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2.1 Internazionalismo, universalismo e «terza via»

2.1.3 La diffusione dei «fascismi» nei paesi nordici

Sebbene fattori come il nazionalismo, l’antiparlamentarismo e l’anticomunismo, fossero elementi comuni nella formazione delle rispettive «destre fasciste», il nazionalsocialismo si caratterizzò sin dall’inizio per una peculiare interpretazione razziale dell’ideologia fascista.134 Esso, presentandosi come una variante «nordica» del fascismo italiano, riuscì a intromettersi tra l’interpretazione di Mussolini e quella degli altri fascismi emergenti.135 Inoltre, pur non

131 H. JUNGINGER, Nordic Ideology in the SS and the SS Ahnenerbe, in Nordic Ideology, Religion and Scholarship, in Nordic Ideology between Religion and Scholarship, H. JUNGINGER, A. ÅKERLUND (a cura di), Peter Lang, Frankfurt am Main, 2013, p. 42.

132 Ibidem, pp. 42-46. La vita del movimento, fondato da Jakob Wilhelm Hauer, fu breve e assai contraddittoria. Hauer, infatti, era diventato un membro delle SS ma non si sarebbe iscritto al partito nazionalsocialista sino al 1937 perché in polemica con la forte influenza cristiana presente nel programma del partito di Hitler. Per avere un quadro abbastanza esauriente di tutte le associazioni pagane tedesche dell’epoca, è ancora oggi utile risalire ai dati contenuti nella dissertazione di dottorato di Heinz Bartsch, discussa nel 1938 a Lipsia sotto la supervisione di Hans Freyer e Arnold Gehlen. Nonostante Bartsch fosse ateo e nazionalsocialista, il suo studio conteneva informazioni preziose sulla presenza e la diffusione del paganesimo all’interno del Terzo Reich. Gli estremi della dissertazione, così come pubblicata, erano i seguenti: H. BARTSCH, Die Wirklichkeitsmacht der Allgemeinen Deutschen Glaubensbewegung der Gegenwart, Ludwig, Breslau, 1938. L’opera venne ripubblicata circa settant’anni dopo da un editore di destra (Toppenstedt: Uwe Berg Verlag, 2007).

133 R. CECIL, Op. cit., 1973, pp. 99-100. Sul culto degli eroi caduti: S. BEHRENBECK, Der Kult um die toten Helden.

Nationalsozialistische Mythen, Riten und Symbole, SH-Verlag, Vierow bei Greifswald, 1996.

134 G. CORNI, Op. cit., 1989, pp. 33-35.

135 Per una prospettiva generale sul fascismo nei paesi nordici si rimanda a: U. LINDSTRÖM, Fascism in Scandinavia:

1920-1940, Department of Political Science, University of Umeå, Avhandling för filosofie doktorsexamen, 1983; H. S.

NISSEN, Scandinavia during the Second World War, The University of Minnesota Press, 1983; G. CORNI, Op. cit., 1989; S. U. LARSEN, B. HAGTVET, J. P. MYKLEBUST (a cura di), Op. cit. 1996. In particolare, per la storia del nazismo

rappresentando l’unico esempio di fascismo «nordico», il nazionalsocialismo fu il più influente nei confronti dei fascismi dell’Europa settentrionale.136 Ecco perché, ancora oggi, molti studiosi continuano ad approfondire il tema delle relazioni tra i fascismi latini, germanici e nordici. Come anticipato nell’introduzione, in seno al fascismo italiano esisteva un progetto «embrionale» di diffusione della «dottrina» mussoliniana su scala globale. Il contesto politico dei paesi nordici, però, non apparve mai realmente compatto, né tra le due guerre, né tantomeno durante il secondo conflitto mondiale. Mentre la Danimarca e la Norvegia subirono l’occupazione tedesca, la Svezia rimase neutrale. La Finlandia, invece, pur non subendo l’invasione germanica, ne fu per lungo tempo alleata. Già questi elementi suggeriscono diversi approcci interpretativi che si traducono in

danese, si consigliano rispettivamente, gli studi ormai classici di Lauridsen e, soprattutto, i lavori assai più recenti di Claus Bundgård Christensen. Ad esempio: J. T. LAURIDSEN, Nazister i Danmark 1930-45. En Forskningoverrsigt, in

«Historisk Tidsskrift», Bind. 16. række 4, 1995; C. B. CHRISTENSEN, Under hagekors og Dannebrog: Danskere i Waffen SS, Aschehoug, 1998; C. B. CHRISTENSEN, N. B. POULSEN, P. S. SMITH, Germanic Volunteers from Northern Europe, The Waffen-SS: A European History, Oxford University Press, Oxford, 2017. Per alcuni approfondimenti sulla Norvegia, si consigliano: H. F. DAHL, Op. cit., 2008; S. GARAU, Op. cit., 2015; T. EMBERLAND, Da Fascismen kom til Norge. Den nasjonale legions vekst og fall, 1927-1928, Dreyers Forlag, Oslo, 2015. Sul caso svedese, invece, si suggerisce: E. WÄRENSTAM, Fascismen och nazismen i Sverige, Stockholm, Almqvist & Wiksell, 1972; L. BERGGREN, Elof Eriksson (1883-1965): A Case-study of Antisemitism in Sweden, Patterns of Prejudice, 34:1, 39-48, 2000; L.

BERGGREN, Swedish Fascism – Why bother?, Journal of Contemporary History, Vol 37 No 3, 2002; L. BERGGREN, Completing the Lutheran Reformation: Ultra-nationalism, Christianity and the Possibility of ‘Clerical Fascism’ in Interwar Sweden Totalitarian Movements and Political Religions, 8:2, 2007, pp. 303-314; L. BERGGREN, Intellectual Fascism: Per Engdahl and the Formation of 'New-Swedish Socialism', Fascism: Journal of Comparative Fascist Studies, 3(2): 69-92, 2014. Infine, sulla storia del fascismo in Finlandia, esiste una piccola ma promettente bibliografia.

In particolare si consigliano: L. KARVONEN, From White to Blue-and-Black. Finnish Fascism in the Inter-War Era, Helsinki, The Finnish Society of Sciences and Letters, 1988; S. ZETTERBERG, Finland after 1917, Otava, Helsinki, 1991; R. ALAPURO, Il sostegno di massa al fascismo in Finlandia in I fascisti. Le radici e le cause di un fenomeno europeo, in S. U. LARSEN, B. HAGTVET, J. P. MYKLEBUST (a cura di), Op. cit. 1996; O. JUSSILA, S. HENTILÄ, J.

NEVAKIVI, Storia politica della Finlandia, Guerini e Associati, Milano, 2004; M. LONGO ADORNO, Storia della Finlandia contemporanea. Il percorso della modernità e l’integrazione nel contesto europeo, FrancoAngeli, Milano, 2014; O. SILVENNOINEN, ‘Home, Religion, Fatherland’: Movements of the Radical Right in Finland, in Fascism:

Journal of Comparative Fascist Studies, 4, 2015.

136 Per una sintesi generale sui rapporti politici e culturali tra Germania e Scandinavia, si suggeriscono due testi ormai classici ma imprescindibili: H. J. LUTZHÖFT, Der Nordische Gedanke in Deutschland 1920-1940, Ernst Klett Verlag, Stuttgart, 1971; M. GERHARDT, W. HUBATSCH, Deutschland und Skandinavien im Wandel der Jahrhunderte, Bouvier, 1977. Tra i lavori più recenti, invece, si segnalano: B. ALMGREN, J. HECKER-STAMPEHL, E. PIPER, Op. cit. 2008; N. K.

KARCHER, Zwischen Nationalsozialismus und nordischer Gesinnung. Eine Studie zu den rechtsgerichteten Verbindungen norwegisch-deutscher Milieus in der Zwischenkriegszeit, Avhandling for ph.d.-graden (tesi di dottorato), Institutt for arkeologi, konservering og historia, Det humanistiske fakultet, Universitetet i Oslo, 2012.

temi più ampi come il «collaborazionismo» (nel caso danese e norvegese), la «neutralità» (nella fattispecie svedese) e l’anticomunismo combinato all’antislavismo (in ambito finlandese).

Nel caso danese, ad esempio, una ragionevole comparazione con il fascismo italiano risulterebbe abbastanza azzardata ma, non per questo, priva di potenziali piste di ricerca. Alcuni piccoli gruppi

«fascistoidi» danesi, infatti, si sarebbero sviluppati nel corso degli anni Venti. Ad esempio, il Nationalt Ungdomsforbund, il Nationalkorpset e il gruppo De Jyske Fascister.137 Sebbene una prima ricognizione sulle fonti bibliografiche lasci pensare che il movimento fascista danese, in particolare quello declinato «all’italiana», non avesse goduto di popolarità e successo in patria, occorre ricordare che alcuni emissari italiani e danesi svilupparono contatti da Roma a Copenaghen tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta. Nel 1932, Johan Wilhelm Krieger (presentandosi come portavoce dei fascisti danesi) tentò di prendere contatti con Achille Starace.

Tuttavia, il conte Capasso (allora ministro d’Italia a Copenaghen) riferì a Starace che il soggetto non fosse particolarmente apprezzato nell’ambiente politico danese e, probabilmente, nemmeno in quello fascista. Sarebbe stato pertanto opportuno evitare collaborazioni dirette. L’anno successivo, però, il giornalista italiano Nicola Pascazio (che si era recato in Danimarca, Finlandia e negli altri paesi baltici) seppe da Krieger (a sua volta amico di Eugenio Coselschi) che Thomas Damsgaard Schmidt era il capo effettivo del fascismo danese. Pare, infatti, che i fascisti danesi fossero soliti incontrarsi proprio nel negozio di Schmidt, l’Arena.138

Certamente, già nel 1934, a Copenaghen esisteva un ufficio dei CAUR di Coselschi. La sezione nacque dopo un’ispezione condotta da un avvocato fiorentino, Alberto Luchini, allora direttore dell’Istituto di Cultura Fascista di Firenze. La sede venne inaugurata ufficialmente nell’ottobre del 1934 e la segreteria venne affidata a un ufficiale danese, Willy Salicath. Ma Luchini, a differenza di Pascazio, prese contatto anche con i filo-nazisti danesi e con Clausen. Infine, Luchini mise in evidenza la forte connotazione antisemita del fascismo danese sulla scia di quello tedesco.139

137 A. HOLM, ‘Opposing the Past’: Danish Radical Conservatism and Right-Wing Authoritarianism in the Inter-War Years, in International Fascism 1919-45, a cura di G. SØRENSEN, R. MALLETT, Frank Cass, London-Portland, 2002, p.

5. In particolare, Holm approfondisce l’eventuale relazione tra conservatori ed estrema destra, soprattutto quando la destra conservatrice sembrò perdere una dimensione «moderata».

138 H. LUNDBAK, På sporet af en dansk fascisme, in «Piranesi Italienske Studier», n. 4, 1987, pp. 77-79. Pascazio era un informatore italiano che, proprio all’inizio degli anni Trenta, aveva colto la tendenza danese a orientarsi verso il crescente nazionalsocialismo germanico. In particolare, ciò avvenne quando i fascisti danesi vennero guidati da Frits Clausen. Pascazio, però, non prese contatto con i filo-nazisti ma comprese, anzi, che si trattava di potenziali concorrenti del fascismo italiano.

139 La sezione locale dei CAUR si trovava presso l’elegante e centralissima piazza Søtorvet (letteralmente piazza del lago) dove un tempo sorgeva il Café de la Reine. Cfr. H. LUNDBAK, Op. cit., 1987, pp. 83-85.

Ciò spiegherebbe, ad esempio, perché proprio Clausen, durante il congresso di Montreux, avesse sollevato la questione con tanta veemenza. È assai noto, infatti, che all’inizio degli anni Trenta l’estrema destra danese avesse iniziato percorrere rapidamente la via dell’avvicinamento al nazionalsocialismo tedesco, persino prima dell’ascesa al potere di Hitler. In Danimarca, però, l’unico partito fascista di una qualche rilevanza era il DNSAP (Danmarks Nationalsocialistiske Arbejder Parti). Fondato nel 1930, era riuscito a sopravvivere sino alla capitolazione tedesca nel 1945. Ma la reputazione del suo leader più noto, Frits Clausen, non godeva di pareri unanimi.

Henning Poulsen e Malene Djursaa lo definirono come un leader non troppo abile, che non riuscì a conciliare il nazionalismo danese (da sempre anti-tedesco), con l’ammirazione che l’occupazione tedesca avrebbe dovuto suscitare negli ambienti della destra in Danimarca. Tuttavia, a differenza dei nazionalsocialisti norvegesi e olandesi, quelli danesi non ottennero alcun potere (almeno formale), dall’occupante germanico. I tedeschi, al contrario, scelsero la via del compromesso con il governo costituzionale danese.140

Benché marginale e irrilevante (ma pur sempre degno di nota) appariva il caso islandese. Sino al 1944, infatti, l’Islanda era appartenuta alla corona danese, anche se questo non sembra aver influenzato particolarmente la diffusione del nazi-fascismo in quella remota zona del mondo.

Eppure, a differenza di quanto si possa credere, il fascismo islandese non rappresentava esattamente un’estensione di quello danese. Esso era nato in seguito alla crisi del 1932 e, tra i fondatori, comparivano un ricco proprietario terriero islandese, un giovane che aveva appena completato gli studi in Germania e un commerciante di francobolli. Il programma «politico» stabiliva che la

«razza» dovesse essere mantenuta indenne dalle malattie ereditarie, pertanto erano necessarie la selezione e l’educazione razziale.141 La formazione, inoltre, era antisemita e adottava gli stessi simboli del nazionalsocialismo tedesco.142

Nel 1934, però, il piccolo partito confluì in uno più grande di stampo nazionalista. Sebbene la piattaforma dei nazionalisti islandesi potesse essere paragonata al programma danese illustrato nel pamphlet «Nazionalsocialismo» di Frits Clausen,143 non sembra che i nazisti tedeschi fossero impressionati dal partito e dalla sua leadership. Effettivamente il partito nazionalista islandese (e quindi la compagine di ispirazione nazista) fu debole e ininfluente. A quanto pare, quindi, la popolazione islandese fu pressoché immune dalla «panacea» del nazionalsocialismo.144

140 H. POULSEN, M. DJURSAA, Le basi sociali del nazionalsocialismo in Danimarca: la DNSAP, in S. U. LARSEN, B.

HAGTVET, J. P. MYKLEBUST (a cura di), Op. cit., 1996, pp. 791-797.

141 S. U. LARSEN, B. HAGTVET, J. P. MYKLEBUST (a cura di), Op. cit., 1996, p. 837.

142 Ivi, p. 838.

143 Ivi, pp. 840-841.

144 Ivi, p. 844.

In Norvegia, sebbene Vidkun Quisling rappresenti ancora oggi universalmente la figura del traditore e del «collaborazionista» per eccellenza, il fascismo si era manifestato già parecchi anni prima del suo governo-fantoccio appoggiato dalle forze di occupazione tedesche.145 Tra coloro che si sono occupati a fondo della materia, solo per citarne alcuni tra i più noti, emergono: Hans Fredrik Dahl, Salvatore Garau, Terje Emberland e Stein Ugelvik Larsen. Questi storici non si sono limitati a ricostruire le vicende del fascismo norvegese, ma hanno anche gettato le basi per ampi studi di comparazione tra i fascismi locali norvegesi e quelli stranieri. Per tale motivo, così come nei casi della Svezia e della Finlandia, si potrà certamente continuare a parlare di «fascismo nei paesi nordici» senza rinchiudere la ricerca all’interno dei confini nazionali ma, anzi, allargandola al ben più ampio ambito del fascismo internazionale e transnazionale. Il fascismo di Quisling, infatti, fu solo una delle diverse interpretazioni del fascismo norvegese. Sebbene si trattasse di quello più noto e apparentemente «efficace», tra i fiordi non mancarono esperienze di fascismo locale meritevoli di attenzione. Secondo gli studi di Terje Emberland, ad esempio, il primo «vero» fascista norvegese fu un certo Karl Meyer il quale, attraverso le sue «legioni», sembrò ricalcare (almeno in parte) il modello mussoliniano già nel corso degli anni Venti.146

Esistevano poi diversi esponenti di estrazione nazionalista che, a fianco di Quisling, spingevano la borghesia norvegese verso una visione decisamente razzista e a tratti persino antisemita della società. Si trattava di personaggi come Hans Solgaard Jacobsen, Odin Augdahl, Arne B. Bang e Webjørn Gudem Larsen.147 Quisling, attraverso il suo Nasjonal Samling (NS), fu il più opportunista, capace di attirare le simpatie e gli aiuti economici di Mussolini sino alla metà degli anni Trenta, per poi cedere alle migliori offerte di Hitler in prossimità della guerra. Anche in Norvegia, però, esisteva un partito nazionalsocialista: si chiamava Norges Nasjonalsocialistiske Arbeiderparti (NNSAP) ed era stato fondato nel 1932. Esso era animato prevalentemente da giovani attivisti tedeschi collegati alla Norvegia per motivi di studio, legami familiari, rapporti con organizzazioni come Hitlerjugend, Deutschen Arbeitsfront e persino SA.148

In Svezia, invece, la situazione si presentava diversa. Mussolini e il fascismo avevano suscitato interesse sia negli ambienti nazionalisti, sia tra alcuni intellettuali svedesi che reputavano la dottrina fascista un elemento di novità. Tuttavia, mentre la Norvegia e la Danimarca, almeno durante gli anni Venti, non apparivano particolarmente strategiche dal punto di vista geopolitico, la Svezia

145 Per un ricco approfondimento sulla vita e la carriera di Vidkun Quisling, si raccomanda in particolare: H. F. DAHL, Op. cit., 2008.

146 T. EMBERLAND, Op. cit., 2015.

147 S. GARAU, Op. cit, 2015, pp. 143-150.

148 N. KARCHER, Schirmorganisation der Nordischen Bewegung: Der Nordische Ring und seine Repräsentanten in Norwegen, NORDEUROPAforum 19 (2009:1), p. 8 (in nota).

(così come la Finlandia), attirava su di sé parecchia attenzione in ottica antisovietica e antitedesca.

Personaggi come Per Engdahl ed Elof Eriksson, ad esempio, rappresentavano alcune tra le più significative interpretazioni dell’estrema destra nordica, caratterizzata da elementi come l’antiparlamentarismo, l’antisemitismo e l’antibolscevismo. Inoltre, insieme a Elof Eriksson e Adrian Molin, Engdahl apparteneva a una categoria di intellettuali particolarmente vicini al fascismo italiano ma, nel contempo, sostenitori delle varie teorie della razza e della cospirazione.

Tuttavia, il caso più eclatante di vicinanza tra il fascismo italiano e quello svedese, fu quello di Ivar Hjertén. Questi era un giornalista pubblicista già noto e apprezzato dalla propaganda di regime che, verso la metà degli anni Venti, scrisse un libro dedicato a Mussolini e alla sua nuova, presunta,

«democrazia».149 Si trattava di un personaggio certamente gradito al regime che, come si vedrà in seguito, sarebbe diventato persino presidente della SDA di Stoccolma.

In Finlandia, infine, l’ascesa del fascismo locale e il tentativo di penetrazione italiana furono in gran parte favorite dall’esito della guerra di indipendenza finlandese in chiave anti-sovietica e dalla conseguente nascita di organizzazioni di estrema destra nazionalista come il movimento di Lapua.

Esso nacque da un coacervo di nazionalismo, antibolscevismo e irredentismo che, opportunamente contestualizzato nell’area baltica, presentava notevoli analogie con il fascismo italiano. Il movimento lappista era diventato un fenomeno di massa nel novembre del 1929, dopo il boicottaggio di una manifestazione politica comunista presso Lapua (situata a sud del golfo di Botnia). Il movimento, in questo senso, si considerava come il continuatore della guerra civile nonché il portavoce della vera identità nazionale finlandese.150 Il gruppo non era sfuggito agli

«osservatori» di Mussolini che, in breve tempo, lo identificarono come un possibile interlocutore nordico.151

149 I. HJERTÉN, Mussolini och den nya demokratien, Stockholm, P. A. Norstedt & Söners Förlag, 1924.

150 L. KARVONEN, Op. cit.,1988, pp. 18-20.

151 All’inizio degli anni Venti, la Finlandia era appena uscita da una sanguinosa guerra civile che aveva visto contrapposte le forze comuniste a quelle anticomuniste dalle marcate istanze nazionaliste. Molti gruppi di destra erano stati addestrati clandestinamente in Germania durante la Prima guerra mondiale in ottica antizarista. Gli anni Venti, pertanto, furono il periodo di incubazione della cosiddetta «rivoluzione» lappista che si sarebbe dovuta realizzare tra la fine degli stessi anni Venti e l’inizio dei Trenta. L’obiettivo era di completare il progetto patriottico e nazionalista finlandese scaturito dalle correnti anticomuniste che avevano combattuto la guerra civile del 1918. Così, nel 1929, si formò il «movimento lappista». Attilio Tamaro, ministro d’Italia a Helsinki, sostenne il gruppo suggerendo a Grandi di addestrare i dirigenti lappisti a Roma. L’Italia, dunque, appoggiò occultamente il movimento per sottrarre la zona del Baltico all’influenza tedesca e polacca (Cfr. M. CUZZI, Op. cit., 2006, pp. 121-122). La «marcia su Helsinki», invece, si svolse sul modello della «marcia su Roma», ma coinvolse una massa ancora più «agraria» e «rurale» rispetto alla compagine italiana. Si trattò di una «marcia contadina», di volontari provenienti da ogni parte del paese che si presentarono davanti al governo dopo una «parata» trionfale. La «marcia» in sé fu sia un esperimento di fascismo

Lapua divenne così la casa spirituale di un movimento apertamente ispirato al fascismo italiano che, segnatamente, proclamava di proteggere i valori della «patria, della religione e della famiglia».

In proposito, Yrjö Kilpinen, noto musicista finlandese (che all’epoca pare fosse secondo solo al celebre Sibelius), riteneva che il movimento lappista rappresentasse una rinascita spirituale oltre che nazionale del paese.152 La prospettiva di Kilpinen, così come quella di molti altri, consisteva nel desiderio di ritornare a una società agraria fondata sul modello del contadino-guerriero. Kilpinen incarnava, secondo le parole di un membro dei servizi di sicurezza finlandesi, Esko Riekki, uno di quei patrioti che, pur non avendo alcun incarico di governo, seguiva da vicino gli affari politici del suo paese, facendo in modo che il benessere dell’intera nazione poggiasse in qualche modo sulle spalle dei suoi circoli di appartenenza. Il compositore anticomunista, effettivamente, nutrì innegabili simpatie per il regime di Hitler.153

Mussolini tenne costantemente sotto osservazione il movimento, anche quando confluì, nel corso degli anni Trenta, all’interno del cosiddetto IKL (Isänmaallinen Kansaaliike), una sorta di partito popolare patriottico di stampo nazionalista. Emissari di Mussolini, come l’allora ministro plenipotenziario Attilio Tamaro e, più tardi, Ezio Maria Gray, fecero spesso da tramite fra Roma e Helsinki, fornendo al duce informazioni e aggiornamenti su questi movimenti.154 Nemmeno in Finlandia, però, il fascismo italiano poteva godere di considerazione esclusiva. Come riferiva Tamaro, infatti, la concorrenza tedesca era forte e, soprattutto tra i giovani finlandesi, il nazionalsocialismo di Hitler stava raccogliendo maggiori consensi rispetto alla vecchia generazione, certamente più ancorata alla matrice mussoliniana. L’acredine antimassonica, antiparlamentare e

finlandese, sia un esempio di lotta antiparlamentare nonché anticomunista (Cfr. O. SILVENNOINEN, Op. cit., 2015, p.

148). Karvonen, nel 1988, propose una chiave di lettura molto interessante per comprendere il «voto» fascista in Finlandia. Tralasciando il voto dell’elettore «individuale», suggeriva un criterio «ambientale», relativo ai luoghi dove il supporto al fascismo risultava notevole. Gli ambienti comprendevano fattori culturali, sociali ed economici, spesso combinati con il contesto politico (si veda: L. KARVONEN, Op. cit., 1988, p. 31).

152 Nato a Helsinki nel 1892, Yrjö Kilpinen studiò al conservatorio imparando adeguatamente anche il tedesco.

Interessato a Rilke e Morgenstern, così come Schubert e Wolf, all’inizio degli anni Venti compose opere ispirate ai testi nordici. Già nel 1923, Kilpinen era molto noto in patria, in quanto autore di oltre 750 componimenti in finlandese, svedese e tedesco sino ad essere definito lo «Schubert finlandese». Le opere di Yrjö Kilpinen incarnavano così bene lo spirito nordico da consentire al compositore finlandese di diventare, nel corso degli anni Trenta, il musicista nordico più apprezzato e stimato dai nazionalsocialisti (si veda: J. DEAVILLE, Yrjö Kilpinen: Finnish Composer and German Lieder in the 1930s, Intersections, 1-2, Music Periodicals Database, 2005, pp. 172-173).

153 O. SILVENNOINEN, Op. cit., 2015, pp. 135-139.

154 Per un approfondimento esauriente sui rapporti tra il regime fascista e le organizzazioni di estrema destra finlandese, si rimanda a: A. RIZZI, Op. cit., 2016, pp. 129-196.

anticomunista del partito patriottico poteva convincere Mussolini di avere un «partner»

internazionale «amico» sul Baltico in chiave antisovietica (ed eventualmente antitedesca).

D’altra parte, come avvenne negli altri paesi nordici, i fascisti non ottennero il potere neanche in Finlandia. Nonostante la presenza dei rappresentanti del movimento patriottico in parlamento, infatti, il partito agrario e le strutture democratiche tipiche della società nordica seppero resistere alla deriva autoritaria.155

155 R. ALAPURO, Op. cit., 2004, p. 92.