caratteristiche che devono avere i luoghi per facilitarne la permanenza da parte delle stesse. A quest’interpretazione di aging in place ne è strettamente connessa una sua seconda che guarda al tema come a un obiettivo; in questo filone di ricerche l’attenzione è spostata sugli sforzi collettivi compiuti da parte di anziani, famiglie, professionisti e decisori politici nel sostenere e incoraggiare la domiciliarità. Infine, l’aging in place può essere compreso come un processo; le ricerche che si sviluppano in quest’area approfondiscono le relazioni tra gli aspetti psicologici, sociali, ambientali e finanziari che intervengono durante la permanenza a domicilio delle persone anziane e contribuiscono a determinarla.