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5. LA PROPAGANDA CULTURALE FASCISTA NEI PAESI NORDICI

5.1 Gli italiani e il «Grande Nord»

5.1.1 Turisti e viaggiatori nel Ventennio

Come si evince dalle varie esperienze illustrate, nel Settecento i viaggi e i soggiorni si configuravano come esplorazioni sistematiche e cognitive dello spazio naturale in cui l’uomo doveva operare. Tra il Settecento e l’Ottocento, invece, i viaggi diventarono esplorazioni sensoriali all’interno dello stesso spazio naturale ma con una connotazione decisamente emotiva. Nella seconda metà dell’Ottocento, il progresso si affacciò sulla scena del viaggio e condusse i viaggiatori sino al Novecento dove il turismo trasse senso dal ciclo ormai definito della produzione e del consumo.36 Vennero così a delinearsi le figure di coloro che Nencioni definisce «turisti di lusso» e

«scrittori dilettanti». In particolare, nei paesi nordici, la presenza degli italiani crebbe notevolmente proprio grazie allo sviluppo del «turismo di lusso». Le grandi compagnie di navigazione tedesche, francesi, norvegesi e inglesi avevano cominciato a organizzare diverse crociere nei mari del Nord e lungo le coste norvegesi. Sebbene già intorno al 1830 i primi turisti americani ed europei avessero iniziato a navigare su quei mari a bordo di yacht privati e navi di lusso, anche gli italiani

«scoprirono» le mete nordiche. Naturalmente si trattava di avventure riservate a turisti facoltosi che,

36 A. BERRINO, Storia del turismo in Italia, Il Mulino, Bologna, 2011, p. 11.

rispetto agli altri paesi europei, in Italia erano ancora pochi. Essi erano principalmente avvocati, ricchi commercianti, docenti universitari, diplomatici, medici, ingegneri e deputati.37

Nell’epoca dei totalitarismi, invece, il turismo divenne anche uno strumento di propaganda, non solo politica ma anche culturale al servizio dei regimi. Durante il Ventennio, la prima forma di promozione del mito italiano fu quella del turismo. La visita degli stranieri in Italia venne considerata come una risorsa economica ma, soprattutto, politica. Tuttavia, Mussolini assunse un comportamento ambivalente nei confronti del turismo. Da un lato, appoggiava le critiche di stampo nazionalista secondo cui l’Italia non potesse apparire come lo stereotipo di un paese romantico e decadente. Dall’altra, però, il duce favorì (almeno nelle intenzioni), lo sviluppo e la modernizzazione dell’industria turistica. Così la propaganda di regime sottolineava come i turisti potessero usufruire di tariffe ferroviarie promozionali e dell’ammodernamento delle strutture alberghiere.38

In realtà, ancora alla fine degli anni Trenta, la disponibilità e la condizione delle strutture alberghiere, sia in termini qualitativi, sia quantitativi, era scarsa. Se da una parte si chiedevano maggiori risorse per il turismo popolare, dall’altra si imponevano gli interessi degli albergatori maggiormente influenti all’interno delle corporazioni. Già all’epoca, tuttavia, personaggi come Gaetano Salvemini, ormai esule negli Stati Uniti, denunciavano la pratica del regime di apportare miglioramenti solo nelle zone maggiormente frequentate dai turisti.39 Nell’immediato dopoguerra, anche il Governo italiano, sulla scia di quello francese, cominciò a ragionare su una politica di intervento dedicata al turismo. A tale scopo, nel 1919, venne istituito l’Ente nazionale per l’incremento delle industrie turistiche (Enit). Si trattava di un ente misto pubblico e privato, nel cui consiglio di amministrazione sedevano tre membri del Touring club con fini di analisi e poteri di promozione e di commercializzazione del turismo italiano. Il primo presidente fu Luigi Rava, noto giurista e uomo politico. A sua volta, l’Enit costituì il Consorzio degli uffici di viaggio e turismo, nel quale entrarono la Banca commerciale italiana, la Banca nazionale di credito, il Credito marittimo, la Navigazione generale italiana, il Loyd triestino, l’Unione delle Camere di commercio, la Compagnia delle carrozze con letti e altre aziende minori.40

Sul vuoto epistemologico causato dagli sconvolgimenti della Prima guerra mondiale e dalle grandi rivoluzioni come quella bolscevica (così come la crisi del 1929), nell’Italia fascista e nella Germania nazista il turismo diventò uno spazio importante di intervento e sperimentazione. Tra gli

37 Per maggiori approfondimenti, si rimanda a: G. NENCIONI, Op. cit., 2014.

38 M. PRETELLI, Il fascismo e l'immagine dell'Italia all'estero, Contemporanea, aprile 2008, p. 221.

39 Ivi, p. 222.

40 A. BERRINO, Op. cit., 2011, p. 200.

anni Venti e Trenta, la base sociale dei vacanzieri si allargò ai segmenti della borghesia urbana. Si diffusero così forme di alloggio già in voga tra Ottocento e Novecento, come le pensioni e i villini.

Dalla Scandinavia al Regno Unito, sino alle coste mediterranee, tali spazi diventarono il luogo dove impiegati, famiglie e funzionari scelsero di trascorrere le proprie vacanze.41 Ancora una volta, così come nella diplomazia culturale, il modello da seguire sembrava quello francese. Gli stranieri, infatti, preferivano i luoghi di villeggiatura francesi poiché le strutture erano più attrezzate, il sistema alberghiero più efficiente e la promozione turistica maggiormente accattivante.

All’interno del partito fascista, però, circolavano pareri discordanti in merito all’importanza del turismo ai fini nazionali. Anche i giornalisti e l’opinione pubblica contribuivano in modo rilevante a screditare l’operato di organizzazioni come l’Enit che, spesso, venivano tacciate di essere nate allo scopo di speculare sulle spalle degli stranieri, senza offrire davvero un servizio di qualità. Ma anche nel Pnf, parecchi iscritti ritenevano che il turismo fosse una risorsa preziosa, sia in termini di reddito, sia di immagine dell’Italia nel mondo. La polemica tra sostenitori e detrattori del turismo nel Pnf, tuttavia, terminò già verso la fine degli anni Venti. Provvedimenti come la «bonifica turistica», intrecciarono ancora di più i legami tra turismo e propaganda. La «bonifica turistica»

divenne il completamento di quella agraria caratterizzata da scopi igienici, sanitari e sociali.

Nacquero così nuove località aperte a un turismo popolare e locale alla portata di tutti gli italiani.

Nel contempo, però, la bonifica si trasformò in un raffinato tentativo per invitare gli stranieri a visitare la nuova Italia fascista, propagandisticamente rinvigorita e restaurata dal regime di Mussolini.42

Nel 1926, l’Enit vide modificata buona parte dei suoi vertici e delle sue competenze: da quel momento, l’organizzazione non si sarebbe più occupata della commercializzazione delle destinazioni italiane ma solo della promozione. L’attività dei suoi uffici di viaggio e turismo, quindi, passò alla neocostituita Compagnia italia pel turismo (Cit). Luigi Rava riuscì a mentenere la presidenza dell’Enit solo per pochi mesi, dopodiché si dimise, lasciando il posto alla breve parentesi di Giovanni Cesare Majoni. Tuttavia, così come avvenne a danno di altri importanti istituti culturali e commerciali italiani (tra cui la Società Dante Alighieri), anche l’Enit venne fascistizzato. La presidenza venne assunta da Fulvio Suvich, il quale dichiarò subito che l’Enit si sarebbe dovuta inserire nel sistema corporativo fascista. La nuova parola d’ordine, era «propaganda», ossia l’obiettivo sul quale si sarebbero dovute concentrare tutte le risorse e le energie destinate al turismo.43

41 Ivi, pp. 202-203.

42 Ivi, pp. 206-209.

43 Ivi, p. 220.

La fascistizzazione dell’Enit provocò, nel mondo del turismo, parecchio sconcerto. La censura calò anche sul turismo e la stampa si limitò a divulgare soltanto le opere di regime, come il recupero delle navi romane nel lago di Nemi o l’abolizione del biglietto d’ingresso nei musei e nei siti archeologici dal 1° settembre 1929. Sui consumi cominciò a pesare, da subito, il contraccolpo del crollo di Wall Street. Anche il turismo, nel 1931, venne commissionato e il commissario designato fu proprio Suvich. I suoi poteri si allargarono a tal punto da riferire direttamente a Mussolini. Il turismo di stampo fascista, pertanto, doveva contribuire a mostrare non solo i paesaggi, l’arte, il clima dell’Italia, ma anche i «valori morali, civili, politici e produttivi».44 Il fascismo mortificò quanto l’Italia aveva da offrire in termini di incontro, scambio e condivisione: cultura e bellezza.

Tutto venne ricondotto alle esigenze di una propaganda che puntava alla guerra. Eppure, già nel 1934, la Commissione di Suvich non ebbe più motivo di esistere. Nel 1934, infatti, le competenze per il turismo vennero trasferite alla Direzione generale del turismo, collocata presso il sottosegretariato per la Stampa e la propaganda istituito da poco. Si trattava dello stesso organo che, nel 1935, sarebbe diventato il ministero per la Stampa e la propaganda e, nel 1937, il Minculpop. Le funzioni del Commissariato, dunque, vennero affidate alla Direzione generale del turismo la quale, pur operando principalmente attraverso la pubblicità, aveva il compito di sovrintendere ogni forma di attività e di servizio turistico fino alla caduta del regime fascista. Essa si sovrappose all’Enit e ridusse quest’ultimo a un organo esecutivo.45

Questo era il quadro del turismo italiano nel quale si muovevano alcuni intraprendenti viaggiatori come Stefania Türr. La letteratura di viaggio offriva spesso alcuni esempi di viaggiatori

«indipendenti» che, ignorando i tradizionali canali turistici, progettavano viaggi di svago e studio assolutamente originali. Altre volte, invece, era proprio il regime a «commissionare» viaggi e trasferte a fini «diplomatico-culturali». Nel 1925, ad esempio, ispirandosi esplicitamente all’opera di Mario Borsa, la combattiva Türr partì alla volta del «Grande Nord».46 Quando Borsa scrisse

44 Ivi, pp. 221-223.

45 Ivi, p. 225.

46 Stefania Türr era una giornalista e scrittrice italiana di orgine ungherese. Nata nel 1885 e figlia del generale garibaldino ungherese Stefano Türr, si caratterizzò per le sue tendenze nazionalistiche e patriottiche nell’ottica di un’emancipazione femminista basata sul riscatto della donna attraverso il contributo dato nel corso della Prima guerra mondiale. Nel 1916, iniziò a diffondere le proprie idee curando una rivista della Grande Guerra intitolata «La madre italiana. Rivista mensile pro orfani della guerra». Durante il conflitto la fedeltà della Türr all’élite politico-militare era stata totale. Ulteriori approfondimenti: L. GUIDI, Un nazionalismo declinato al femminile. 1914-1918, pp. 106-107, in L. GUIDI (a cura di), «Vivere la guerra. Percorsi biografici e ruoli di genere tra Risorgimento e primo conflitto mondiale», Università degli Studi di Napoli Federico II, ClioPress-Dipartimento di Discipline Storiche “E. Lepore”, Saggi, 5, 2007. Nel 1917 fece un viaggio in trincea per incontrare personalmente i soldati a nome delle donne italiane. Il suo acceso patriottismo emergeva spesso anche nelle sue memorie, dove ricordava, ad esempio, che la prima parola

«Verso il Sole di Mezzanotte», la Türr aveva solo quattordici anni. Il suo viaggio venne così raccontato in un libro: «I viaggi meravigliosi: Danimarca, Norvegia, Spitzberg, Svezia, Finlandia».

Ma la Türr non rappresentava una voce neutrale. Nazionalista e vicina al regime, la Türr si era battuta per l’equiparazione giuridica tra uomini e donne e per il suffragio femminile come diretta conseguenza dello sforzo profuso dalle donne durante il conflitto.47 Attraverso le parole paterne, la vita di Stefania era diventata un immenso campo di battaglia, in cui i buoni e i giusti erano gli italiani, mentre i cattivi e i tiranni da sconfiggere erano gli austriaci e i tedeschi.48 La Türr non amava i tedeschi e, nei suoi scritti, emergevano spesso toni razzisti che esaltavano la superiorità della «stirpe» latina rispetto a quella germanica (nonché slava).49 L’esaltazione della superiorità razziale latina, ad esempio, compariva già in un articolo del 1918 in cui la Türr scriveva:

«[...] I latini hanno tutta la grandezza d’animo che hanno ereditato dai loro padri, i tedeschi hanno tutta la bassezza d’animo che gli trasmisero i loro antenati. Ogni latino dinanzi alla sventura irreparabile sente fremere in sé l’anima di Cesare […] ogni germano non può che sentire l’anima di Arminio che quando vide soprastargli il castigo del tradimento si tagliò in più guise la faccia perché potesse sfuggire ai soldati romani […]”50

Qualche anno più tardi, attraversando la Germania per raggiungere i paesi nordici, l’atteggiamento della Türr verso i tedeschi rimaneva ostico. Sebbene non provasse lo stesso odio covato durante la guerra, manteneva un atteggiamento sarcastico e canzonatorio:

«Ho comprato tutti i giornali politici di Monaco. Il tono della stampa locale è di attesa di qualche cosa che, giorni più, giorni meno, dovrà infallibilmente accadere [...]. È stranissimo come in tutti i paesi dei vinti questi sperino in qualche cosa che dovrebbe succedere fra qualche mese...intanto passano gli anni e non succede niente. [...]»51

pronunciata dopo «papà«, fu «I Mille». Per maggiori dettagli, si veda: A. RUSSO, Viva l'Italia tutta redenta!

Interventiste alla vigilia della Grande Guerra, in L. GUIDI (a cura di), Op. cit., 2007, p. 133.

47 A. RUSSO, Op. cit., p. 133, in L. GUIDI (a cura di), Op. cit., 2007.

48 Ivi, pp. 129-131.

49 Ivi, p. 135.

50 S. TÜRR, Dignità civile, in «La Madre italiana», 3 dicembre 1918, pp.531-532.

51 S. TÜRR, I viaggi meravigliosi: Danimarca, Norvegia, Spitzberg, Svezia, Finlandia, Tip. Giuntina, Firenze, 1925. Il testo al quale si fa riferimento, tuttavia, è quello della seconda edizione, riveduta e aggiornata fino al 15 luglio 1926 (Ventiduesimo migliaio), p. 10.

Nemmeno i bavaresi sfuggivano al gusto estetico della Türr, che non mancava di puntualizzare:

«[...] La gente che incontro nelle vie del centro è vestita con gusto assai dubbio, i colori che porta sono così chiassosi che fanno male agli occhi. [...]»52

Poi, qualche pagina più avanti, proseguiva così in merito alle abitudini alimentari dei tedeschi:

«[...] Ma quanto mangiano! Da Norimberga a Berlino il diretto ci mette nove ore. [...] Tutti compravano, bevevano, mangiavano e quando il treno si fermava nelle stazioni principali, i viaggiatori tornavano a comprare e a mangiare, come noi compriamo i giornali quando il viaggio è lungo. [...]»53

Si trattava dei primi commenti di un lungo viaggio intrapreso per raggiungere Capo Nord, dopo aver attraversato l’intera Scandinavia. Il fascismo era già al potere da pochi anni e Stefania Türr non nascondeva affatto le proprie simpatie nei confronti di Mussolini e della monarchia. Sulle prime pagine del suo libro di viaggio, infatti, spiccavano le foto dei reali di casa Savoia, del Duce, di Costanzo Ciano, di Umberto Nobile, di Roald Amundsen, di Lincoln Ellsworth e del dirigibile Norge. Le descrizioni della scrittrice italiana erano sempre dettagliate e non trascuravano né l’aspetto politico, né quello geografico di ciascun paese visitato. Della Danimarca, ad esempio, tracciava un profilo positivo e confortante, almeno agli occhi del regime:

«[...] La Danimarca, durante la Prima Guerra Mondiale, si era trovata in condizioni molto difficili così, nel corso degli anni Venti, la situazione economica era decisamente peggiorata.

Gli italiani sono ben visti e godono di simpatia e popolarità. La colonia italiana non supera le 250 unità, la cui maggioranza si trova a Copenhagen. [...]»54

Dal punto di vista politico, secondo la Türr, non esistevano rischi di derive bolsceviche e il socialismo danese si manteneva su posizioni molto distanti dal comunismo:

«[...] Bisogna tener presente che il socialismo danese non è per la divisione né per il sovvertivismo, ma piuttosto per la creazione della piccola proprietà. L’antagonismo tra essi

52 Ivi, p. 11.

53 Ivi, p. 12.

54 Ivi, p. 14.

ed i comunisti è grandissimo. Del resto in tutto il paese vi saranno sì e no tre o quattrocento comunisti. Su circa 140 deputati non c’è nemmeno un comunista [...]. La Danimarca ha il vanto di avere un primo ministro donna. [...]»55

D’altra parte, stando alle sue opinioni, i rapporti culturali italo-danesi apparivano buoni e non mancavano attestati di stima da parte degli intellettuali danesi affascinati dall’Italia:

«[...] Gl’intellettuali amano l’Italia. Holge Rode, poeta lirico, grande ammiratore del nostro paese, ha scritto un libro, Italian. Altro scrittore amante del nostro paese, [...] è Borge Jansenn. Nei suoi romanzi storici s’ispira ad episodi della Storia Italiana, specialmente del Risorgimento [...]»56

Naturalmente la Türr apprezzava profondamente il patriottismo norvegese il quale, sebbene frutto di una recente indipendenza, si mostrava già consolidato:

«[...] In nessun paese del mondo il sentimento nazionale, lo spirito d’indipendenza, l’amore di autonomia è così indispensabile, irriducibile e vivamente radicato nel cuore dell’individuo come questa Norvegia [...]»57

Inoltre, con tono quasi «profetico», analizzava i possibili risvolti di un’invasione in terra norvegese da parte di un ipotetico occupante straniero:

«[...] i Norvegesi sanno che non è difficile difendere il loro paese. Chi volesse attaccarli, essendo pur più forte e più potente, come esercito e flotta, dovrebbe lottare a lungo per averne ragione. [...]»58

In generale, però, anche le relazioni culturali italo-svedesi apparivano buone. All’inizio del 1925, per iniziativa dell’allora principe ereditario svedese Gustavo Adolfo (poi Gustavo VI Adolfo),

55 Ivi, p. 16.

56 Ibidem.

57 Ivi, pp. 52-53.

58 Ivi, p. 53.

a Roma venne fondato lo Svenska Institutet i Rom (Istituto Svedese di Studi classici a Roma).59 Infine, anche durante il viaggio della Türr, emersero gli ottimi rapporti di amicizia tra l’Italia e la Finlandia. Già da parecchio tempo, a ridosso della Grande Guerra, Liisi Karttunen risultava particolarmente attiva nei rapporti culturali e diplomatici tra i paesi nordici, l’Italia e il Vaticano.

Laureata in lettere e membro dell’Accademia Scientifica di Finlandia, era stata anche segretaria della Missione Storica Finlandese a Roma. Sul suo conto la Türr scriveva:

«[...] Ci racconta di aver visitato e studiato per mesi e mesi negli archivi e nelle biblioteche del Vaticano, come pure a Firenze, Milano [...]»60

Tuttavia, se già il patriottismo norvegese aveva suscitato l’ammirazione della Türr, sull’indipendenza e sul nazionalismo finlandese la giornalista italiana entrava persino nel merito della questione careliana:

«[...] Ma è rimasta la spina che punge il cuore dei finlandesi, desiderosi di congiungere alla madre patria gli altri fratelli ancora fuori dai confini, specialmente quelli della Carelia Orientale. Questa questione è da più tempo sul tappeto di quella Società delle Nazioni che da anni si affanna a dipanare le più spinose questioni, che continuano a tener inquieta la vecchia e la giovane Europa [...]»61

L’anno successivo, venne pubblicato un altro diario di viaggio nato dalla penna di Michele Saponaro: «Viaggio in Norvegia».62 Si trattava di un’opera dalla prosa abbastanza snella e asciutta dalla quale, tuttavia, emergeva una scarsa percezione della vera identità norvegese. L’autore non sembrava a proprio agio tra quei fiordi e l’immagine che ne consegnava al lettore risultava tanto esotica quanto alterata.63 Erano trascorsi circa ventisei anni dal viaggio di Borsa e forse nemmeno

59 Il principe era un archeologo di formazione e un appassionato di studi classici. Oggi l’Istituto si trova a Roma, a Valle Giulia in un’area messa a disposizione dello Stato italiano nel 1939 in cambio di un terreno a Stoccolma, destinato alla creazione dell’Istituto Italiano di Cultura (completato nel 1941).

Fonte: sito dell’Istituto http://www.isvroma.it/public/New/Italiano/

60 S. TÜRR, Op. cit., 1926, p. 76.

61 Ivi, p. 66.

62 M. SAPONARO, Viaggio in Norvegia, Centro per gli Studi di Politica Estera e Opinione Pubblica, Mondadori, Milano, 1926.

63 ENCICLOPEDIA TRECCANI, Michele Saponaro, Link: http://www.treccani.it/enciclopedia/michele-saponaro/ Michele Saponaro nacque in Puglia nel 1885 e lavorò come giornalista, scrittore e romanziere. Dapprima si dedicò

uno da quello della Türr. Eppure, nonostante le premesse dell’opera curata dal «Centro per gli Studi di Politica Estera e Opinione Pubblica», il libro di Saponaro era completamente diverso dai precedenti. Innazitutto, in copertina, balzava subito all’occhio un errore grossolano. Sotto al titolo, infatti, compariva un’opera di U.C. Veneziani raffigurante alcuni pinguini. Tali animali, notoriamente, vivono esclusivamente in Antartide e, dunque, accostarli alle terre nordiche (per quanto gelide), denotava un certo grado di superficialità. In secondo luogo, pagina dopo pagina, ci si accorge che Saponaro aveva tralasciato quasi completamente gli aspetti politici. A differenza dei giudizi pacati di Mario Borsa e delle provocazioni taglienti di Stefania Türr, non compariva alcuna analisi critica sulla situazione politica nei paesi nordici dell’epoca. La sua prosa era poco adatta a descrivere gli aspetti giuridici, ideologici e politici di quelle terre.

Nonostante questi limiti, però, l’opera di Saponaro contribuiva ad accrescere quell’aura di mistero e fascino oscuro che aveva ormai permeato l’immaginario collettivo dei lettori italiani verso le terre nordiche. Abbandonando ben presto le luci e i colori delle pianure svedesi, l’estate di Saponaro proseguiva verso le tempestose mete della costa atlantica norvegese, sino all’estremo nord del mondo. Nella pianura estiva svedese, invece, Saponaro disse di aver rivisto la sua Puglia e aggiungeva:

«[...] Il treno accorreva diritto al nord, e a me pareva tornasse verso il Mediterraneo. Gli stessi campi seminati a frumento e in parte mietuti: ritorno di duemila chilometri e di due mesi. [...]»64

Le città apparivano come piccole oasi di pace immerse in una sconfinata terra selvaggia, sferzata dai rigori del clima e dalle asperità del territorio. Raggiunse Göteborg ma non vi si fermò. Definì il luogo come «pingue città universitaria e mercantile»,65 mentre a Cristiania (Oslo) i fiori, a differenza delle statue, apparivano meravigliosi: A Cristiania, Saponaro potè vedere soltanto la statua di Bjørnson (ormai deceduto) e non la apprezzò nemmeno:

«[...] Ho veduto anche Björnson [sic] spavaldo che non trova nulla di meglio da ostentare al suo popolo fuori della catena dell’orologio sul panciotto prominente [...]»66

prevalentemente alla narrativa regionale, dopodiché si concentrò sulla rievocazione di uomini illustri attraverso una serie di biografie relative a Foscolo, Leopardi, Mazzini.

64 M. SAPONARO, Op. cit., 1926, p.11.

65 Ivi, p. 15.

66 Ivi, p. 24.

Eppure la notte, nella capitale norvegese, anticipava già le magiche suggestioni dell’estremo nord:

«[...] e in cielo ancora non sono apparse le stelle. Non appariranno più: battono agli orologi

«[...] e in cielo ancora non sono apparse le stelle. Non appariranno più: battono agli orologi