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3. RAZZISMO «CULTURALE» E RAZZISMO «BIOLOGICO»

3.2 Il razzismo «nordico»

3.2.1 Hans Günther, il «demiurgo» del razzismo nordico

Walther Hubatsch, storico militare tedesco (di tendenza conservatrice), mise in evidenza come la Scandinavia costituisse una sorta di «fascinazione» nell’immaginario dei tedeschi.102 Il loro interesse per quella terra e per i suoi abitanti aveva origini assai profonde, risalenti almeno all’epoca dell’Umanesimo.103 Un avvicinamento che potrebbe apparire come una sorta di «forzatura», era in realtà il prodotto di un retaggio culturale molto più remoto e strutturato. Metaforicamente occorreva molto spazio per consentire a questo enorme «corpo immaginativo» di crescere e le sconfinate terre nordiche rappresentavano il luogo ideale, il «climax» perfetto e sublime in cui esso potesse espandersi. Ne sono una prova, ad esempio, i rapporti entusiastici delle esperienze di Hans F.K.

Günther durante i suoi soggiorni norvegesi. Questi, oltre a essere uno dei maggiori rappresentanti di

100 A. D’ONOFRIO, Razza, sangue e suolo. Utopie della razza e progetti eugenetici nel ruralismo nazista, Cliopress, Napoli, 2007, p. 8.

101 Come si è detto, tali teorie vennero accolte da una certa cultura nazionalista di alcuni paesi europei e principalmente dall’ideologia völkisch tedesca. Tuttavia, forse in nessuna lingua (almeno europea) esiste una traduzione netta e precisa della parola tedesca völkisch. Uwe Puschner, però, ha provato a sintetizzarla opportunamente in un coacervo di elementi, tra cui emergono le parole: etnico, popolare, nazionale, nazionalista, razziale e razzista (Cfr. U. PUSCHNER, The Notions of Völkisch and Nordic: A conceptual Approximation, in Op. cit., H. JUNGINGER, A. ÅKERLUND (a cura di), 2013, pp. 21-38). Pertanto, il termine «nazional-patriottico», con cui tradizionalmente la parola viene tradotta in italiano, sarebbe accettabile ma, forse incompleto e limitato.

102 Birgitta Almgren ha contribuito significativamente a descrivere questo immenso immaginario nordico tedesco non solo attraverso riflessioni di carattere antropologico, letterario e filosofico, ma anche storico e storiografico. In particolare, si è concentrata sull’infiltrazione della propaganda culturale nazionalsocialista nelle università e nei circoli culturali svedesi. In proposito, si raccomandano i seguenti studi: B. ALMGREN, Illusion und Wirklichkeit. Individuelle und kollektive Denkmuster in nationalsozialistischer Kulturpolitik und Germanistik in Schweden 1928-1945, Södertörns högskola, 2001; Bilder des Nordens in der Germanistik 1929-1945. Wissenschaftliche Integrität oder politische Anpassung?, B. ALMGREN (a cura di), Södertörns högskola 2002. B. ALMGREN, Drömmen om Norden, Nazistisk infiltration i Sverige, 1933-1945, Carlssons, 2006.

103 H. J. LUTZHÖFT, Op. cit, 1971, p. 203.

quella «forzatura» che si configurava come una nuova era degli studi sulla «razza», fu anche l’autore dell’opera «Rassenkunde des deutschen Volkes» (Scienza razziale del popolo tedesco).

Pubblicata per la prima volta nel luglio del 1922, essa divenne la base ideologica del nazionalsocialismo in termini di «razza» nonché di «eugenetica».104

Günther prese ispirazione dai principi espressi dall’antropologo franco-russo Joseph Deniker che, nel 1900, aveva pubblicato «Les races et le peuples de la terre». Dopodiché, rifacendosi al significato di race nordique, lo tradusse in nordische Rasse (razza nordica, appunto) e lo pose a fondamento del «razzismo biologico».105 La figura di Hans Günther merita particolare approfondimento per la sua apparentemente calzante armonizzazione tra «razza», «cultura» e

«terra» all’interno della dicotomia nordico-germanica. Il suo pensiero e le sue opere, infatti, influenzarono considerevolmente anche taluni teorici della «razza italiani», in particolare Giulio Cogni. Nato nel 1891, Günther studiò linguistica e germanistica, dapprima all’università di Friburgo (in Bresgovia) e, successivamente, a Parigi.106 Poeta «mancato» ma appassionato, volontario nel corso della Prima guerra mondiale e fervente nazionalista, Günther aveva già il profilo ideale per scarnificare quel poco che rimaneva attaccato alle ossa dell’imperialismo tedesco ed estenderlo ad un assai più ampio orizzonte di presunta superiorità razziale del popolo tedesco. Le idee di Günther partivano da lontano, dalle montagne e dalle foreste disseminate tra la Norvegia e la Svezia che

104 Ivi, p. 31. Elvira Weisenburger ha definito Günther come il «papa della razza» (Rassepapst). In proposito, si veda: E.

WEISENBURGER, Der „Rassepapst“. Hans-Friedrich Karl Günther, Professor für Rassenkunde, in Die Führer der Provinz. NS-Biographien aus Baden und Württemberg, M. KISSENER, J. SCHOLTYSECK (a cura di), Karlsruher Beiträge zur Geschichte des nationalsozialismus, Konstanz, 1999, pp. 161-199.

105 B. ALMGREN, J. HECKER-STAMPEHL, E. PIPER, Op. cit., 2008, p. 10.

106 Nonostante avesse già intrapreso la carriera scolastica e pedagogica, i suoi interessi si orientarono presto verso l’antropologia. I suoi soggiorni di approfondimento e studio presso Vienna e Dresda lo condussero, nel 1922, alla pubblicazione dell’opera «Rassenkunde des deutschen Volkes». Ristampata numerose volte negli anni successivi, dopo l’ascesa di Hitler sarebbe diventata una delle basi ideologiche del nazionalsocialismo in termini di «razza» nonché di eugenetica. La «consacrazione nordica», tuttavia, avvenne nel 1923, quando Günther conobbe una studentessa norvegese Maggen Blom. La giovane musicista lo invitò presso la sua città natale, Skien (nella regione di Telemark) e così, nel mese di luglio dello stesso anno, si sposarono. Günther rimase a Skien sino al 1925, poi si recò ad Uppsala, in Svezia, dove visitò il noto istituto nazionale per la biologia della razza (SIFR, Statens institut för rasbiologi). Alla fine degli anni Venti, si trasferì con tutta la sua famiglia a Dresda. La sua carriera accademica proseguì a Jena e la crescente popolarità dei suoi studi non tardò a raggiungere gli ambienti nazionalsocialisti. Nel maggio del 1931 fu persino vittima di un attentato per mano di un diciottenne viennese. Mentre Günther scampò alla morte, il suo attentatore venne arrestato ma non si seppe più nulla del suo destino. Nel 1930, nonostante l’opposizione del senato accademico e del rettore, Günther ottenne la cattedra di Antropologia sociale presso l’università di Jena. Ciò avvenne grazie alle pressioni esercitate dall’allora ministro degli Interni e della Pubblica Istruzione della Turingia, Wilhelm Frick (si veda: H. J.

LUTZHÖFT, Op. cit., 1971, pp. 28-41).

rappresentavano, non solo per Günther, lo scenario ideale nel quale contestualizzare le teorie sulla

«razza». L’interesse del movimento völkisch nei confronti della Scandinavia (Norvegia e Svezia) era motivato dalla convinzione razziale secondo la quale tali luoghi fossero, se non proprio la culla dell’umanità, almeno il centro originario biologico, spirituale e culturale della «razza» germanica o nordica. Ciò spiegherebbe la diffusione delle teorie pseudo-scientifiche sulla «razza» di personaggi come Luwig Wilser, Herman Wirth e dello stesso Günther. Inoltre, motiverebbe la nascita di associazioni e confraternite come l’«anello nordico» (Nordischer Ring).107

Günther fu colui che, forse più di ogni altro scienziato o intellettuale dell’epoca, contribuì a mantenere un’immagine arcaica e immutata della Norvegia agli occhi dei tedeschi. Dopo essersi sposato con una norvegese e aver trascorso parecchio tempo nella regione di Telemark, in Norvegia, Günther seppe unire, almeno apparentemente, il concetto di «purezza» della «razza» nordica alla mistica di un paesaggio incontaminato e incorruttibile. Ciò riconduceva a convinzioni di matrice völkisch che appartenevano a un secolo ormai estinto. Intorno alla metà degli anni Settanta del XIX secolo, infatti, lo scrittore e storico militare Hermann von Pfister-Schwaighusen aveva affermato che l’aggettivo di derivazione latina «nazionale» si dovesse germanizzare in völkisch.

L’interpretazione si diffuse rapidamente negli ambienti pangermanisti austriaci ed entrò a far parte della retorica nazionalista. L’austriaco Alfred Krauß nel 1925, si spinse oltre, sostenendo che il termine «nazionale» e völkisch fossero come «due vestiti diversi, adatti alle misure di due persone altrettanto differenti, ma prodotti dalla stessa fabbrica».108

Günther, però, aveva introdotto una sostanziale novità rispetto alle teorie del suo «maestro»

Lapouge. Mentre per il teorico francese la supremazia della «razza» non conosceva confini

«nazionali», nel senso che nessuna nazione poteva incarnare un preciso canone di «razza», per Günther ciò non era condivisibile. Seguendo, probabilmente con un certo opportunismo, le radicali istanze nazionaliste del nazionalsocialismo, Günther «tradusse» le teorie sulla superiorità della

«razza» in una versione assolutamente tedesca e, per estensione, pangermanista. Lapouge, al contrario, non riteneva che «ariano» fosse sinonimo di «tedesco» o «germanico» e nemmeno (benché antisemita), che la «razza ebraica fosse da ritenersi inferiore alle altre. Si trattava di aspetti che urtavano la sensibilità dei colleghi tedeschi, soprattutto di coloro che si erano esposti maggiormente a sostegno del nazionalsocialismo. Anche perché, elemento da non sottovalutare, Lapouge era francese. Ciò creava imbarazzo tra i fervidi nazionalisti (e nazisti) tedeschi che,

107 U. PUSCHNER, Op. cit, in H. JUNGINGER, A. ÅKERLUND (a cura di), Op. cit., 2013, p. 26.

108 Ibidem, pp. 21-22.

sebbene cresciuti sotto l’influenza culturale di Lapouge, si ritrovavano a omaggiare un «eroe»

scomodo.109

Alla base di questa concezione, i nazionalsocialisti ponevano uno scopo preciso: creare uno stato razziale attraverso i mezzi moderni delle politiche sociali. Pertanto, le politiche razziali e sociali sarebbero state studiate come una materia unica e indivisibile.110 Günther prese spunto anche da alcuni studi di Niceforo, in particolare sul crimine e sulla psicologia mediterranea. Tuttavia, non ne condivideva l’atteggiamento nei confronti della modernità. Per i nazionalsocialisti la tecnologia si sarebbe dovuta applicare solo come strumento per la conservazione e, anzi, il ripristino dell’antica società germanica. Ciò sarebbe avvenuto, pertanto, grazie all’uso delle armi e del progresso in chiave reazionaria affinché la Germania potesse dapprima affrancarsi dalle potenze straniere e, successivamente, dominarle.111 Le conseguenze dirette di questa concezione völkisch si tradussero anche in fenomeni come l’antisemitismo, l’anti-slavismo, l’antibolscevismo, l’anti-romanesimo (quindi anche l’anti-clericalismo, l’anti-cattolicesimo, e l’anti-gesuitismo), oltre alla completa opposizione nei confronti dell’internazionalismo, del femminismo, del parlamentarismo e della massoneria.112

Come anticipato, però, colui che venne indiscutibilmente celebrato come il massimo esperto di

«razzismo nordico» non ebbe mai una formazione realmente «scientifica». Hans Günther aveva conseguito un dottorato in linguistica e germanistica, mentre tutte le sue conoscenze successive erano state «mutuate» da colleghi più esperti come il norvegese Halfdan Bryn. Gran parte dell’«humus scientifico» alla base del futuro razzismo nazionalsocialista, dunque, venne dalle teorie di un poeta mancato che, tentando di intraprendere la via della scrittura, si fece conoscere al pubblico attraverso un ormai noto romanzo nazionalista: «Ritter, Tod und Teufel. Der heldische Gedanke».113