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2.2.3 Descrizione di English as a Lingua Franca (ELF)

Nonostante l’uso di una lingua franca per le comunicazioni sia una pratica esistente già nei secoli passati nell’area del Mediterraneo, e inizialmente costituita da un mix di italiano, francese, greco, turco, arabo, portoghese e spagnolo (Björkman, 2013, p. 1), l’inglese come lingua franca si è consolidato durante le colonizzazioni dell’impero britannico nel 16° secolo, ed è diventato un campo di ricerca a partire dagli anni ‘80 (Jenkins, Cogo & Dewey, 2011, pp. 282-283). Secondo quanto descritto da Björkman (2013), le caratteristiche dell’inglese lingua franca lo differenziano dalla lingua franca originaria, anche in conseguenza delle molteplici ragioni politiche, economiche e sociali che lo hanno trasformato, prese in esame da autori come Phillipson (2015, pp. 21-23) e Seidlhofer (2011), la quale ritiene che le circostanze che hanno attivato il processo di adattamento dell’ELF siano ascrivibili alla globalizzazione (p. 148).

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Secondo molti studiosi, tra cui Jenkins (2014, 2011, 2009) l’ELF appartiene al paradigma del Global o World English, da non confondere con i World Englishes (i.e. i tipi di inglese usati nelle ex colonie britanniche). Come spiega Jenkins (2014) e in dettaglio Seidlhofer (2009) esistono delle somiglianze fra World Englishes e ELF, dovute al fatto che entrambi condividono l’idea secondo la quale le varietà di inglese – utilizzate al di fuori del cerchio interno di parlanti nativi definito da Kachru (1985, p. 12) – esistono “in their own right” (Jenkins, 2014, p. 27). Tuttavia, mentre gli studi sui World Englishes si occupano delle varietà utilizzate nelle realtà post-coloniali britanniche (cerchio esterno di Kachru), ELF riguarda le comunicazioni tra le nazioni che appartengono a tutti e tre i cerchi individuati da Kachru (v. cap. 1, par. 1.1.3). Inizialmente, gli studi sulle interazioni fra i parlanti ELF avevano escluso i parlanti nativi inglesi dal paradigma (es. Firth 1996, in Seidlhofer, 2001, p. 143) ma, in seguito, la tendenza è andata verso la loro inclusione nel momento in cui interagiscono con i parlanti non-nativi (v. Jenkins, 2014). Perciò, anche la definizione dei parlanti ELF è stata poi rimessa in discussione in studi più recenti nei quali figurano come ELF anche gli scambi che avvengono fra parlanti inglesi nativi e non-nativi (v. Jenkins 2000). La definizione è stata perciò ampliata includendo: “any use of English among speakers of different first languages from whom English is the communicative medium of choice, and often the only option” (Seidlhofer, 2011, p. 7)

Nonostante il loro ruolo di “nativi” (e quindi, a rigore, di “detentori della lingua”), all’interno dei campioni di registrazioni raccolti in questi studi, ai parlanti anglofoni sono stati riservati gli stessi spazi e attenzioni dati anche ai parlanti di altre nazionalità presenti nelle interazioni (v. Seidlhofer, 2010). Ciò è avvenuto perché, a livello numerico, il tipo di parlanti ELF è per la maggioranza rappresentato da parlanti non-nativi d’inglese, e quindi i parlanti nativi anglofoni si trovano ad essere una minoranza nelle interazioni ELF (Jenkins, 2014). Di conseguenza, gli studiosi hanno anche avanzato l’ipotesi che l’influenza linguistica dei nativi rappresenti soltanto uno dei punti di vista e non più la norma a cui fare riferimento, come è stato osservato da Seidlhofer:

For the first time in history, a language has reached truly global dimensions, and as a consequence, is being shaped, in its international uses, at least as much by its non-native speakers as its native speakers. (Seidlhofer, 2004, p. 211)

La questione della norma linguistica è una delle più rilevanti negli studi sull’ELF, sia per via degli studiosi che cercano di darne una descrizione, trovandone le caratteristiche ricorrenti e le

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variazioni (v. Seidlhofer, 2011; Cogo & Dewey, 2012; Jenkins, 2009, 2012, 2011, 2000) sia a causa del dibattito fra i sostenitori (v. Jenkins, 2014; Seidlhofer, 2004, 2009) e coloro che invece vi si oppongono, evidenziandone le criticità.

Notoriamente infatti, l’ELF si contrappone allo studio dell’English as a Foreign Language (EFL), che ha una tradizione diversa perché è parte del paradigma delle lingue straniere, in cui l’apprendimento linguistico ha l’obiettivo principale di permettere agli apprendenti di comunicare con i parlanti nativi inglesi, quelli appartenenti al cerchio interno di Kachru (1985, p. 12). Da tale prospettiva, ogni variazione dalla norma nativa (English Native Language – ENL) è vista come errore da correggere, al contrario dell’ELF, in cui i parlanti hanno come obiettivo la comprensione reciproca e quindi ricorrono ad adattamenti linguistici (Cogo & Dewey, 2012), che talvolta si discostano da quello che può venire considerato come l’inglese “standard” secondo l’English as a Foreign Language:

ELF distinguishes between difference (i.e. from ENL) and deficiency (i.e. interlanguage or ‘learner language’), and does not assume that an item that differs from ENL is by definition an error. It may instead be a legitimate ELF variant. (Jenkins, 2009, p. 202)

Questa differenza fra i due paradigmi rimane cruciale per determinare anche le altre differenze, che vengono descritte da Jenkins (2014, p. 26) in una comparazione contrastiva in cui risulta evidente come la percezione su ciò che possa o meno costituire un “errore” abbia delle conseguenze sulle concezioni dei due modelli. Ad esempio, l’uso del code-switching viene visto come un’utile risorsa per i parlanti bilingui di ELF, mentre viene giudicato come un vuoto lessicale in contesto EFL (p. 26) perché viene interpretato come la mancata conoscenza del vocabolo per esprimere uno specifico concetto (cfr. invece Cogo, 2009).

Dal punto di vista culturale invece, laddove l’EFL punta alla conoscenza e comprensione della cultura anglofona, i parlanti ELF mettono in atto le loro competenze interculturali al fine di ottenere una migliore comprensione fra culture diverse che si esprimono attraverso un mezzo – l’inglese – che non sempre può garantire una corrispondenza con la propria lingua madre (Jenkins, 2014, p. 27). Infatti, se per i parlanti EFL le norme di riferimento linguistiche rimangono quelle dei paesi anglofoni, i parlanti ELF adattano le loro conoscenze linguistiche alla situazione comunicativa in cui si trovano, e ai loro interlocutori, facendo uso di strategie comunicative così come del proprio background linguistico e culturale, per agevolare la buona riuscita della comunicazione (v. Mauranen, 2006; Cogo, 2010).

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ELF is thus a question, not of orientation to the norms of a particular group of English speakers, but of mutual negotiation involving efforts and adjustments from all parties. (Jenkins, 2009, p. 201)

Infine, ELF, pur essendo utilizzato da parlanti appartenenti al cerchio esterno (Kachru, 1985, p. 13), ossia coloro che vivono in paesi non anglofoni ma che comunicano in inglese fra di loro, e che rappresentano il numero più alto di parlanti d’inglese al giorno d’oggi (Graddol 2006), non è da considerarsi una varietà d’inglese (Jenkins, 2011, p. 931; Björkman, 2008, p. 119), come era stato affermato da Coleman (2006). Si tratta invece di una situazione linguistica che Björkman descrive in questi termini:

ELF settings in general are by nature complex language contact situations with high linguistic heterogeneity, where there is a wide number of first language (L1) backgrounds and levels of proficiency. (Björkman, 2016, p. 60)

Perciò la ricerca che si occupa di ELF non mira a trovare delle componenti che identifichino l’ELF come variante (Cogo, 2012), ma investiga le pratiche coinvolte nelle comunicazioni in cui l’inglese è il mezzo linguistico che ne permette la realizzazione (p. 98).

Nella letteratura, gli studi sulle interazioni in ELF hanno adottato delle prospettive di analisi sia linguistiche che pragmatiche, a partire dagli studi di Seidlhofer (2001, 2004, 2010, 2011) che hanno evidenziato le caratteristiche lessico-grammaticali dell’ELF analizzando il corpus “VOICE” (Vienna-Oxford International Corpus of English), formato dalle trascrizioni di interazioni spontanee di inglese lingua franca, che comprende un milione di parole circa, equivalenti a 120 ore di discorsi trascritti (Seidlhofer, 2010).

Le analisi su questo corpus sono state poi sviluppate negli studi successivi (Cogo & Dewey, 2006, 2012; Mauranen & Ranta, 2009), in cui sono emerse delle caratteristiche ricorrenti dell’ELF. Parallelamente, l’attenzione si è spostata dalla prospettiva linguistica verso le dimensioni pragmatiche e metadiscorsive (v. Jenkins, 2011, p. 928), che sono state esplorate per poter approfondire come venga intesa la concezione di efficacia comunicativa nelle interazioni ELF (cfr. Björkman, 2011a; Cogo, 2010)

Infatti, poiché è risultato che i fenomeni linguistici osservati in queste interazioni sono funzionali allo scopo di facilitare la comunicazione fra i parlanti (Jenkins, 2011; Mauranen, 2006), l’obiettivo principale della ricerca ELF al giorno d’oggi non è solo: “to reveal some of

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the forms that emerge in ELF interaction in specific communities, but more importantly to highlight the pragmatic strategies speakers draw on as they collaboratively engage in communication” (Cogo, 2012, p. 99). Le comunità di parlanti ELF però non sono chiaramente identificabili con i parametri tradizionali (p. 98), essendo eterogenee poiché includono persone appartenenti a background culturali molto diversi fra loro, e tale varietà implica che i parlanti possano cambiare più o meno frequentemente nel corso del tempo e dello spazio (p. 98). Per tali motivi, le comunicazioni in cui l’ELF viene impiegato sono state raccolte e studiate in svariati campi, che includono principalmente il turismo, l’ambiente scolastico, l’ambiente accademico e il mondo del business (Jenkins, Cogo & Dewey, 2011, p. 285; v. Mauranen & Ranta, 2009). Questi ultimi due settori in particolare sono rilevanti ai fini di questo lavoro: il primo perché è anche quello in cui si è svolta la ricerca dati, e il secondo perché i partecipanti di questo progetto, che afferiscono al Dipartimento di Management dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, si trovano ad avere contatti o quantomeno a conoscere da vicino le realtà economiche mondiali e i loro meccanismi, tra cui l’uso dell’inglese come lingua di preferenza per gli affari.

Infatti, per quanto riguarda l’ELF utilizzato in campo economico, la vasta frequenza e portata delle sue interazioni l’hanno reso un ambito a sé stante, denominato BELF (Business English as a Lingua Franca) nella letteratura che se ne occupa (Bargiela-Chiappini, 2009; Gatti, 2010; Kankaanranta & Louhiala-Salminen, 2013; Fortanet-Gómez & Räisänen, 2008). Ad esempio, Handford (2010) ne ha analizzato le caratteristiche a partire dal Cambridge and Nottingham Business English Corpus (CANBEC), trovando ricorrenze di concetti chiave, categorizzando clusters, e prendendo in considerazione aspetti lessicali ma anche le dinamiche di turn-taking nelle interazioni. Un altro dei setting più investigati è anche quello accademico, soprattutto per quanto concerne le pratiche linguistiche quotidiane degli studenti e dello staff nei programmi erogati in inglese (Björkman, 2016, p. 61), perché: “ELF settings by nature are linguistically diverse with a large number of L1s and varying levels of proficiency” (p. 62).

In questo campo, oltre a Björkman (2010, 2013), anche Mauranen (2010, 2012) è stata fra le prime ad analizzare i fenomeni linguistici emersi dalla registrazione di lezioni accademiche. Insieme al suo team, Mauranen ha creato il corpus ELFA (English as a Lingua Franca in Academic settings), che è stato completato nel 2008 e contiene le trascrizioni di 131 ore di inglese lingua franca in contesto accademico, e consta di circa un milione di parole (Mauranen et al., 2010, p. 185). Il corpus ELFA include le trascrizioni di lezioni, seminari, conferenze e

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discussioni di tesi, in sette diverse discipline, tenutesi presso le università di Helsinki e di Tampere (Mauranen, 2012, pp. 73-78), e si differenzia dal corpus VOICE, che invece raccoglie le interazioni in inglese di parlanti non nativi all’interno di molteplici contesti, funzioni (es. dare informazioni), e ruoli dei partecipanti (es. simmetrici e asimmetrici). Pur analizzando un corpus più specifico, le ricerche sull’ELFA hanno portato alla luce le somiglianze grammaticali e lessicali fra la lingua franca accademica e quella più “generale”, ma anche le loro differenze, in quanto certi fenomeni compaiono solo all’interno dell’ambito universitario (Mauranen, 2010). Ci si può quindi aspettare che l'inglese usato come lingua franca nell'istruzione terziaria riesca a combinare “in interesting ways the shared linguistic repertoire available to the group of interlocutors in multilingual educational settings with their expertise in the respective content area and its genre-specific conventions” (Smit & Dafouz, 2012, p. 3). Le caratteristiche evidenziate in questi studi serviranno come punto di riferimento sia nelle riflessioni presentate nei prossimi capitoli, sia nell’immediato, per aiutare a definire il concetto di EMI.