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2.2.1 Descrizione di CLIL e ICLHE

Il CLIL, acronimo di Content and Language Integrated Learning, è un approccio all’insegnamento integrato di lingua e contenuto, nato in Europa nel 1994, che trae ispirazione dai risultati positivi ottenuti nei programmi di immersion in Canada, con cui condivide una serie di somiglianze, nonostante le differenze rimangano maggiori (v. Lasagabaster & Sierra, 2010,

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p. 371). La definizione di CLIL comunemente adottata: “Content and language Integrated Learning (CLIL) is a dual-focused educational approach in which an additional language is used for the learning and teaching of both content and language” (Coyle, Hood & Marsh, 2010, p. 1), compare nel libro dall’omonimo titolo, in cui sono presentate le concezioni teoriche alla base di questo approccio.

Una di queste concezioni è il fatto di essere multidisciplinare, in quanto nasce dalla fusione di vari elementi appartenenti ad aree disciplinari diverse, che però convergono attorno ad un punto nel quale coesistono. Su tale concetto ci si deve basare nel momento in cui si decide di adottare il CLIL:

When the term was adopted, those experts involved realized that they were dealing with something which was neither language teaching, nor subject teaching, but rather a fusion of both. […] Thus the process of convergence led to a methodology being formed which was drawing on both content and language learning, and which was considered ‘integrated’ (Marsh & Frigols, 2007, p. 34).

Con tale principio in mente, l’integrazione di contenuto e lingua, sono state proposte delle linee guida, o meglio, dei framework da seguire per riuscire a realizzare questa fusione. Dal punto di vista linguistico e cognitivo, il CLIL si ispira alle teorie socio-costruttiviste (Marsh, 2012), in cui progressione linguistica e scaffolding, sono utilizzati per supportare gli studenti nel loro processo di apprendimento attraverso materiali creati appositamente per rispettare la gradualità del processo, cercando di equilibrare la difficoltà dei contenuti con la competenza linguistica necessaria per comprenderli (Marsh, 2012, p. 37).

Poiché i docenti necessitano di rendere esplicita “the interrelationship between content objectives and language objectives” (Coyle et al., 2010, p. 36), è stata elaborata una rappresentazione concettuale – the Language Triptych – (p. 36) che mostri come utilizzare il linguaggio secondo tre differenti modalità:

- “Language of learning”, necessario agli studenti per aver accesso ai concetti base di un argomento (p. 37);

- “Language for learning”, che aiuti la creazione di un repertorio di atti linguistici (come descrivere, valutare e analizzare), e di strategie essenziali per comunicare efficacemente (p. 37);

- “Language through learning”, che si sviluppa attraverso l’interazione, poiché “when learners are encouraged to articulate their understanding, then a deeper level of learning takes place” (p. 37).

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Il linguaggio diventa quindi parte integrante della pianificazione delle lezioni e dei programmi dei docenti, che per riuscire a sfruttarne appieno le potenzialità, si possono avvalere della CLIL Matrix (p. 43), uno strumento che serve appunto a verificare come modulare i materiali per far sì che lo studente rimanga nella ‘zone of proximal development’ (ZPD) nella quale secondo Vygotsky (1978) si realizza quel tipo di apprendimento “which is always challenging yet potentially within reach of individual learners on condition that appropriate support, scaffolding and guidance are provided” (Coyle et al., 2010, p. 3). Una versione interattiva della CLIL Matrix è stata anche resa disponibile online, e attiva nel sito dell’ECML (European Centre for Modern Languages), in base ad un progetto finanziato dalla Commissione Europea (Marsh & Frigols, 2007, p. 34). Nello stesso contesto è inoltre stato creato l’“European framework for CLIL teacher education” (Marsh et al., 2010) che fornisce delle linee guida per gli insegnanti CLIL e ne stabilisce le competenze. Fra le varie abilità richieste ai docenti, vi è quella di ricreare in classe una situazione di apprendimento autentica, in cui i materiali utilizzati siano rilevanti e compatibili con le conoscenze degli studenti, e che li aiutino a rendersi autonomi (Wolff, 2011). A tal fine è stato disposto il “4Cs framework”, su cui basarsi per mettere in pratica i principi del CLIL, che unisce 4 concetti connessi fra loro: content, communication, cognition e culture (Coyle et al., 2010, p. 41).

Visto il livello di complessità richiesta da questi framework, viene spesso suggerita la collaborazione tra insegnanti della disciplina e gli esperti di lingua (Coyle, 2005), che può essere opportuna anche durante la valutazione degli studenti, in cui si dovrebbe integrare l’aspetto linguistico con la conoscenza degli argomenti di una determinata materia. Tuttavia non sempre ciò si verifica, perché la collaborazione rimane una situazione complessa da realizzare (Coyle, 2005). Solitamente, il docente CLIL è specializzato in una disciplina e possiede una buona conoscenza della lingua straniera in cui insegna, oppure ha una doppia qualifica, mentre solo in alcuni contesti è supportato da docenti madrelingua (Dalton-Puffer, Nikula & Smit, 2010, p. 285).

Nonostante il CLIL non rappresenti una novità (Coyle et al., 2010, p. 2), rimane comunque un approccio innovativo nel suo modo di concepire il processo di apprendimento (es. CLIL Matrix, Language Triptych), e nel fatto di proporre modi alternativi per pianificare e organizzare le attività (es. 4Cs Framework), utilizzando modalità partecipative anche nel valutare gli studenti, come self- e peer- correction; oppure summative, formative e Portfolio assessment (p. 128). Il fatto di avere, fra i suoi obiettivi di apprendimento, un doppio focus sia sulla lingua che sul

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contenuto, è una caratteristica che contraddistingue il CLIL dagli altri approcci, determinandone la popolarità “in many countries with a tradition of exclusively using the dominant or national language(s) for educational purposes” (Smit & Dafouz, 2012b, p. 1). A ciò è dovuto anche il fatto di essere supportato a livello europeo (Action Plan, 2003), poiché il CLIL è stato visto come un’opportunità per promuovere non solo l’apprendimento delle lingue straniere ma anche quello delle lingue regionali o minoritarie, come avviene nelle realtà bilingui e trilingui in Europa (European Commission, 2006). In questi anni, il CLIL in Europa è stato implementato principalmente a livello scolastico, secondo condizioni e percentuali variabili nei vari paesi (European Commission, 2017).

Per quanto concerne invece l’ambito accademico, non sono mancati gli studi e i progetti che ambiscono all’integrazione di lingua e contenuto nei corsi universitari (Wilkinson, 2004; Wilkinson & Zegers, 2008; Wilkinson & Walsh, 2015), che vanno di pari passo con il crescente fenomeno dei programmi in inglese. In quest’ambito è entrato in uso il termine ICLHE (Integrating Content and Language in Higher Education), che viene considerato sinonimo di CLIL (Costa, 2015, p. 128). Sembra perciò che la differenza tra i due termini CLIL e ICLHE sia legata al contesto in cui si inserisce il programma e che dipenda anche dai tipi di insegnanti e studenti coinvolti (Costa, 2012, p. 31).

I progetti che sono stati sviluppati nel corso di questi anni sono stati seguiti o accompagnati da pubblicazioni e studi che si sono interrogati su alcuni aspetti relativi all’applicazione del CLIL, come ad esempio: la motivazione dei docenti e degli studenti (Lasagabaster, 2011), benefici rilevabili o meno nelle capacità linguistiche degli studenti (Ruiz De Zarobe & Jiménez Catalán, 2009; Ruiz De Zarobe, Sierra, & Gallardo Del Puerto, 2011), aspetti culturali (Carrió-Pastor, 2009), partecipazione ed interazione in classe (Dalton-Puffer, 2007; Nikula, Dalton-Puffer & Llinares, 2013; Smit & Dafouz, 2012b, p. 4), uso della lingua (Dalton-Puffer, Nikula & Smit, 2010; Olsson, 2015), CLIL nei vari livelli educativi (Marsh & Wolff, 2007; Smit & Dalton- Puffer, 2007), e nell’istruzione superiore (Dafouz-Milne & Begoña-Núñez, 2009; Fortanet- Gómez, 2013).

In Italia, sono stati attivati una serie di progetti CLIL (v. Langé, 2007) e, a partire dal 2010, una serie di decreti ministeriali (Riforma Gelmini, DPR 87, 88 e 89) l’hanno reso obbligatorio al quinto anno delle scuole superiori di secondo grado (licei e istituti tecnici), e nel triennio dei licei linguistici, dove si chiede di iniziare al terzo anno con una lingua straniera per poi procedere al quarto con una seconda lingua (v. Saccardo, 2016, p. 25).

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Il CLIL in Italia è stato investigato sia a livello scolastico (Coonan, 2012, 2008; Di Martino & Di Sabato, 2012; Lucietto, 2008; Ricci Garotti, 2006), che nell’ambito universitario (Sisti, 2009, 2015a; Costa & Coleman, 2012; Costa, 2016; Argondizzo & Laugier, 2004), definendone le caratteristiche all’interno del contesto italiano e mostrandone il processo di implementazione, il tipo di risorse messe in atto, e i risultati dei progetti avviati. L’Italia è uno dei paesi europei in cui il CLIL è presente in tutte le scuole, anche se in percentuali diverse (European Commission, 2017, p. 57), ed è anche l’unico ad averlo reso obbligatorio per legge (Leone, 2015, p. 44). Il quadro italiano però si presenta piuttosto variegato in quanto, nonostante l’esistenza di documenti ufficiali, le linee guida fornite non sono sufficientemente dettagliate nello specificare le modalità di implementazione del CLIL (cfr. Ricci Garotti, 2006). Questo processo rimane quindi a discrezione delle realtà locali, gestite a livello regionale (Ricci Garotti, 2006) in base all’autonomia amministrativa concessa dallo stato (Legge n° 59/1997), che ha favorito “grass-roots education projects to thrive in Italy and has permitted particular language education initiatives and practices to take shape” (Leone, 2015, p. 55).

Le problematiche che si prospettano riguardano principalmente le competenze e la formazione degli insegnanti CLIL (Coonan, 2009, 2006), e problemi organizzativi o di collaborazione fra insegnanti (Di Martino & Di Sabato, 2012; Sisti, 2015a), così come l’attuazione delle ore CLIL rispetto al curriculum e la valutazione degli studenti, anche in sede dell’esame di maturità finale (Sisti, 2015a). Rispetto a queste tematiche, la ricerca sul CLIL in Italia necessita di ulteriori approfondimenti (Costa, 2016), così come l’efficacia del CLIL e il suo impatto sugli studenti, che anche in Europa non sono stati ancora sufficientemente investigati (Dalton-Puffer, 2007; Nikula, Dalton-Puffer & Llinares, 2013).