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2.1 Internazionalismo, universalismo e «terza via»

2.1.2 Il fattore religioso

In occasione dell’inizio dell’Avvento Ambrosiano del 1938, il cardinale Ildefonso Schuster pronunciò un’omelia carica di preoccupazione:

«[...] È nata all’estero e serpeggia un po’ ovunque una specie di eresia, che non solamente attenta alle fondamenta soprannaturali della Cattolica Chiesa, ma materializzando nel sangue umano i concetti spirituali di individuo, di Nazione, e di Patria, rinnega alla umanità ogni altro valore spirituale, e costituisce così un pericolo internazionale non minore di quello dello stesso bolscevismo. È il cosiddetto razzismo [...]»98

Il riferimento a quella sorta di «culto neo-pagano», che Alfred Rosenberg stava «forgiando» da diversi anni, era evidente. Così, dopo aver analizzato la «teoria» del razzismo, Schuster dichiarò:

«[...] La Chiesa non fa della politica, né dell’economia sociale. Ma distinzioni di razze nella Chiesa Cristiana, no; perché Cristo non si può fare a brani [...]»

96 Ivi, p. 37.

97 Ivi, pp. 38-44.

98 M. CASELLA, Stato e Chiesa in Italia (1938-1944). Aspetti e problemi nella documentazione dell’Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri, Congedo Editore, Lecce, 2006, p. 54. L’autore, in una nota, fa riferimento al telespresso 3259/1233 del 6 dicembre 1938 al MAE, nel quale in allegato al rapporto dell’ambasciatore, compariva il n. 271 de «L’Italia» di Milano, sul quale era stata riportata l’omelia pronunciata dal cardinale a Milano.

Schuster si spingeva ancora più a fondo della questione, menzionando persino quell’Arminio così tanto enfatizzato nella questione altoatesina:

«[...] È superfluo che io confuti qui una teoria simile che, isolando le varie razze e ponendo questa razza privilegiata di Arminio sopra tutte le altre razze, e costituendola datrice di divinità e fondatrice di diritto, può creare domani e una religione e un giure, non semplicemente superiore, ma addirittura avverso alle are ed ai patri lari di tutti gli altri popoli. [...]»99

Il contraccolpo, almeno per la rivista che pubblicò il testo di un’omelia così avversa alla promulgazione delle leggi razziali anche in Italia, fu assai pesante. «L’Italia», rivista milanese di ispirazione cattolica, fu quasi costretta a chiudere i battenti a causa di quella pubblicazione ma riuscì a evitare la soppressione sostituendo il direttore, Sante Maggi.100

La netta presa di posizione del cardinal Schuster rappresentava quella corrente di pensiero cattolica che, già tra gli anni Venti e Trenta, aveva avanzato critiche severe nei confronti del razzismo biologico di matrice tedesca. Da alcuni anni, anche in Italia, era nato un intenso dibattito tra razzisti «culturali» e «biologici». I primi definivano l’appartenenza razziale in base al principio di «civiltà», i secondi (tedeschi e filo-tedeschi), in base al principio del «sangue». Il molteplice intreccio fra «romanità», «cattolicesimo» e «civiltà», pertanto, costituiva la vera sostanza della contrapposizione culturale latino-nordica. Ciò, ancor più intimamente, scavava nell’ormai incancrenito rapporto tra i cattolici italiani e i tedeschi protestanti, in un contesto nel quale, abbastanza spesso, persino i cattolici tedeschi si trovavano intrappolati tra due fuochi: da una parte il comune richiamo della fede e, dall’altro la condivisione di una sola patria e, soprattutto, di una sola nazione.101

La «questione religiosa», in tal senso, si potrebbe considerare come un consolidamento del

«limes» tra il mondo latino e quello nordico. Il mancato successo della Riforma protestante in Italia potrebbe aver contribuito a creare un solco ancora più profondo tra la cultura latina e quella nordica e le radici del conflitto sarebbero molto più remote rispetto agli anni del fascismo. Dopo la disputa di Lipsia (1519), Lutero divenne una personalità nel contempo nazionale e internazionale. I

99 A. MAJO, G. RUMI, Il cardinal Schuster e il suo tempo, Massimo: NED, Milano, 1996, p. 83.

100 Ivi, p. 84.

101 Per maggiori approfondimenti sul neopaganesimo delineato da Rosenberg e sulla reazione di diversi intellettuali cristiani in Italia, Germania e Scandinavia, ci si permette di segnalare anche: F. FERRARINI, Cattolici e protestanti contro Alfred Rosenberg. Spunti e riflessioni di ricerca sulla creazione di un “culto neopagano” (1933-1945), in Riforma e movimenti religiosi, n. 06, dicembre 2019.

nazionalisti tedeschi dell’epoca si schierarono a sua difesa poiché Roma era il vero nemico, in quanto aveva disgregato quell’istituto essenzialmente germanico rappresentato dal Sacro Romano Impero102 Nel 1526, in seguito alla dieta di Spira, il protestantesimo cominciò ad assumere una consistenza politica sotto la guida di Filippo d’Assia. Dopodiché, la Pace di Augusta del 1555, segnò (per la prima volta in Occidente) il pari riconoscimento di due forme di religione cristiana:

cattolica e luterana. Tutto ciò si fondava su un criterio territoriale e in Germania il luteranesimo ottenne pari dignità con il cattolicesimo. Nei paesi scandinavi, invece, il luteranesimo si preparò a soppiantare il cattolicesimo dal ruolo di religione ufficiale: il motivo fu principalmente politico.

Definire gli effetti della Riforma sulla vita sociale europea non è facile. C’è chi considera il moto protestante come una rivolta dei popoli germanici contro il predominio di quelli latini. Tale generalizzazione non è del tutto priva di verità poiché il protestantesimo divenne la religione ufficiale in molti stati dell’Europa settentrionale, mentre il cattolicesimo rimase prevalente nelle aree dell’Europa meridionale e mediterranea. Ma la rivolta contro Roma viene anche spiegata come un risentimento causato dallo sfruttamento economico. Da ciò deriverebbe l’interpretazione di alcuni storici secondo cui il protestantesimo fosse alla base del capitalismo mentre il cattolicesimo fosse sinonimo di assolutismo. Inoltre, in paesi come l’Olanda e la Svezia, il protestantesimo fu associato alla lotta per l’indipendenza nazionale. In Germania, invece, il luteranesimo conquistò città libere e principati territoriali inserendosi in una struttura mista tra feudale e nazionale. In particolare in Prussia, la politica di Bismarck ebbe l’appoggio dei luterani mentre nel XIX secolo (ma solo in Germania), i cattolici si resero fautori del liberalismo politico. Vi fu persino chi sostenne che il protestantesimo, così attento all’obbedienza nonché riconosciuto come «chiesa di stato», avesse aperto la strada al nazionalsocialismo. Ciò, tuttavia, non tiene conto del fatto che la chiesa tedesca del XX secolo fosse una combinazione di tradizione luterana e riformata. La chiesa confessionale in Germania resistette a Hitler e in Scandinavia il luteranesimo non sfociò affatto nel totalitarismo.103

Si trattava di un tema che nemmeno alcuni importanti esponenti del fascismo e del nazionalsocialismo evitarono di affrontare e, talora, di sfruttare in favore della propria presunta supremazia nazionale. Asvero Gravelli, promotore del concetto di fascismo universale a partire da 1933, già nel 1935 evidenziò la differenza tra l’interpretazione «romana» (dunque italiana) del fascismo rispetto a quella «protestante» (quindi tedesca) del nazionalsocialismo.104 Ma non si trattava di un tema nuovo perché tra la primavera e l’estate del 1931, sulla rivista «Antieuropa», si

102 Cfr. R. H. BAINTON, La Riforma protestante, Einaudi, Torino, 1958, p. 64.

103 Ivi, pp. 139-214.

104 A. BAUERKÄMPER, Op. cit., 2010, p. 227.

era aperta un’aspra polemica sul rapporto tra fascismo e nazionalsocialismo, in particolare sulla disputa se il fascismo fosse o meno universale.105 Tra le varie motivazioni addotte da Gravelli in favore della «versione» fascista italiana, emergeva anche il fattore cattolico. In Germania, invece, durante l’ascesa al potere di Hitler e subito dopo, i nazionalsocialisti appoggiarono alcune chiese dissidenti che avevano rotto con quelle ufficialmente riconosciute, a causa di divergenze in tema di

«razza» e ideologia. Persino la figura di Cristo si sarebbe dovuta «arianizzare», mettendo in risalto i tratti germanici.106

Quanto al presunto nazionalismo dei primi riformatori della chiesa, Lutero si sarebbe trasformato in un profeta germanico della religione nordica anziché rimanere un semplice rinnovatore di una crisi decadente.107 Rosenberg, sostenendo che Roma avesse dominato il cristianesimo predicando amore e umanità, esacerbava lo scontro. Secondo l’ideologo nazionalsocialista, la religione cattolica avrebbe indebolito e corrotto, oltre alla Germania, tutti gli altri stati europei. Martin Lutero e la sua Riforma, proseguiva, avevano spezzato il dominio spirituale e politico della chiesa cattolica.

Tuttavia, grazie alla Controriforma e alla conseguente Guerra dei Trent’Anni, Roma aveva ripreso nuovamente il controllo del cristianesimo.108

Nella polemica anticattolica e antiromana condotta dal nazionalsocialismo, però, non si delineava un ritorno alla tradizione. Si manifestavano, al contrario, gli elementi degenerativi della modernità. Secondo Evola, ad esempio, l’antiromanesimo nazista si collocava al di fuori della stessa tradizione antimoderna poiché non coglieva l’importanza del concetto di Imperium, al quale andavano ricondotti Carlo Magno, gli Hohenstaufen e gli Asburgo. Ma Evola proseguiva, confutando la contrapposizione tra «nordicità» e «romanità». Le radici della migliore tradizione tedesca, sosteneva, affondavano nella Roma antica. L’intellettuale fascista, infine, oltre a criticare

105 La vicenda può essere ricostruita consultando i numeri di maggio, giugno, luglio 1931 della rivista «Antieuropa».

106 In alcune fonti dell’epoca si parlava persino di un Cristo ariano e, nel contempo, «eroico». Ad esempio, si veda: H.

HAUPTMANN, Jesus der Arier. Ein Heldenleben, Deutscher Volksverlag Dr. E. Boepple, München, 1930. Per ulteriori approfondimenti sull’idea del «Cristo ariano», si veda: K. SCHOLDER, Die Kirchen und das Dritte Reich. Band 1:

Vorgeschichte und Zeit der Illusionen 1918–1934, 1977, Frankfurt a. M., p. 260.

107 G. L. MOSSE, Op. cit., p. 455. Nel 2017, in occasione del cinquecentesimo anniversario della Riforma protestante, la casa editrice il Mulino pubblicò un volume assai denso per ripercorrere l’immagine e la vita di Lutero nella storia. Per comprendere meglio i diversi tentativi di interpretazione e, soprattutto, strumentalizzazione postuma della «parola»

luterana, sarebbe opportuno considerare tale opera: Lutero: un cristiano e la sua eredità, 1517-2017, A. MELLONI (direzione di), il Mulino, Bologna, 2017.

108 Sulla strumentalizzazione di Lutero operata dal movimento völkisch e dal partito nazionalsocialista successivamente, si suggerisce: A. GERDMAR, “Luthers Kampf gegen die Juden”: A völkisch Reception of Luther’s View of the Jews, in Op. cit., H. JUNGINGER, A. ÅKERLUND (a cura di), 2013, pp. 132-152.

aspramente le teorie di Rosenberg, si scagliava anche contro il «socialismo agrario» di Richard Walther Darré.109

Ma lo stretto legame tra devianza religiosa e devianza politica (che era implicito nella connessione tra protestantesimo e nazismo) non doveva sorprendere. Infatti, quella mentalità intransigente che spingeva a leggere tutti gli errori, le deviazioni, gli estremismi della storia politica del mondo contemporaneo come frutto di una matrice teologica (e, quindi, religiosa) era ancora pienamente viva, in particolare nell’ambiente ecclesiastico. Secondo tale mentalità, l’«errore religioso» spiegava l’«errore politico» e, dietro a ogni movimento politico negativo per la Chiesa, spuntava il demone delle antiche eresie. Nel periodo tra le due guerre mondiali, l’eresia e la

«devianza» venivano percepite dalla sensibilità cattolica come un pericolo decisivo, assai più grave di quello proveniente dalla massoneria o dall’ebraismo. Lo stesso comunismo, a sua volta, veniva interpretato come fenomeno essenzialmente antireligioso.110

Per alcuni ambienti del mondo cattolico, insomma, il protestantesimo tedesco sarebbe stato responsabile di diversi avvenimenti, tra cui la nascita del nazionalsocialismo. La debolezza spirituale e il caos ideale del protestantesimo, ad esempio, avrebbero consentito al razzismo nazista di affermarsi. Allo stesso tempo, il nazionalsocialismo sarebbe stato legato al protestantesimo presentando la persecuzione religiosa in Germania come essenzialmente anticattolica, anzi come un

«nuovo Kulturkampf» preparato dal nazismo come nuova e più pericolosa formula di quello bismarckiano. Infine, ciò che stava accadendo in Germania, rappresentava la manifestazione di un ancestrale Los von Rom, in cui il nazionalsocialismo finiva per essere il figlio indiretto della cultura protestante, del suo fondo di paganesimo germanico, della sua ostilità alla Roma papale e della cultura classica. Il mondo cattolico, invece, sarebbe stato la difesa della vera tradizione tedesca, del Medioevo cristiano e dell’impero.

109 F. CASSATA, A destra del fascismo. Profilo politico di Julius Evola, Bollati Boringhieri, Torino, 2003, pp. 194-195.

Per una biografia su Darré e per una sintesi della sua concezione «ecologista», si veda: A. BRAMWELL, Ecologia e società nella Germania nazista. Walther Darré e il partito dei verdi di Hitler, Reverdito editore, Gardolo di Trento, 1988.

110 R. MORO, La Germania di Hitler come «eresia protestante», in Le due società. Scritti in onore di Francesco Traniello, a cura di B. GARIGLIO, M. MARGOTTI, P. G. ZUNINO, Società Editrice Il Mulino, Bologna, 2009, pp. 303-304. Per una bibliografia «introduttiva» sul tema, invece, si potrebbero considerare: M. BENDISCIOLI, Germania religiosa nel Terzo Reich. Conflitti religiosi e culturali nella Germania nazista. Seconda edizione riveduta e aumentata, Dalla testimonianza (1933-1945) alla storiografia (1946-1976), Morcelliana, Brescia, 1977; G. MICCOLI, Sulle relazioni fra Santa Sede e Terzo Reich, Olschki Editore, Firenze, 1965; G. MICCOLI, I dilemmi e i silenzi di Pio XII:

Vaticano, Seconda guerra mondiale e Shoah, Rizzoli, Milano, 2000; L. CECI, L’interesse superiore: il Vaticano e l’Italia di Mussolini, Laterza, Bari, 2013; F. TORCHIANI, Mario Bendiscioli e la cultura cattolica tra le due guerre, Morcelliana, Brescia, 2016.

Secondo Egilberto Martire, ad esempio, la Riforma luterana sarebbe stata (anticipando, in chiave anti-tedesca, l’interpretazione di Rosenberg) una «rivolta germanica» contro Roma e la «romanità».

Tale convinzione prese corpo rapidamente anche alla fine degli anni Venti, in particolare tra i gruppi della destra nazionalista fascista. Attraverso personaggi come Giuseppe Fanelli, l’idea era circolata a lungo nei dibattiti di «Antieuropa», alla quale avevano ampiamente partecipato intellettuali cattolici italiani e tedeschi come Bendiscioli, Wust e Herwegen.111 Sembrava che in Germania esistesse un’inimicizia latente contro Roma, la cui eruzione caratterizzava ogni secolo di storia tedesca.112

Certamente la Prima guerra mondiale ebbe un effetto dirompente sugli equilibri europei a danno della solidità statale tedesca e ciò, per alcuni aspetti, poteva ricordare le conseguenze della Controriforma. In epoche molto più remote, tuttavia, la chiesa cattolica si fece assimilatrice, educatrice e civilizzatrice degli invasori barbari celebrando le nozze fra la civiltà nordica e quella mediterranea. Si accinse, inoltre, a placare le contese fra le tribù turbolente, più propense a fare del Cristo un dio degli eserciti anziché riconoscersi legate da un mutuo vincolo di fraternità.113 Nel 1933, però, anche Guido Manacorda (notoriamente vicino al regime) inserì la polemica antiprotestante nel quadro di una più ampia critica contro il germanesimo. L’intellettuale italiano, infatti, istituiva un legame esplicito tra il razzismo del movimento hitleriano e l’antica mitologia germanica, l’«Edda», la tradizione del paganesimo mistico e panteista tedesco, quel «fermento odinico-barbarico» nascosto tanto in Lutero quanto nell’opera di Goethe.114 La stessa opposizione tra cattolicesimo e nazionalsocialismo veniva così collocata da Manacorda nella più generale contrapposizione tra «il tempio» e «la selva». Secondo il germanista cattolico, pertanto, si trattava di un eterno contrasto, benché sotto diversi nomi e definizioni, tra paganesimo e cristianesimo. Il razzismo nordico, in sintesi, non sarebbe stato altro che «una arretratissima posizione di tipo manicheo, materializzata, corporizzata e svuotata di quel tanto di spiritualità che in quello era pure contenuto». Manacorda accusava Lutero di essere addirittura un «Odino cristiano».115

111 R. MORO, Op. cit., 2009, pp. 308-309.

112 Per alcuni spunti sull’opinione italiana nei confronti della Germania a ridosso della Prima guerra mondiale, si raccomandano: G. MANACORDA, Civiltà tedesca e civiltà italiana, Direzione della Nuova Antologia, Roma, 1915; G.

MANACORDA, Del mito Germanico nella tradizione nordica e nell’interpretazione wagneriana. Memoria letta alla R.

Accademia di archeologia, lettere e belle arti di Napoli [da] Guido Manacorda, Cimmaruta, Napoli, 1915.

113 R. H. BAINTON, Op. cit., 1958, p. 19.

114 Per una buona traduzione in italiano dell’Edda, poema epico di Snorri Sturluson scritto nel medioevo, si rimanda al lavoro di Giorgio Dolfini. Di seguito i riferimenti dell’opera consultata: S. STURLUSON, Edda, a cura di G. DOLFINI, Adelphi, Milano, 1975.

115 R. MORO, Op. cit., 2009, pp. 309-310.

Poliakov non trascurò l’ipotesi secondo cui, con le opportune cautele, potesse esistere un tipo di religione ancestrale, insita nelle origini stesse delle popolazioni germaniche. Esisteva un tema caratteristico che sarebbe maturato nel XIX secolo ma che, già ai tempi di Lutero, cominciò a delinearsi. Si tratta dell’esistenza di una religiosità innata specificamente germanica, particolarmente rintracciabile negli scritti di Eberlin von Günsburg, il propagandista luterano più popolare nel periodo compreso tra il 1520 e il 1530. Tale francescano spretato sosteneva che gi antichi Germani fossero «saggi e più Tedeschi», ma anche un «popolo cristiano». Essi erano stati sviati dai missionari romani i quali avevano predicato loro un vangelo «adulterato e circonciso».

Così, il popolo tedesco venne condotto con l’inganno da una legge cristiana a una legge papista, dalla pienezza alla miseria, dalla verità alla menzogna, dalla virilità alla femminilità. Lutero e von Hutten, invece, in quanto inviati da Dio, riportarono i tedeschi sulla retta via.116

In Germania, stando alle statistiche ufficiali del giugno 1933, su 65.218.461 cittadini tedeschi, il 62,66% professava la confessione evangelica. La chiesa cattolica romana, invece, contava il 32,46%

della popolazione, mentre solo lo 0,77% era israelita. Ciò che sorprende, tuttavia, è il dato relativo ai 2.646.614 cittadini tedeschi che non abbracciavano alcuna fede, oppure appartenevano, ad esempio, a società «irreligiose».117 Nell’arco di sei anni, ad eccezione della comunità ebraica, pare che i numeri non fossero variati di molto. Dal censimento del 1939, infatti, emersero i seguenti dati:

il 95% dei tedeschi si dichiarava aderente alle Chiese; l’1,5% ateo; soltanto il 3,5% «credente in Dio». Quest’ultima, però, sarebbe stata la voce preferita dai nazionalsocialisti.118 Anche su quelle persone, probabilmente, il nazionalsocialismo seppe fare efficacemente presa attraverso il proprio

«neopaganesimo misticheggiante». Da notare, infine, che da questa frangia di destra cattolica non era escluso nemmeno un certo tipo di antisemitismo che, tuttavia, nulla aveva a che fare con interpretazioni razziali o biologiche, bensì religiose.119

Sebbene i cattolici fossero in netta minoranza, in Germania esistevano sostenitori di una tesi assai accattivante dal punto di vista teologico, ma anche politico. Mario Bendiscioli, ad esempio, raccolse alcune tra le più autorevoli interpretazioni espresse dai pensatori cattolici all’inizio degli anni Trenta. Circolavano idee secondo cui le grandi epoche del germanesimo fossero state quelle in cui si presentavano vive e feconde le relazioni con Roma, quelle in cui si fosse realizzata la

«simbiosi» tra spirito tedesco e spirito romano. La riforma luterana, invece, si era alimentata notevolmente di una propensione antiromana e, a sua volta, si era irrobustita intaccando

116 L. POLIAKOV, Op. cit, 1999, p. 102.

117 M. BENDISCIOLI, Op. cit., 1977, p. 35.

118 R. CECIL, Op. cit., Milano, 1973, p. 140.

119 K. P. HOEPKE, Op. cit., 1971, p. 75.

notevolmente anche la parte cattolica pur rimasta fedele a Roma.120 La sua analisi più lucida e illuminante sul tema giunse nel 1937, attraverso la pubblicazione di un volume ancora oggi assai trascurato: «Neopaganesimo razzista».121

Secondo l’intellettuale di origine bresciana, tra i vari responsabili della degenerazione pagana della società tedesca per mano del nazionalsocialismo, emergeva la figura di Richard Wagner. Il musicista tedesco, attraverso i suoi drammi musicali, aveva introdotto nella letteratura popolare il misterioso mondo nordico-germanico. Manacorda, scriveva Bendiscioli, aveva riscontrato nel Parsifal la premessa del cristianesimo «ariano» teorizzato da Rosenberg. Allo stesso modo, Nietszsche aveva esaltato l’uomo istintivo, fedele solo alla propria natura, contro la fiacca borghesia dell’epoca. Moenius, invece, sosteneva che esistessero «due Germanie»: una sud-occidentale di matrice cattolico-romana e l’altra sud-orientale di marca romantica tedesco-slava. Alla creazione di queste «due Germanie» aveva contribuito in modo particolare la Riforma che, intimamente, fu un movimento di razza e aizzò la Germania contro l’Italia. La Riforma ebbe un effetto dannoso come il trattato di Verdun. Se è vero che la renitenza contro Roma era nata da istinti anti-romani, allora la Riforma sarebbe stata l’espressione di una tendenza antropologica, ossia di una protesta di

«razza».122

La visione di Moenius appariva radicale ma, nel contempo, consapevole dei pericoli verso i quali la Germania e l’Europa stavano correndo sulla strada della «razza». Sebbene condizionato dalle proprie convinzioni religiose, Moenius ammoniva il lettore con tono profetico, ritenendo che la

«bionda bestia» dovesse essere addomesticata dal «braccio romano. Ecco come si riferiva alla Germania luterana:

120 M. BENDISCIOLI, Il romanesimo nella coscienza germanica contemporanea in Op. cit., 1933, p. 24. Tra i tanti osservatori della Germania già menzionati, Bendiscioli fu certamente tra i più autorevoli e, nel contempo, tra i meno compromessi con il regime. Attualmente, uno dei contributi più aggiornati e densi sulla figura di Mario Bendiscioli tra le due guerre è il seguente volume di Francesco Torchiani: F. TORCHIANI, Op. cit., 2016.

121 M. BENDISCIOLI, Op. cit., 1937. In copertina compariva una caricatura dell’opera di Albrecht Dürer intitolata Ritter, Tod und Teufel (Il cavaliere, la morte e il diavolo). Come si vedrà dettagliatamente in seguito, Hans Günther, il vero

«demiurgo» del razzismo tedesco, scelse proprio il titolo dell’opera di Dürer per una delle sue opere più importanti, pubblicata nel 1920. L’opera è stata ristampata anche pochi anni fa e, nell’edizione della Vero Verlag, compare proprio un ritaglio del quadro di Dürer. Per maggiori dettagli: H. GÜNTHER, Ritter, Tod und Teufel: Der heldische Gedanke, Vero Verlag, 2013.

«demiurgo» del razzismo tedesco, scelse proprio il titolo dell’opera di Dürer per una delle sue opere più importanti, pubblicata nel 1920. L’opera è stata ristampata anche pochi anni fa e, nell’edizione della Vero Verlag, compare proprio un ritaglio del quadro di Dürer. Per maggiori dettagli: H. GÜNTHER, Ritter, Tod und Teufel: Der heldische Gedanke, Vero Verlag, 2013.