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GLI EFFETTI DEGLI INCENT

Il corredo degli incentivi all’assunzione che, da ultimo, ha accompagnato il Jobs Act in modo esplicito (esonero contributivo triennale ed estinzione degli illeciti eventuali pregressi correlati a rapporti di lavoro non genuinamente autonomi o parasubordinati) ed in modo implicito in via di coordinato disposto (riconduzione nel regime sanzionatorio “a tutele crescenti” dei licenziamenti illegittimi ex d. lgs. 23/2015, delle nuove assunzioni e conversioni in contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato di pregressi contratti precari e/o fintamente non subordinati) ha sicuramente indotto molti datori e committenti a stabilizzare i lavoratori, ovvero ad assumerli con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in questo convertendo precedenti contratti di lavoro precari.

L’aver reso il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato economicamente più conveniente rispetto ad altre tipologie contrattuali (e non solo l’essersi limitati a rendere queste ultime più costose rispetto al contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato come avevano fatto precedenti interventi di riforma, come ad esempio la legge Fornero relativamente al contratto a termine o alle collaborazioni), ha prodotto il pur apprezzabile effetto di riconvertire un gran numero di contratti precari in altrettanti contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato (dove, però, il quanto o quanto a lungo “indeterminato” è in qualche modo rimesso al quasi arbitrio del datore, che di fatto si vede riconoscere, ex d. lgs. 23/2015, la fattibilità di recedere dal contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato prescindendo di fatto dalla sussistenza delle ragioni di giustificatezza e quindi di legittimità del recesso datoriale, che pure continuano a vigere nell’ordinamento, sol che sia disposto a preferire l’onere del pagamento dell’indennità piuttosto che il mantenimento di un tal lavoratore alle proprie dipendenze)44.

La modifica, o conversione, di un contratto (precario) già in essere, in contratto “stabile” (nella peculiare, anamorfica ed illusoria accezione di stabilità propria del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti ex d. lgs. 23/2015) non è però sinonimo di “nuova” occupazione45. La stabilizzazione sostanzia una sorta di “novazione” del contratto di lavoro, andando a modificare la durata o il paradigma contrattuale di un contratto di lavoro già in corso tra le parti, nel quale quindi il lavoratore è, appunto, tale: è già occupato. Cosa diversa sono le nuove assunzioni, ovvero le assunzioni di lavoratori che fossero privi di occupazione prima di essa, e non solo privi di un’occupazione di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Le stabilizzazioni non producono incremento occupazionale: il numero degli occupati stabilizzati è pari al numero degli occupati precari prima della stabilizzazione; non riduce il numero dei non occupati. L’incentivo all’assunzione è stato riconosciuto anche

44 TIRABOSCHI M., Prima lettura del d. lgs. N. 81/2015 recante la disciplina organica dei

contratti di lavoro, e‐book ADAPT 45/2015, 2, rileva come l’intervento disposto dal Jobs

Act sia “di promozione del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (ma non certo della stabilità del lavoro stante il contestuale intervento sul regime sanzionatorio in caso di licenziamento illegittimo)…

45 SFERRAZZA Mauro, Incentivi all’assunzione per il triennio 2015‐2017, in ZILIO GRANDI G., BIASI M. (a cura di), Commentario breve alla riforma “Jobs Act”, 2016, 348

alla mera stabilizzazione, non essendo richiesto che la assunzione per la quale fruire dell’incentivo apportasse anche un incremento occupazionale46.

Sulle stabilizzazioni e sull’incremento occupazionale, che pure ci è stato sia pure in percentuale ridotta rispetto al totale delle assunzioni47, e che comunque ricopre una parte minima del totale delle assunzioni a tempo indeterminato avvenute nel corso del 2015 ed il cui picco si è avuto, sintomo chiaro della logica utilitaristica della fruizione degli incentivi, negli ultimi giorni del mese di dicembre 2015, gran peso ha avuto, come del resto era negli intenti del legislatore, il corredo di incentivi alle assunzioni, il cui costo ricade sulla fiscalità generale.

Ci si chiede cosa potrà capitare una volta chiuso il rubinetto degli incentivi alle assunzioni. In un contesto generale che non sarà riuscito a migliore gli altri fattori della produttività e della competitività, si prospetta come probabile un aumento dei licenziamenti al termine del periodo di esonero triennale48, licenziamenti resi sempre possibili di fatto dal d. lgs. 23/2015, sol che il datore si a disposto a preferire il costo del licenziamento (pagando la relativa indennità “a tutele crescenti”) al mantenimento in servizio del dipendente (che non si sia reso nel frattempo “indispensabile” a quell’impresa, nel qual caso il datore nemmeno penserà a licenziarlo e quindi il problema non si porrà). Ad ogni modo, pur con tale costo, l’impresa avrà comunque goduto di un beneficio economico. Si consideri questo esempio: a fronte di un esonero contributivo che sostanzia un importo massimo di 8060 euro all’anno per tre anni (per un totale massimo di 24180 euro) un datore che decidesse di licenziare al termine del triennio e quindi al termine dell’incentivo, si troverebbe a dover corrispondere al lavoratore (assunto con “contratto a tutele crescenti”) una somma pari a due mensilità per ogni anno di lavoro. Anche così, rimane una dote all’impresa (la differenza tra quanto goduto grazie all’esonero e quanto corrisposto per il licenziamento) pur non rimanendo l’occupazione di quel lavoratore. Il beneficio che questi potrà aver conseguito attiene quindi alla possibilità che gli viene così data di maturare esperienze

46 SFERRAZZA M., Incentivi all’assunzione per il triennio 2015‐ 2017, in ZILIO GRANDI G.,, BIASI M., op. cit. 348, richiama anche l’attenzione sulla “strumentale predisposizione delle condizioni di accesso agli incentivi occupazionali” e sul contratto in frode alla legge 47 1, 4 milioni di contratti stipulati nel 2015, 186.000 nuovi occupati rispetto al 2014 (dati INPS) 48 TIRABOSCHI M., Jobs Act, il più costoso dei flop, in Panorama, 12/2016

professionali spendibili nella transizione in altre occupazioni, in un mercato del lavoro improntato sul sistema di flexsecurity, dove appunto la transizione da un’occupazione all’altra è possibile e assistita da interventi e strutture di ricollocazione che però, ad oggi, pur previste ed enunciate (d.lgs. 150/2015) non sono attuate, lasciando viva la lacuna delle politiche attive del lavoro e sostanziando un sistema di flexsecurity monco, in cui alla flessibilità, in entrata nel mercato del lavoro, ma ormai soprattutto in uscita da esso, non si accompagna ad oggi la componente della sicurezza nel mercato del lavoro49. Un secondo effetto potrebbe essere quello dell’aumento dei costi a titolo di sussidi di disoccupazione, conseguente alla perdita delle occupazioni al termine del periodo triennale dell’incentivo, anche questo a carico della fiscalità generale.

A questo proposito significativa è la preoccupazione non taciuta dalla Corte dei Conti (sezione del controllo sugli enti) nella Determinazione e relazione sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (INPS) per gli esercizi 2013 e 2014, al paragrafo 6, in merito alle entrate contributive dell’ente: “Sull’andamento delle entrate contributive occorrerà peraltro valutare gli effetti nel 2015 della recente adozione di interventi di esonero contributivo per le nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato previsti dalla legge di stabilità 2015 (legge 190 del 2014, articolo unico, commi da 118 a 124), e dalle disposizioni del d. lgs. n. 81/2015; infatti qualora da tali misure non derivi un effettivo aumento occupazionale – e le nuove assunzioni siano ascrivibili a mere trasformazioni

49 Si riporta qui la definizione di flexsecurity (flexicurity) di P. Ichino in “Il lavoro spiegato ai ragazzi”, Mondadori, 2013, “è il modello di organizzazione del mercato del lavoro sperimentato e affinato soprattutto nei paesi scandinavi, consistente nella combinazione di una grande flessibilità delle strutture produttive (…) con una grande sicurezza economica e professionale del lavoratore nel caso di perdita del posto di lavoro: sicurezza data da un robusto sistema di sostegno del reddito nel periodo di disoccupazione e da un meccanismo efficace di assistenza nella ricerca della nuova occupazione, riqualificazione professionale mirata alle opportunità di lavoro effettivamente esistenti, assistenza anche nella mobilità geografica del lavoratore e della sua famiglia, quando questo è necessario per la migliore soluzione del problema lavorativo (…). Il modello della flexicurity si contrappone al cosiddetto “modello mediterraneo di mercato del lavoro, caratterizzato invece da una forte protezione giuridica della stabilità del posto di lavoro (…), dalla minore efficienza dei servizi nel mercato del lavoro, dalla conseguente maggiore difficoltà, per chi viene licenziato, di ritrovare un posto di lavoro, che a sua volta genera una maggiore severità dei giudici nel proteggere i lavoratori contro i licenziamenti, quindi un apiù marcata stabilità effettiva dei posti di lavoro, che comporta una maggiore rigidità numerica per l’impresa. L’Unione Europea ha ripetutamente raccomandato ai propri Stati memebri di adottare politiche del lavoro ispirate al modello della flexcurity).

della durata e della natura contrattuale di rapporti in essere – il mancato introito di risorse proprie per effetto della decontribuzione richiederebbe un ulteriore incremento di trasferimenti dal settore pubblico la cui provvista ricadrebbe sulla fiscalità generale. Inoltre, tenuto conto del periodo massimo di trentasei mesi di durata dell’esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, la scadenza delle agevolazioni potrebbe determinare un incremento delle cessazioni dei rapporti di lavoro – instaurati o trasformati in funzione della decontribuzione – con conseguente ricorso alle prestazioni a sostegno al reddito e all’adozione di misure per la ricollocazione dei lavoratori”.

Quale quindi il vantaggio speculativo di lungo periodo che fonda la scelta di fornire incentivi all’occupazione di tale portata, anziché, ad esempio intervenire in termini di fiscalità sui redditi d’impresa? Quello di aver ricondotto in un tempo un grande numero di rapporti di lavoro “precari” nell’alveo della tipologia contrattuale del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e sotto la disciplina del contratto a tutele crescenti, che è come dire sotto la nuova disciplina sanzionatoria dei licenziamenti illegittimi ex d. lgs 23/2015. O ancora quello di aver soddisfatto l’intento di dare una “scossa” positiva al mercato del lavoro (si pensi ad esempio alla completa liberalizzazione dalle causali nel contratto a termine attuata dal d.l. 34/2014, provvedimento che un po’ ha preso di sorpresa quando è stato adottato) confidando in una consequenziale virtuosa messa in moto dell’economia con siffatte assunzioni e alla ripresa dei consumi, confidando, forse, più sull’impatto emotivo che su quello fattuale lavoristico.