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III. Metodologia e raccolta dat

3.1 Il background metodologico

3.3.5 Il processo di analisi e codifica dei dat

Prima di poter procedere con l’analisi dei dati vera e propria, che verrà mostrata nel capitolo seguente, è necessario poter ricostruire il processo di analisi, e delineare le varie fasi che si sono susseguite al fine di poter elaborare i dati raccolti, come viene mostrato nello schema finale del capitolo (figura II). All’interno di ogni fase, sono stati eseguiti una serie di passaggi, proposti nell’ordine suggerito da Miles, Huberman e Saldaña (2014):

Assigning codes or themes to a set of field notes, interview transcripts, or documents Sorting and sifting through these coded materials to identify similar phrases, relationships between variables, patterns, themes, categories, distinct differences between subgroups, and common sequences

Isolating these patterns and processes, and commonalities and differences, and taking them out to the field in the next wave of data collection

Noting reflections or other remarks in jottings, journals, and analytic memos

Gradually elaborating a small set of assertions, propositions, and generalizations that cover the consistencies discerned in the database

Comparing those generalizations with a formalized body of knowledge in the form of constructs or theories

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Innanzitutto, come si può vedere, si comincia dalla creazione e assegnazione di codici; ciò coincide anche con il primo passaggio nelle analisi svolte tramite la Grounded Theory: “Coding is the first step in moving beyond concrete statements in the data to making analytic interpretations” (Charmaz, 2006, p. 43). La codifica non solo rappresenta una delle fasi più importanti che costituiscono il processo di analisi, ma specialmente negli studi in cui viene applicata la Grounded Theory, si svolge anche contemporaneamente ad essa. Infatti, secondo Miles e Huberman “coding is analysing” (1994, p. 56), ed è necessario seguire una serie di accortezze nello svolgere le operazioni di codifica, in modo da rendere più agevole l’elaborazione dei dati e il loro utilizzo successivo, nonché la loro comprensione, sia da parte del ricercatore che dei fruitori della ricerca.

Nel fornire alcuni suggerimenti sui metodi utilizzabili per creare codici, Miles e Huberman (1994), indicano l’approccio di Strauss (1990), e di Strauss e Corbin (1998): “Initial data are collected, written up, and reviewed line by line, typically within a paragraph. Beside or below the paragraph, categories or labels are reviewed and, typically, a slightly more abstract category is attributed to several incidents or observations” (Miles & Huberman, 1994, p. 58).

Secondo questo procedimento, i dati raccolti sono stati, fin da subito, etichettati secondo una serie di categorie descrittive, che potessero fornire un’indicazione generica delle situazioni osservate durante le sessioni.

Grounded theory coding means applying a shorthand label to a piece of data that takes

this datum apart and defines what it means. Codes arise from the researcher’s interaction with the data; they are not preconceived and applied to the data, as occurs in quantitative research. (Charmaz, 2011, p. 165)

Tuttavia, data l’importanza del procedimento, esistono diverse tipologie di codifica dei dati. Secondo Charmaz (2006), la codifica attraverso la Grounded Theory consiste in almeno due fasi: “initial and focused coding” (p. 42). Nella codifica iniziale, vengono presi frammenti di dati, parole, stringhe e segmenti di testo, etichettati a seconda delle situazioni che descrivono (p. 42). In questo studio, tale passaggio ha permesso di individuare dei concetti preliminari su cui formulare poi delle categorie più precise (v. Figura II). Initial coding spesso prevede un processo di codifica “line-by-line”, in cui l’analisi è più minuziosa perché il ricercatore non desidera tralasciare nessun aspetto. Allo stesso modo, si può utilizzare anche la modalità “in vivo code” (p. 55) per sottolineare parole o concetti specificatamente espressi dai partecipanti,

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e trasformali in categorie (v. Corbin & Strauss, 2008, p. 82). In seguito, si passa ad una fase di codifica più complessa, denominata focused coding, che permette di selezionare i codici iniziali più rilevanti per testarli:

Focused coding means using the most significant and/or frequent earlier codes to sift through large amounts of data. One goal is to determine the adequacy of those codes. Focused coding requires decisions about which initial codes make the most analytic sense to categorize your data incisively and completely. (Charmaz, 2006, pp. 57-58) In tal modo si procede a comparare fra di loro non solo i dati raccolti, ma anche a mettere a confronto i dati con i codici individuati nell’analisi iniziale (Charmaz, 2006, p. 42), arrivando così a codici che possano spiegare una maggiore quantità di dati (pp. 57-58). In base a questo principio, i codici ricavati in questo studio, dalle analisi effettuate durante i primi due mesi di raccolta dati, hanno portato alla creazione delle categorie iniziali di problematiche e di attività svolte durante le sessioni di sportello (v. tabella VI e VII, par. 3.3.2).

Secondo Corbin e Strauss invece, le tipologie di codifica si dividono in: open coding e axial coding (2008) mentre selective coding (1990, p. 12) appare ancora nell’edizione del 1998, ma non in quella del 2008. Il primo tipo parzialmente corrisponde all’initial coding di Charmaz (2006), quando prevede che i dati iniziali vengano sottoposti ad una micro-analisi “to break data apart and to look for varied meanings of a word or phrase” (Corbin & Strauss, 2008, p. 46), ma più genericamente serve ad indicare la fase iniziale di codifica (p. 195). In tal modo, open coding stimola anche la formulazione di domande che possano guidare il ricercatore nelle osservazioni successive (v. Corbin & Strauss, 1990, p. 12). Nella fase di axial coding invece “categories are related to their subcategories, and the relationships tested against data” (Corbin & Strauss, 1990, p. 13), in modo da poter confrontare i codici fra di loro per poter evidenziare le relazioni fra concetti, come indica Charmaz (2006, pp. 60-61), che però non segue la procedura di Strauss e Corbin, ma preferisce sviluppare sottocategorie di una categoria, e mostrare come queste siano collegate fra di loro (p. 61). In realtà, Corbin e Strauss, nella 3° edizione del loro libro, affermano che “open coding and axial coding go hand in hand” (2008, p. 198), e che la distinzione viene fatta solo a scopo esplicativo (p. 198).

Perciò, solo dopo una fase iniziale di codifica aperta dei dati, è stato possibile creare delle categorie più astratte a partire dai concetti che erano stati individuati in uno stadio preliminare della ricerca, secondo quanto affermato da Strauss e Corbin (1990): “Concepts that pertain to the same phenomenon may be grouped to form categories. Not all concepts become categories.

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Categories are higher in level and more abstract than the concepts they represent” (Corbin & Strauss, 1990, p. 7). Una volta che i dati sono stati codificati, possiamo identificare tutti gli esempi all’interno di “particular category heads” (Dey 2007, p. 182) perché tali etichette più ampie e più astratte possono servire come headings per classi di oggetti che condividono caratteristiche simili (Strauss & Corbin, 1998, p. 115). Il fatto di poter assegnare degli “headings” ai nostri dati, rappresenta un ulteriore passaggio all’interno del processo di analisi: “Determining the headings under which to organize the data provides a structure within which the researcher can now use discursive commentary to talk about the data within the context of her argument” (Holliday, 2007, p. 98).

Tuttavia, come vedremo più avanti, il fatto di raggruppare concetti all’interno di abstract headings non costituisce una categoria in sé perché, per poter ottenere questo status, questi concetti devono essere sviluppati secondo le loro proprietà e dimensioni, all’interno del fenomeno che rappresentano (Corbin & Strauss, 1990, p. 7). Per tale ragione, il passaggio successivo nel processo di analisi consiste nella ricerca di temi ricorrenti, variabili e categorie che possano suddividere i dati in sotto categorie (v. sopra Charmaz, 2006). È a questo punto, nel processo della Grounded Theory, che avvengono due fra i principali strumenti di analisi descritti da Corbin & Strauss (2008, p. 68): “asking questions and making comparisons”. La prima modalità viene in realtà utilizzata lungo tutto il corso della ricerca, ogniqualvolta ci poniamo delle domande inerenti ai dati, per sapere “how much we do not know about a concept […] and how much more we need to find out” (Corbin & Strauss, 2008, p. 71); tali quesiti aiutano il ricercatore a formarsi nuove idee sul fenomeno investigato. Per tale ragione, esistono varie tipologie di domande, che Corbin e Strauss (2008, p. 72) hanno catalogato in: sensitizing, theoretical, practical e guiding. Durante il percorso di ricerca di questo studio, si è fatto ampio uso delle sensitizing questions, che aiutano il ricercatore a capire ciò che i dati possono suggerire a partire dalle osservazioni condotte (es. “What is going on here; that is, issues, problems, concerns?”, o “How do they define the situation? Or, what is its meaning to them?”, p. 72). Le domande di tipo theoretical sono state utilizzate per orientarsi all’interno dei dati raccolti e fare connessioni fra i vari dati (es. “What are the larger structural issues here and how do these events play into or affect what I am seeing or hearing?”, p. 72). Le domande pratiche sono invece servite per aiutare lo sviluppo della struttura dei dati (“Which concepts are well developed and which are not?”, p. 72); per capire se il punto di saturazione fosse o meno stato raggiunto, e per decidere quali altri passaggi intraprendere nella raccolta dati (es. “Where,

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when, and how do I go next to gather the data for my evolving theory?”, p. 72), come ad esempio la decisione di effettuare una serie di interviste semi-strutturate, in cui sono state utilizzate delle guiding questions (v. par. 3.3.4).

L’altra modalità in cui si può procedere nell’analisi dei dati avviene quando confrontiamo i dati a nostra disposizione attraverso un “comparison making”, che a sua volta si divide in: constant comparison e theoretical comparison (Corbin & Strauss, 2008, p. 73). Il constant comparative method favorisce una distinzione analitica tra i vari elementi (v. Charmaz, 2006, p. 54) che permette di stabilire le proprietà di ciascuna categoria, e le sue dimensioni specifiche all’interno del fenomeno osservato (cfr. Corbin & Strauss, 2008, p. 65). Ciò avviene perché quando un evento (“incident”) si verifica durante le osservazioni, deve venire messo a confronto con altri eventi per trovarne differenze e somiglianze (Corbin & Strauss, 1990, p. 9). Secondo quanto afferma Charmaz: “Making comparisons between incidents likely works better than word-by- word or line-by-line coding, in part because the fieldnotes already consist of your own words” (2006, p. 53), e tale fattore è rilevante specialmente in questo studio, che si basa sulle osservazioni raccolte dal ricercatore.

Tuttavia, nel mettere in pratica questo meccanismo di analisi, è necessario ricordare anche quanto afferma Glaser (2007): “The researcher uses constant comparison to generate concepts NOT to discover descriptive differences and similarities” (enfasi nell’originale, p. 105). Perciò le proprietà delle categorie da mettere a confronto non riguardano gli eventi in sé per sé, ma il concetto astratto alla base delle loro caratteristiche. Un esempio pratico di tale procedura è descritto nel capitolo successivo (cap. 4, par. 4.2.1), quando viene spiegata la scelta di distinguere uno degli eventi linguistici riguardante l’uso del lessico in “vocabulary suggestion” e “vocabulary mistake”. Grazie alla constant comparison si può raggiungere un grado maggiore di precisione nel definire un evento, e tale precisione aumenta quando il confronto porta a suddividere un concetto originale in due concetti diversi che esprimano una variazione del primo (Corbin & Strauss, 1990, p. 9), come è avvenuto nell’esempio menzionato sopra. La successiva modalità con cui confrontare gli eventi avvenuti all’interno delle osservazioni riguarda la theoretical comparison, definita come: “An analytic tool used to stimulate thinking about properties and dimensions of categories” (Corbin & Strauss, 2008, p. 65). In questa fase, le caratteristiche precedentemente individuate tramite constant comparison vengono confrontate anche con le esperienze accumulate dal ricercatore, e con la letteratura esistente su un argomento, che abbia caratteristiche comparabili a quelle delle categorie osservate (pp. 75-

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76). Ciò è possibile perché, in questa modalità, non sono le specificità di un’esperienza che contano, quanto i concetti e le conoscenze che possono essere tratte da tale esperienza (p. 76). È però importante osservare che “it is not that we use experience or literature as data, but that we use the properties and dimensions derived from the comparative incident to examine the data in front of us” (Corbin & Strauss, 2008, p. 75).

Le procedure di analisi finora descritte, sono state utilizzate anche durante l’elaborazione dei dati raccolti durante le osservazioni. Una volta individuate le categorie iniziali, ne sono state aggiunte altre man mano che si presentavano, oppure sono state rese più specifiche, in base alle caratteristiche degli eventi accaduti, mettendo a confronto i dati e i codici. Dopo aver concluso la raccolta, i dati sono stati inseriti nel software di analisi qualitativa Nvivo (v. Woolf & Silver, 2018) che ne ha permesso una catalogazione più ordinata e concisa, evidenziando quelle relazioni fra i dati che non erano altrettanto evidenti prima, e permettendo poi di raggiungere un livello di analisi più profondo delle caratteristiche del fenomeno emerse dalle annotazioni, dalle interviste e dalle categorie attribuite agli eventi osservati.

Il software per l’analisi dei dati Nvivo è stato utilizzato tenendo conto che si tratta semplicemente di uno strumento, e che spetta al ricercatore il compito di operare le analisi e trarne delle conclusioni logiche:

Researchers always engage their own intellectual capacities to make sense of qualitative data. Even when computer programs are used to assist in the mechanics of sorting data, only the intelligence, creativity, and reflexivity of the human mind can bring meaning to those data. (Hatch, 2002, p. 148)

Infatti, anche secondo Cohen et al. (2007): “software does not give the same added value that one finds in quantitative data analysis, in that the textual input is a highly laborious process and that it does not perform the analysis but only supports the researcher doing the analysis by organizing data and recording codes and nodes etc.” (enfasi nell’originale, p. 489).

Infine, una fra le strategie di ricerca che sono state utilizzate dal ricercatore, inizialmente in maniera inconsapevole, è stata quella di scrivere nei propri appunti delle riflessioni spontanee sulle osservazioni effettuate e sulle direzioni verso cui la ricerca stava procedendo mentre i dati venivano raccolti. Questo processo, nella Grounded Theory, viene denominato “memo writing” e consiste in:

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Memo-writing forms the next logical step after you define categories; however, write memos from the beginning of your research. Memos spur you to develop your ideas in narrative form and fullness early in the analytic process. Your memos will help you clarify and direct your subsequent coding. Writing memos prompts you to elaborate processes, assumptions, and actions covered by your codes or categories. (Charmaz, 2006, p. 82)

Il ricercatore, all’interno del suo progetto, ha quindi impiegato anche le proprie riflessioni personali, che sono servite non solo per condurre la ricerca e l’analisi, ma soprattutto per trarre quelle conclusioni logiche necessarie a collegare i vari elementi fra loro. Il risultato delle analisi condotte viene trattato nel prossimo capitolo, in cui vengono mostrate le categorie astratte che sono state ricavate nelle fasi finali dell’analisi dei dati (grazie a constant e theoretical comparisons). Le categorie, e le loro conseguenti sub-categorie, si accompagnano ad estratti delle annotazioni redatte in seguito alle osservazioni, in modo da poter avvalorare le scelte compiute nello stabilire le categorie e le loro caratteristiche.

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Initial coding (Charmaz, 2006) Open coding (Corbin & Strauss,

2008)

“What are the main