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LA DESCRIZIONE DELLA FATTISPECIE

TIPOLOGIE CONTRATTUALI DI LAVORO SUBORDINATO

2.1. IL CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO

2.1.2. LA DESCRIZIONE DELLA FATTISPECIE

Al termine di tale opera di aggiustamenti successivi, e prima dell’abrogazione intervenuta ad opera del d. lgs. 81/2015 (art. 55, comma 1 lettera b)) la disciplina57 del contratto di lavoro a tempo determinato è stata data dal d. lgs. 6 settembre 2001 n. 368, con cui è stata data attuazione nel nostro ordinamento alla direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES. Fino all’abrogazione ad opera del codice dei contratti, questo decreto è stato la fonte normativa su cui si sono poi incardinate i successivi interventi di riforma, che lo hanno modificato modificando la disciplina del contratto a termine in alcuni dei suoi aspetti.

Il decreto esplicitava i casi in cui è l’apposizione di un termine alla durata del contratto era consentita, la forma (necessariamente scritta) in cui tale clausola deve essere apposta e i casi in cui si poteva derogare a tale previsione ( “quando la durata del rapporto di lavoro, puramente occasionale, non sia superiore a dodici giorni”), gli adempimenti in capo al datore di lavoro (la consegna di una copia dell’atto scritto entro cinque giorni lavorativi dall’inizio della prestazione). Prevedeva, all’art. 3, i casi in cui l’apposizione di un termine non è ammessa; disciplinava la proroga come anche la prosecuzione di fatto del rapporto di lavoro e la stipulazione di più contratti a termine, tra le stesse parti, in successione tra loro e prevede le relative sanzioni in caso di inosservanza delle relative disposizioni di legge (il rispetto degli intervalli di tempo). L’art. 4 del d. lgs. 368/2001 prevedeva sia un limite massimo di durata di un contratto a tempo determinato (36 mesi) sia un limite alla prorogabilità dello stesso e le relative condizioni di fattibilità (prorogabile solo entro il limite di durata massima dei 36 mesi, per una sola volta , con il consenso del lavoratore e a condizioni che persistano le ragioni oggettive, ovvero che

sia richiesta da ragioni oggettive e deve riferirsi alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato). All’art. 10 inividuava i casi che non ricadono nell’ambito di operatività (campo di applicazione) del decreto stesso in quanto disciplinati da specifiche normative (i contratti di lavoro temporaneo, i contratti di formazione e lavoro, i rapporti di apprendistato ed i tirocini; i rapporti di lavoro con operai in agricoltura; i cosiddetti “extra” (personale assunto per un massimo di tre giorni) nei settori del turismo e dei pubblici esercizi e i contratti di lavoro con i dirigenti, i quali possono essere assunti a tempo determinato con una durata massima del contratto di cinque anni. L’art. 6 esplicitava il divieto di discriminazione, in forza del quale al lavoratore assunto a tempo determinato spettano tutti i trattamenti retributivi in atto nell’impresa riconosciuti ai lavoratori con contratto a tempo indeterminato “comparabili” (ovvero quelli inquadrati nello stesso livello), e gli spettano in proporzione al periodo di lavoro prestato. Quindi il lavoratore assunto a tempo determinato non deve essere discriminato, in particolare sotto l’aspetto retributivo per quanto riguarda le spettanze retributive, a causa della durata limitata del contratto, così come anche, in virtù del successivo art. 7, gli dovrà essere fornita “una formazione sufficiente ed adeguata alle caratteristiche delle mansioni oggettive del contratto, al fine di prevenire rischi specifici connessi alla esecuzione del lavoro”, non potendo la durata determinata del contratto essere pretesto di inadempimento in capo al datore di lavoro dell’obbligo di formazione né di quello di prevenzione dei rischi sul lavoro. L’art. 9 rimetteva ai contratti collettivi nazionali di lavoro (stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi) di definire come le imprese debbano rendere ai lavoratori a tempo determinato le informazioni circa “i posti vacanti che si rendessero disponibili nell’impresa” al fine di offrire una qualche possibilità di conseguire un impiego a tempo indeterminato. E si legga quest’ultima disposizione in combinato con il disposto del comma 4-quater dell’art. 5 che attribuiva al lavoratore a termine che abbia prestato attività lavorativa presso una stessa azienda per un periodo superiore a sei mesi un diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore entro i successivi dodici mesi, come anche il lavoratore assunto a termine per lo svolgimento di attività stagionali.

Sull’impianto normativo del contratto a termine contenuto nel d. lgs 368/2001 e qui per sommi capi esposto, si sono succeduti nel corso dell’ultimo decennio diversi interventi normativi di modifica (abrogazioni e aggiunte di nuove disposizioni). Alcuni di tali interventi del legislatore hanno apportato modifiche significative, che hanno prodotto un cambiamento nell’utilizzo, nella pratica, di tale tipologia contrattuale, lasciando il segno nel mercato del lavoro imprimendo in esso rallentamenti o accelerazioni, a seconda di quanto tale contratto fosse fruibile. Non sempre, tuttavia, il legislatore si è dimostrato coerente, contraddicendo anzi se stesso e arrivando a dire tutto ed il contrario di tutto, in un’oscillazione di politiche del lavoro che già chiamare tali è un eufemismo e che palesano, trasponendola nella mutevolezza delle norme, l’instabilità politica. Mutevolezza già di per sé deleteria quando non frutto di un disegno organico, e resa ancor più onerosa dall’essere, tenuto conto dei necessari tempi tecnici di produzione delle norme, quasi repentina, fugace, in un susseguirsi di norme che grava il mercato del lavoro di incertezza, e lascia gli operatori nel dubbio se la normativa resterà tale per un periodo anche solo non breve e costituisce un ostacolo al pari di altri disservizi, in quanto impedisce una progettualità di lungo (o anche solo di medio) periodo nelle gestione delle risorse umane e quindi di conseguenza nell’esercizio dell’impresa.

2.1.3. IL CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO NELLA