Type of course
2.3 Stato dell’arte sull’EM
2.3.1 Opinioni e attitudini di docenti, studenti e staff
Prima di occuparci delle problematiche riscontrate nei programmi offerti in lingua inglese, si è ritenuto utile prendere in considerazione le opinioni dei soggetti interessati da questo fenomeno riguardo le nuove dinamiche che l’EMI va a creare nell’ambiente accademico, poiché “such investigations add relevant information to developing tailor-made and success-prone in-service education and training courses” (Smit & Dafouz, 2012b, p. 7). Queste opinioni inoltre possono
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servire ad informare i responsabili delle istituzioni che offrono corsi EMI, perché ne tengano conto nella formulazione di nuove ed adeguate politiche linguistiche (p. 7).
Spesso, le indagini sulle attitudini dei soggetti coinvolti in progetti innovativi sono studi preliminari ed esploratori, aventi funzione di needs analysis, che servono poi come base per ricerche più approfondite. Questa prassi viene seguita anche negli studi che investigano le opinioni dei docenti o degli studenti nei confronti dei programmi EMI, visto il grado di novità ed innovazione che quest’ultimi richiedono. Sono numerosi gli studi che hanno investigato le percezioni dello staff accademico oppure degli studenti, non solo nel nord e centro Europa (Kling, 2013; Pilkinton-Pihko, 2011; Sercu, 2004; Werther et al., 2014; Wilkinson, 2005), ma anche nei paesi dell’Europa meridionale come la Spagna e l’Italia (es. Ackerley, Guarda & Helm, 2017; Cots, 2013; Ball & Lindsay, 2013; Dafouz Milne, et al., 2007; Doiz, Lasagabaster & Sierra, 2014, 2013; Helm & Guarda, 2015). In questa sezione, per ragioni di spazio, sono stati inclusi qui di seguito solo alcuni esempi di studi focalizzati sulle competenze dei docenti, come quello di Jensen, et al. (2013), in cui è stato somministrato un questionario agli studenti sulle percezioni che hanno dei loro professori. Dal questionario è emerso che i docenti valutati positivamente sia per contenuto che strutturazione delle lezioni, avevano ricevuto valutazioni positive anche sulla loro “general lecturing competence” (2013, p. 98). Un altro fattore che ha inciso sulla valutazione positiva delle capacità d’insegnamento generali dei docenti, è stato il giudizio favorevole sulle loro competenze linguistiche in inglese (p. 98). Questa caratteristica è risultata reciproca poiché anche i docenti valutati positivamente nelle capacità generali hanno ricevuto giudizi favorevoli sulle loro competenze in inglese.
Le comparazioni statistiche effettuate hanno però evidenziato una bassa correlazione fra questi due fattori, portando gli autori a propendere per l’ipotesi secondo la quale i giudizi degli studenti siano basati su stereotipi e che le loro attitudini verso le capacità d’insegnamento siano influenzate in realtà dalla loro percezione della competenza linguistica inglese dei docenti (2013, p. 103). È importante tenere conto di conclusioni come queste nel momento in cui si vuole investigare la competenza dei docenti reale e non quella percepita, in particolare per quanto riguarda le conseguenze che le valutazioni studentesche possono avere:
universities should be aware that the English skills of their teaching staff will be reflected not just in the students’ perceptions of language skills but also in their perceptions of the lecturers’ overall lecturing competence, which may have a negative impact on the impression the students have of the academic level of the institution as a whole. (Jensen et al., 2013, p. 106)
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La questione della valutazione delle competenze dei docenti rimane tuttavia un tipo di indagine che presenta alcune difficoltà proprio a causa della delicatezza della tematica e delle modalità con cui effettuarla: “The question of whether it was reasonable to test the English proficiency of those teaching in the programmes proved to be a rather delicate one” (Unterberger, 2012, p. 94).
Dal punto di vista dei docenti, Jensen e Thøgersen (2011) hanno investigato le opinioni dello staff accademico dell’Università di Copenaghen, che è coinvolto in progetti di internazionalizzazione. Situandosi nel dibattito nazionale sui vantaggi e svantaggi di questo processo, dal loro questionario risulta come i docenti più giovani siano quelli meno scettici nei confronti dei corsi erogati in inglese, rispetto a colleghi con maggiori anni di esperienza nell’insegnamento (p. 27). Un altro dato emergente dal questionario indica come i rispondenti siano concordi nel sostenere che non tutti i docenti sono preparati per insegnare utilizzando l’inglese, e che gli studenti apprendono meglio attraverso la loro lingua materna (p. 26). Inoltre, si è osservato come coloro che insegnano quasi esclusivamente in inglese abbiano una propensione più positiva verso il crescente uso dell’EMI rispetto a coloro che insegnano meno in inglese (p. 28). L’ipotesi conclusiva dei due autori è che il ricambio generazionale potrebbe portare ad un’attitudine maggiormente positiva verso l’inglese e ad un minor scetticismo da parte delle nuove generazioni di docenti (p. 29).
Per quanto riguarda l’impatto dell’inglese sulla disciplina, Airey (2012), attraverso delle interviste semi-strutturate a dieci docenti di fisica provenienti da quattro università in Svezia, ha investigato le loro opinioni sullo sviluppo di “disciplinary language skills” sia in svedese che in inglese (2012, p. 66). Infatti, l’ampia diffusione dell’inglese aveva stimolato già dieci anni fa il dibattito sulle modalità migliori con cui garantire l’uso continuativo anche dello svedese in campo accademico (v. Airey, 2012, pp. 65-66). In base alle analisi qualitative dei temi ricorrenti nelle interviste, Airey ha tratteggiato delle conclusioni anche sulle aspettative dei docenti; la più rilevante ai fini di questo studio consiste nel fatto che i docenti non si focalizzano sulla lingua inglese utilizzata per insegnare concetti di fisica, perché si aspettano che i loro studenti siano in grado di acquisire quei concetti a prescindere dalla lingua (v. p. 74). Poiché non si percepiscono come “docenti di lingua”, concetto riassunto nella frase “I don’t teach language I teach physics” (p. 74), i docenti hanno anche affermato di non sentirsi a loro agio nel correggere l’inglese dei loro studenti, attitudine che trova riscontro anche in altri studi (Airey, 2011; Tatzl, 2011).
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Ciò sembra confermare la convinzione che la lingua sia uno strumento attraverso il quale far passare dei contenuti, piuttosto che un obiettivo di apprendimento a sé stante (v. Airey, 2012, p. 66). Tuttavia, questo fatto appare in contraddizione con il principio alla base del parallel language use (Airey & Linder, 2008), il cui scopo è la formazione di una competenza accademica bilingue (bilingual academic literacy) che unisce lingua e contenuto; Airey stesso lo afferma: “I view all disciplinary learning as a form of language learning” (2012, p. 66). Secondo la sua opinione, le reticenze dei docenti sulla lingua potrebbero essere dovute al fatto che non la considerano come “the main method of meaning making in physics” perché per loro è la matematica ad essere la risorsa più importante per comprendere la loro disciplina (2012, p. 75). Sempre in Svezia, in un sondaggio condotto all’Università di Stoccolma nel 2009 da Bolton e Kuteeva (2012) sulla percentuale di inglese utilizzato nei corsi, gli studenti della triennale hanno aggiunto i loro personali commenti in cui si lamentavano delle scarse abilità linguistiche dei docenti, e dell’accento non nativo di alcuni guest lecturers (Bolton & Kuteeva, 2012, p. 435). Al contrario, nella auto-valutazione delle competenze linguistiche all’interno del corpo docente, che è composto per un 68% da madrelingua svedese, solo una minoranza ha riportato livelli significativi di difficoltà nel parlare e scrivere in inglese (p. 438). Rimane perciò da capire quale sia lo standard linguistico di riferimento, sia per gli studenti che per i docenti, considerando il fatto che gli svedesi si classificano fra i paesi con un’alta padronanza della lingua inglese (v. EF – English Proficiency Index 2016).
La competenza linguistica effettiva, o il modo in cui viene percepita, può probabilmente subire dei cambiamenti anche a seconda della disciplina. È stato infatti notato come nelle facoltà scientifiche vi sia una maggiore esposizione alla lingua inglese perché il discorso scientifico si presta più facilmente ad essere utilizzato in tale lingua, rispetto alle discipline umanistiche (v. Kuteeva & Airey, 2014). Ciò sembra essere confermato anche da un studio di Björkman (2008), secondo la quale discipline come economia, ingegneria e linguistica usano il linguaggio per riportare dati, che vengono mostrati grazie a supporti visivi. Ciò aiuterebbe gli studenti di queste discipline a comprendere meglio le lezioni, rispetto agli studenti che studiano filosofia, storia e lettere, in cui i concetti vengono costruiti attraverso il linguaggio e quindi dipendono in gran parte dalla forma utilizzata per esprimerli (p. 120; cfr. Bhatia, 2014, pp. 53-54).
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