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2.1 Internazionalismo, universalismo e «terza via»

2.1.1 Il delicato rapporto tra Mussolini e le «destre» tedesche

Dopo la fine della Prima guerra mondiale, l’atavica contrapposizione culturale tra il mondo latino e quello nordico si accentuò. Il Brennero continuava a rappresentare un solco tra l’identità latina e quella germanica, spesso caratterizzate da gelosia, diffidenza e rivalità. Tali sentimenti, con la complicità del patto di Versailles, si erano esacerbati e la neonata Repubblica di Weimar non rappresentava un interlocutore ideologicamente gradito al regime di Mussolini. A giudicare dal rapporto del console italiano ad Amburgo (Attilio Tamaro) sulla realtà politica e sociale tedesca verso la fine degli anni Venti, sembrava difficile immaginare che Mussolini potesse contare sulla Germania in vista di una futura, quanto allora improbabile, alleanza. Tamaro, premettendo di non volersi comportare come un «rigorista puritano» né come un «quacchero scandalizzato», dipingeva

sono rispettivamente: B. WOLD-JENSEN, Nasjonal Samling i Stavanger 1933-37, Ph.D. diss., University of Bergen, 1972; I. THEIEN, Norwegian Fascism 1933-40: The Position of the Nasjonal Samling in Norwegian Politics, Ph.D. diss., University of Oxford, 2001.

34 S. GARAU, Op. cit., 2015, p. 235.

35 Secondo Garau, sposando una tesi ormai ampiamente diffusa tra gli storici odierni, l’antisemitismo fascista italiano non fu una scelta opportunistica per assecondare l’alleato tedesco. Nemmeno alcuni storici come George Mosse, infatti, hanno negato che l’antisemitismo italiano avesse radici remote e profonde anche nella società pre-fascista. Basti pensare, ad esempio, all’antisemitismo di marca cattolica presente sin dalla seconda metà del XIX secolo. Cfr. S.

GARAU, Between ‘Spirit’ and ‘Science’: The Emergence of Italian Fascist Antisemitism through the 1920s and 1930s, in «Holocaust Studies», 15:1-2, 2009, pp. 37-58. Naturalmente esistono altri validi contributi sul tema. Ad esempio: R.

MORO, La Chiesa e lo sterminio degli ebrei, il Mulino, Bologna, 2002; C. BRICE, C. MICCOLI, Les racines chrétiennes de l’antisémitisme politique (fin 19.-20. siècle), Ècole Française de Rome, Roma, 2003; A. BELLINO, Il Vaticano e Hitler. Santa Sede, Chiesa tedesca e nazismo (1922-1939), Milano, Guerini e associati, 2018.

un quadro assolutamente poco edificante della popolazione di Amburgo e, per estensione, tedesca.36 La società germanica appariva lasciva, libertina e immorale:

«[...] Il numero dei restaurants [sic], delle birrerie, dei caffè, delle pasticcerie, delle bettole, delle osterie, dei bars, dei caffè con musica o con “varietè”, dei piccoli e grandi locali da ballo è incalcolabile. [...] al sabato tutti riboccano di folle gaudenti. La stessa cosa si può dire dei teatri, per non parlare dei cinematografi [...].»37

La proverbiale inclinazione germanica al risparmio veniva smentita poche righe dopo senza troppi giri di parole:

«[...] Persone di tutti i ceti sociali partecipano a questa vita e la prima impressione che se ne trae [...] è che questo sia un popolo non più risparmiatore, ma sperperatore [...]»38

Il console italiano proseguiva sottolineando gli enormi problemi legati all’alcolismo e, secondo il suo punto di vista, alla degenerazione dei costumi sessuali. Presso il quartiere di St. Pauli, ad esempio, spuntavano continuamente nuovi bordelli e locali notturni:

«[...] Le varie manifestazioni della vita di gaudio e di scialo, nelle quali si mescolano a migliaia a migliaia le prostitute, sono divenute oggetto di spettacolo e di fiera per i forestieri.

[...]»39

Benché fossero stati chiusi per legge i lupanari, in nome di quella che Tamaro definiva sarcasticamente «rivoluzione democratica», le prostitute si erano riversate tutte nelle strade cittadine e, con esse, i rispettivi sfruttatori. Lo «spettacolo», tuttavia, non attirava soltanto i tedeschi, ma anche gli italiani che, per vari motivi, si trovavano di passaggio ad Amburgo:

36 Sull’attività di Tamaro ad Amburgo, si rimanda a: A. RIZZI, Op. cit., 2016, pp. 122-125.

37 ASD-AT, Serie II, Busta 19, Fascc. 30-40, Rapporto intitolato «Amburgo 1927», senza destinatario, datato dicembre 1927, p. 1. Sulla presenza italiana ad Amburgo, si potrebbe consultare: E. MORANDI, Italiener in Hamburg: Migration, Arbeit und Alltagsleben vom Kaiserreich bis zur Gegenwart, Lang, Frankfurt am Main, 2004.

38 Ivi, p. 2.

39 Ivi, p. 3.

«[...] Ho veduto più d’una volta giovani italiani, non certo dei santocchi [sic], scandalizzati della volgare turpitudine del quadro. [...] gli equipaggi delle navi nostre [...] si ficcano nei ritrovi di San Pauli e di Altona per divertirsi o ne vengono quasi assorbiti [...]»40

Come se non bastassero le invettive contro l’esibizione dei corpi nudi nel corso di balletti e spettacoli, Tamaro continuava sui temi di carattere sessuale:

«[...] Anche qui, come a Berlino, la sodomia è tollerata dalle autorità. C’è nel centro della città un bar con sala da ballo notoriamente frequentato quasi soltanto da pederasti: vi si trovano anche uomini vestiti da donne, che si offrono in prostituzione, col permesso della polizia. [...]»41

Stupefatto e dissenziente nei confronti della parità dei sessi garantita dalla Repubblica di Weimar, Tamaro annotava ancora:

«[...] Se da noi vale solo per i celibi o per i maschi in genere, che l’aver molti amori non sia immorale, qui tale diritto si ritiene logicamente e giustamente riservabile anche alla donna.

[...]»42

La dura «reprimenda» nei confronti dello stato weimariano non risparmiava nemmeno il mondo del lavoro e delle classi meno agiate:

«[...] Questa dissoluzione della moralità del lavoro si vede soprattutto nella servitù, che è una vera piaga sociale: piena di diritti (sei pomeriggi liberi ogni mese, quattro pasti cotidiani, tredicesimo mese, licenza estiva, ecc.), le donne di servizio, spalleggiate da un pseudotribunale del lavoro, dove sono assessori due comunisti e due socialisti, ricattano (è la vera parola) continuamente i loro padroni [...]»43

Insomma, il giudizio finale di Tamaro sulla Germania, nel dicembre del 1927, era tanto impietoso quanto inquietante:

40 Ivi, p. 4.

41 Ibidem.

42 ASD-AT, Serie II, Busta 19, Fascc. 30-40, Rapporto intitolato «Amburgo 1927», p. 6.

43 Ivi, p. 9.

«[...] Certamente le forze vitali, che agirebbero in questa gente, se uno la chiamasse a raccolta per una guerra o per altra impresa, sono ancora numerose e potenti. Resta soprattutto visibile anche qui e sempre, pur in onta delle devastatrici conseguenze della propaganda bolscevica, e socialista, la possibilità di ordinare gli individui dentro un organismo statale o militare, meccanicamente, automaticamente, come tante ruote inanimate nell’ingranaggio di una gigantesca macchina [...]»44

Così, il rapporto del console italiano, si concludeva con una profezia che, a distanza di pochi anni, si sarebbe trasformata in realtà:

«[...] E, poiché la vita morale sembra posta su un piano inclinato, non si vede a quali eccessi potrà ancora scendere, se un’improvvisa e ora imprevedibile azione politica o religiosa non provochi radicali mutamenti [...]»45

L’immagine poco edificante della Germania tracciata da Tamaro non facilitava la gestione dei rapporti diplomatici e culturali italo-tedeschi. Neanche le relazioni politiche tra Mussolini e le diverse «destre tedesche» apparivano nitide.46 Emergeva un tessuto estremamente intrecciato di contatti diplomatici ufficiali, incontri informali e missioni segrete che ricollegavano il copione della politica estera italiana alla regia mussoliniana. Mussolini voleva andare alla ricerca di

«interlocutori» che, all’interno della destra tedesca (non necessariamente «estrema»), potessero perorare la causa del fascismo. Tra questi comparivano anche i nazionalsocialisti, con i quali Mussolini interagiva attraverso alcuni referenti. Filippo Anfuso ne ricordava cinque: Kurt Lüdecke, il principe Filippo d’Assia, Robert de Fiori, il germanista dell’università di Firenze Guido Manacorda e il maggiore Giuseppe Renzetti.47 Quest’ultimo sarebbe diventato un personaggio

44 Ivi, p. 10.

45 Ibidem.

46 Per un approfondimento sull’immagine dell’Italia di Mussolini nella Repubblica di Weimar, si consigliano: J.

PETERSEN, Il fascismo italiano visto dalla Repubblica di Weimar, Il Mulino, Bologna, 1978; F. SCARANO, Mussolini e la Repubblica di Weimar. Le relazioni diplomatiche tra Italia e Germania dal 1927 al 1933, Giannini Editore, Napoli, 1996.

47 Renzetti era giunto in Germania come membro della missione militare italiana per l’Alta Slesia. Nel 1927, presso Gleiwitz (l’attuale Gliwice), sposò Susanne Kochmann, figlia di un consigliere di giustizia ebreo molto noto in città:

Arthur Kochmann (Cfr. S. LAFFIN, Gaining a Foothold in the Weimar Republic: Giuseppe Renzetti’s Activities in the years 1925-1927, Storicamente.org, Laboratorio di Storia, Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, Dipartimento

chiave nell’ambito dei complicati rapporti diplomatici italo-tedeschi. I suoi legami di conoscenza e amicizia in Germania, infatti, conducevano a figure importanti del fitto sottobosco di marca nazionalsocialista poiché Renzetti era grande amico di Göring.48

Mussolini vide in Renzetti un «amico» e lo definiva come «il migliore conoscitore che l’Italia abbia del mondo politico e ideologico tedesco». Così non esitò a ricompensarlo con un’indennità mensile di alcune migliaia di lire, una somma non esigua per l’epoca. A sua volta, Renzetti soggiaceva al carisma di Hitler ed era totalmente convinto che fosse l’unico con la stoffa per trasformare la Germania in senso fascista. L’obiettivo del maggiore, dunque, era quello di consentire al capo nazionalsocialista di raggiungere il potere ma sapeva che il cammino «legale», intrapreso dai nazionalsocialisti per ottenerlo, presentava alti rischi di insuccesso. Nonostante il trionfo elettorale, infatti, Hitler non era ancora riuscito a governare e ciò suscitava, soprattutto in Italia e tra i fascisti, il dubbio che una rivoluzione «illegale» fosse necessaria.49

di Storia Culture Civiltà, n. 13, 2017, p. 5). Ma Renzetti fu anche console generale italiano a Lipsia e fiduciario per la Germania dei Fasci all’Estero. Alla fine del 1925, divenne primo presidente della Camera di Commercio italiana a Berlino e, quindi, presidente dell’Unione Italiana delle Camere di Commercio in Germania. Elisabetta Cerruti, moglie ungherese di origine ebraica dell’ambasciatore italiano a Berlino dal 1932, fornì nelle sue memorie una descrizione abbastanza dettagliata di un misterioso «maggiore» e della sua consorte. Si trattava, evidentemente, del noto maggiore Renzetti. Questi si era stabilito a Berlino dopo la Grande Guerra per compiere certe missioni per conto del suo governo, ma al di fuori dei regolari canali diplomatici. Astuto, intrigante, losco, aveva però sposato una donna ebrea. Non potendo correre rischi, la moglie ricorse a diverse cure presso un istituto di bellezza. Così cambiò la propria immagine correggendo il naso aquilino e trasformando i capelli neri in riccioli biondi. Stando alle testimonianze della Cerruti, sembrava così nordica che lo stesso Hitler non esitò a firmare le carte che la dichiaravano di pura origine germanica.

Benché, come specifica Scarano, non vi fossero prove certe di quanto dichiarato, nel 1932 Renzetti ricordava che la moglie dovette affrontare una difficile operazione (Cfr. F. SCARANO, Op. cit., 1996, pp. 67-69). Per maggiori informazioni al riguardo, è opportuno segnalare che la moglie di Cerruti fece pubblicare un volume con le sue memorie a pochi anni di distanza dalla fine del conflitto: E. CERRUTI, Visti da vicino: memorie di una ambasciatrice, Garzanti, Milano, 1951. Restando, però, a quanto scritto dallo storico Meir Michaelis, emergono alcune parziali contraddizioni.

Secondo Michaelis, infatti, tra gli la fine degli anni Venti e l’inizio dei Trenta, vi fu un’attenuazione dell’antisemitismo da parte di Hitler. Ciò avvenne per non compromettere i rapporti con gli italiani, il cui intermediario era proprio Renzetti. Questi non era il solo a essere sposato con un’ebrea di nazionalità tedesca, poiché anche il nuovo ambasciatore in Germania, Orsini Baroni, risultava essere il marito di un’ebrea di cittadinanza germanica (Cfr. F. SCARANO, Op. cit., 1996, p. 117). Dunque, ciò farebbe ragionevolmente ipotizzare che, in realtà, Hitler sapesse bene dell’origine ebraica della moglie del maggiore Renzetti e che, magari, quella presunta operazione fosse servita al fine di evitare possibili sospetti e imbarazzi negli ambienti nazionalsocialisti.

48 Per una ricostruzione biografica su Göring: A. KUBE, Pour le mérite und Hakenkreuz. Hermann Göring im Dritten Reich, Oldenbourg, München, 1987.

49 H. WOLLER, I rapporti tra Mussolini e Hitler prima del 1933. Politica del potere o affinità ideologica? in Italia contemporanea, settembre 1994, n. 196, pp. 500-505.

A partire dal 1932, Mussolini consigliò a Hitler di intraprendere una battaglia per rompere definitivamente le speranze di un asse franco-tedesco, inseguito per anni da Gustav Stresemann e boicottato dallo stesso Mussolini. Hans Woller ritiene che il duce non temesse Hitler ma, anzi, lo sottovalutasse. Tuttavia, credeva di esserne indiscutibilmente il «maestro» e, per questo, si sentiva superiore. Il movente principale di Mussolini, dunque, fu la politica di potere o, se si preferisce, di

«potenza».50 I fatti, invece, diedero ragione a Hitler. Renzetti, anche dopo la Machtübernahme godette della massima considerazione nell’ambiente del nuovo governo nazionalsocialista.

Parecchio tempo dopo, quando la sua stella si era ormai offuscata, Goebbels scrisse nel suo diario che il maggiore italiano aveva contribuito così tanto alla costruzione e al successo del partito nazionalsocialista, da poterlo considerare quasi un «vecchio nazista».51 La figura di Renzetti,

50 Cfr. Ivi, p. 507. Una piccola bibliografia sul rapporto tra Mussolini e Hitler consentirebbe di comprendere meglio questo ed altri passaggi relativi alle relazioni italo-tedesche dell’epoca: W. W. PESE, Hitler und Italien 1920-1926, in

«Vierteljahrshefte für Zeitgeschichte», 3, 1955; E. R. ROSEN, Mussolini und Deutschland 1922-1935, in

«Vierteljahrshefte für Zeitgeschichte», V, 1957; S. CASMIRRI, Il viaggio di Mussolini in Germania nel marzo del ’22, in

«Storia e politica», XII, n. 1, Gennaio-Marzo, 1973; M. MICHAELIS, I rapporti tra fascismo e nazionalismo prima dell’avvento di Hitler al potere (1922-1933), I, 1922-1928, in «Rivista storica italiana», III, settembre 1973; J.

PETERSEN, Hitler e Mussolini. La difficile alleanza, Laterza, Bari, 1975; R. DE FELICE, Mussolini e Hitler: i rapporti segreti (1922-1933), Le Monnier, Firenze, 1983; H. WOLLER, Machtpolitisches Kalkül oder ideologische Affinität? Zur Frage des Verhältnisse zwischen Mussolini und Hitler vor 1933, in «Der Nationalsozialismus. Studien zur Ideologie und Herrschaft», W. BENZ, H. BUCHHEIM, H. MOMMSEN (a cura di), Fischer Taschenbuch, Frankfurt am Main, 1993;

C. GOESCHEL, Op. cit., 2018.

51 L’affermazione viene confermata dal testo originale del diario risalente al 1941: «[...] Er hat soviel in der Partei und im Werden unseres Staates mitgemacht, daß er fast als alter Nazi gelten könnte. [...]». Si veda: E. FRÖHLICH (a cura di), Die Tagebücher von Joseph Goebbels, Im Autrag des Instituts für Zeitgeschichte und mit Unterstüzung des Staatlichen Archivdienstes Rußlands, Teil I, Aufzeichnungen 1923-1941, Band 9, Dezember 1940-Juli 1941, Bearbeitet von E.

FRÖHLICH, K. G. Saur, München, 1998, p. 214. Sino al marzo del 1941, pertanto, il giudizio di Goebbels nei confronti di Renzetti era rimasto sincero, benevolo e coerente. I primi «incontri» tra i due risalirebbero all’inizio degli anni Trenta quando il gerarca nazista narrava di una piacevole serata trascorsa insieme a Renzetti nel dicembre del 1930. Il maggiore era stato presentato come «fiduciario» (Vertreter) di Mussolini e a quella riunione risultavano presenti Frick, Rosenberg, Epp e Buch. In proposito, si veda: E. FRÖHLICH (a cura di), Op. cit., Teil I, Band 2/I, 2005, p. 302. Pochi giorni prima, Goebbels aveva scritto che Renzetti fosse una brava persona, completamente in sintonia con il partito nazionalsocialista. Cfr. E. FRÖHLICH (a cura di), Teil I, Band 2/I, 2005, p. 307. Nel 1931, sembra che i rapporti di confidenza tra i due si fossero intensificati. Goebbels definiva Renzetti come un uomo intelligente. Cfr. E. FRÖHLICH (a cura di), Band 2/II, 2004, pp. 49-50. Nel corso di tutto il 1932, Goebbels confermò nei suoi diari che Renzetti era sempre presente alle riunioni tra i gerarchi nazisti e sosteneva apertamente la scalata al potere di Hitler. Qualche anno dopo, nel 1938, Goebbels scrisse chiaramente che Renzetti, giudicato un «vero fascista», sarebbe stato l’ambasciatore giusto a Berlino. Si veda: E. FRÖHLICH (a cura di), Teil I, Band 5, 2000, p. 314.

quindi, è la fonte più importante per lo studio delle relazioni tra Hitler e Mussolini prima del 1933.52 Tuttavia, in merito ai rapporti tra Mussolini e Hitler prima del putsch di Monaco (1923), non pare così importante capire quale fosse l’idea del duce nei confronti dei nazionalsocialisti. Invece, sin dagli anni Venti, la questione relativa a un presunto finanziamento italiano alla causa hitleriana, apparve assai più spinosa e confusa.53

In particolare, lo «scambio di simpatie» tra il fascismo italiano e l’eterogeneo mosaico delle

«destre tedesche», non escludeva forze rilevanti come quella nazionalista. Da parte tedesca, infatti, si auspicava un appoggio al riarmo, un sostegno contro la pressione francese nella Ruhr e lungo il Reno. Ma l’ormai consueta strategia «ufficiosa» imposta dal duce, cominciò a risultare assai sgradita. L’ambasciatore a Berlino, Alessandro De Bosdari (così come Stresemann e Hans von Seeckt), non apprezzava le crescenti missioni ufficiose del partito fascista attraverso inviati di dubbia attendibilità.54

Si trattava di ex-generali e uomini d’affari che curavano i contatti con la Reichswehr, con i circoli monarchici e con la Deutschnationale Volkspartei (Dnvp). L’ambasciata italiana a Berlino, in genere, ne sapeva poco, proprio perché Mussolini non si fidava della diplomazia ufficiale.

Ricorreva, invece, a una sua «diplomazia parallela» che gli consentiva di mantenere i rapporti con le «destre tedesche» senza impegnarsi ufficialmente, né peggiorare il già precario rapporto con il

52 Cfr. H. WOLLER, Op. cit., 1994, p. 506. In base agli studi di Giorgio Fabre, negli anni successivi ci sarebbe stato un effettivo finanziamento da parte di Mussolini a beneficio di Hitler. Pare, infatti, che l’edizione italiana del «Mein Kampf» non fosse stata un’iniziativa di Valentino Bompiani, bensì il frutto di una complessa trattativa tra Roma e Berlino. Per approfondire il «caso», si rimanda a: G. FABRE, Il contratto: Mussolini editore di Hitler, Dedalo, Bari, 2004.

53 In proposito si rimanda a: F. SCARANO, Op. cit, 1996, pp. 188-191. Inoltre nel 1929 e nel 1930, sulla base delle accuse di un politico di destra tedesco, Albrecht von Graefe, vennero intentati due processi contro Hitler. Quest’ultimo, sosteneva l’accusa, avrebbe ricevuto fondi occulti da Mussolini per finanziare il proprio partito. In un clima di acceso sentimento anti-italiano, tali affermazioni avrebbero potuto spazzare via Hitler e il suo partito. Invece, anche grazie alla difesa dell’avvocato Hans Frank (come si vedrà più avanti, uscito alcuni anni prima dal partito nazionalsocialista e nel frattempo reintegrato), le accuse sarebbero cadute per mancanza di prove. Qualcosa di simile, infatti, accadde nel secondo processo, quello del 1930, quando il giornalista Werner Abel testimoniò, ancora una volta, contro Hitler.

Anche la versione di Abel, tuttavia, venne smontata e il giornalista fu persino condannato al carcere (Cfr. C. GOESCHEL, Op. cit., 2018, pp. 26-27).

54 G. RUMI, Op. cit., 1974, pp. 47-48. Rumi si riferisce ai soggiorni di Bianchi e Capello in Germania durante i quali l’Italia offrì persino l’opportunità di costruire sul proprio territorio Italia una fabbrica tedesca di gas asfissianti. Per ulteriori approfondimenti: W. NITZ, Führer und Duce: Politische Machtinszenierungen im nationalsozialistischen Deutschland und im faschistischen Italien, Böhlau, Köln, 2013; W. SCHIEDER, Adolf Hitler. Politischer Zauberlehrling Mussolinis, De Gruyter, Oldenbourg, 2017.

governo tedesco.55 Nei primi mesi del 1924, ad esempio, il generale Capello si era recato in visita non ufficiale a Berlino per prendere contatto con alcune influenti personalità del nazionalismo tedesco. Era stato lo stesso Mussolini a informare De Bosdari della missione di Capello:

«S.E. Generale Capello verrà costì prossima settimana per motivi personali e di studio. Prego V.E. facilitargli compito.»56

Dieci giorni dopo, avendo appreso il vero motivo della missione di Capello, De Bosdari scrisse nuovamente a Mussolini. L’ambasciatore riferiva al duce di aver raccomandato a Capello la massima prudenza nelle conversazioni, anche all’interno degli ambienti della destra tedesca poiché ritenuti tutti «vanitosi e ciarlieri». Capello aveva altresì chiesto a De Bosdari di mettersi in contatto diretto con von Seeckt. A questo punto, però, De Bosdari chiese l’autorizzazione a Mussolini. La risposta del duce giunse il giorno successivo:

«Approvo suoi consigli di prudenza dati al Generale Capello e non sarà inopportuno che Ella li rinnovi. Capello non rappresenta in nessun modo Governo italiano ed è quindi necessario che V. E. rimanga assolutamente estraneo ad ogni azione di lui limitandosi soltanto ad esigere di essere tenuto al corrente perché egli dia ascolto ai consigli o alle indicazioni che giudicasse conveniente dargli.»57

Si trattava di una trasferta molto delicata che lasciava presagire sviluppi abbastanza dirompenti rispetto alla linea diplomatica ufficiale. Stando a quanto riferì De Bosdari a Mussolini, ai primi di marzo del 1924, Capello venne a conoscenza dei propositi dei nazionalisti tedeschi.58 Dopo aver incontrato personaggi come von Mackensen (probabilmente l’anziano August) e von Seeckt, Capello riportava le proprie impressioni su quanto sentito. Innanzitutto affermava che i nazionalisti tedeschi fossero desiderosi di intraprendere, appena possibile, una guerra di rivincita nei confronti della Francia. Secondariamente, si dicevano convinti che, fornendo le armi necessarie alla Germania, l’Italia avrebbe appoggiato la loro iniziativa. Infine, fatto ancora più eclatante, i nazionalisti tedeschi contavano sul supporto italiano nel caso di un golpe guidato da von Seeckt.

55 H. WOLLER, Op. cit., 1994, p. 498.

56 ASMAE-GS, Busta 156, Lettera riservata scritta da Mussolini a De Bosdari in data 08.02.1924.

57 Ivi, Risposta riservata segreta di Mussolini del 19 febbraio 1924.

58 Per comprendere meglio l’attività del generale Capello nella Repubblica di Weimar: A. UNGARI, Il generale Luigi Capello e la Repubblica di Weimar, in «Nuova Storia Contemporanea», anno III, n. 5, settembre-ottobre 1999.

Gli esiti di questi incontri, però, non sfuggirono a Stresemann il quale, imbeccato dai nazionalisti affinché si aprisse maggiormente a un avvicinamento italiano, ne aveva chiesto discretamente conto a De Bosdari verso la fine dell’anno. Ciò risulterebbe da quanto scrisse De Bosdari a Mussolini l’ultimo giorno del 1924. Lo stesso De Bosdari, infatti, precisava a Mussolini di non essersi scoperto nei confronti di Stresemann ma di aver altresì capito che quest’ultimo si riferisse alla

Gli esiti di questi incontri, però, non sfuggirono a Stresemann il quale, imbeccato dai nazionalisti affinché si aprisse maggiormente a un avvicinamento italiano, ne aveva chiesto discretamente conto a De Bosdari verso la fine dell’anno. Ciò risulterebbe da quanto scrisse De Bosdari a Mussolini l’ultimo giorno del 1924. Lo stesso De Bosdari, infatti, precisava a Mussolini di non essersi scoperto nei confronti di Stresemann ma di aver altresì capito che quest’ultimo si riferisse alla