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LA NOVITÀ DELLA CLAUSOLA (LEGALE) DI STABILIZZAZIONE

TIPOLOGIE CONTRATTUALI DI LAVORO SUBORDINATO

2.3 IL CONTRATTO DI APPRENDISTATO

2.3.1. IL CONTRATTO DI APPRENDISTATO NELLA RIFORMA FORNERO

2.3.1.3. LA NOVITÀ DELLA CLAUSOLA (LEGALE) DI STABILIZZAZIONE

(mantenimento in servizio)

Come accennato sopra, la legge 92/2012 introduce un nuovo vincolo in capo al datore di lavoro (sia pur limitatamente ai quei datori che occupino almeno 10 dipendenti) che voglia procedere ad una “nuova” assunzione con contratto di apprendistato. Si tratta di un “onere di stabilizzazione”, ovvero di mantenimento in servizio tramite assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, di una determinata percentuale di apprendisti il cui contratto sia scaduto nei 36 mesi precedenti la assunzione che si intende effettuare. Tale onere opera quale vera e propria condicio sine qua non per poter stipulare un ulteriore contratto di apprendistato. Il legislatore, cioè, ha voluto impedire un uso “strumentale” del contratto di apprendistato, tale per cui un datore possa massimizzare la fruizione dei benefici economici e normativi propri del contratto di apprendistato, andando ad assumere “nuovo” personale con tale tipologia contrattuale, senza invece soddisfare la perdurante domanda di lavoro della sua impresa con l’impiego del personale, ex apprendista, come pure ben potrebbe fare, andandolo a stabilizzare al termine del periodo formativo. La legge di riforma ha voluto evitare il turn-over funzionale al solo godimento dei benefici, e al tempo stesso ha inteso fornire

una misura che intende agevolare, a favore del lavoratore ex apprendista ed ormai qualificato, una prospettiva di stabilità dell’impiego, anche in considerazione della sussistente necessità, in quell’impresa, di personale, attestata dal fatto che il datore sarebbe pronto ad effettuare nuove assunzioni. Inoltre, la legge di riforma ha inteso massimizzare l’investimento speso nella formazione del lavoratore nel corso del suo periodo di apprendistato, evitando che un tale professionalità possa rischiare di andare sprecata e dispersa, anziché proficuamente impiegata là dove è richiesta, e cioè nella stessa impresa che, pur potendo usufruire di un lavoratore già formato confermandolo in servizio al termine del periodo di formazione, sceglie di non stabilizzarlo per favorirgli un qualsiasi altro lavoratore (non qualificato né specializzato per quella mansione), preferendo all’avere alle proprie dipendenza un lavoratore esperto, averne uno che invece tale non sia, per poter così stipulare un contratto di apprendistato, allettata dalla possibilità di poter continuare a godere degli speciali incentivi propri di tale tipologia contrattuale. È pur vero che quanto detto potrebbe risultare non praticabile per mansioni non elementari che richiedano una professionalità la cui costruzione comporta investimento e dedizione e che quindi un datore che in tali termini abbia operato preferirebbe “tenersi stretto” il lavoratore che lui stesso ha formato, ed in particolar modo nel momento in cui questi sia finalmente in grado di mettere a frutto la professionalità acquisita; nondimeno, l’applicazione del diritto del lavoro tende a minimizzare i costi che da questo derivano e non si potrebbe sostenere che un’esperienza di turn-over non si sia mai avuta nella pratica. La legge 92/2012 tronca ogni possibilità di utilizzo strumentale del contratto di apprendistato, disponendo che un datore che non abbia “stabilizzato” (ovvero confermato in servizio, al termine del periodo formativo) almeno una certa percentuale di (ex) apprendisti in un arco temporale che risale indietro fino a 36 mesi rispetto alla nuova assunzione che si voglia fare, non possa procedere all’assunzione di “nuovi” apprendisti. A tale datore quindi la legge preclude la possibilità di soddisfare le esigenze di personale andando ad assumere apprendisti “ex novo”, qualora ve ne siano altri che, formati dalla stesso datore, potrebbero essere stabilizzati al termine del periodo formativo. La legge contempera tale gravame prevedendo una limitazione: non pretende infatti la stabilizzazione di “tutti” gli (ex) apprendisti, ma circoscrive la portata ostativa del vincolo prescrivendo la

stabilizzazione di una percentuale dei precedenti apprendisti, e ulteriormente differenziando quest’ultima in due periodi, uno “sperimentale” (di 36 mesi dall’entrata in vigore della riforma, e cioè a partire dal 18 luglio 2012) ed uno “a regime”. Per il primo, la percentuale di conferma si assesta al 30%, mentre a regime, la percentuale sarà del 50%. Fino al 17 luglio 2015, quindi un datore (che abbia o che abbia avuto alle sue dipendenze degli apprendisti) e che intenda procedere ad un’ulteriore assunzione in apprendistato, dovrà verificare, tra le altre cose (ad esempio l’accertamento del numero massimo di apprendisti assumibili, rispetto al personale specializzato e qualificato già in forze), di aver mantenuto in servizio, in un arco temporale che risale indietro nel tempo di 36 mesi dalla assunzione che si intende effettuare, al termine del periodo formativo (quando avrebbe avuto la facoltà di recedere dal contratto senza dover addurre alcuna giustificazione, nel solo rispetto del termine di preavviso), una percentuale pari al 30 degli apprendisti assunti, e, con decorrenza dal 18 luglio 2015, una percentuale pari al 50%. Non concorrono nel calcolo di tali percentuali i lavoratori il cui contratto di apprendistato sia cessato per un motivo diverso dalla mancata stabilizzazione al termine del periodo formativo (ovvero per esercizio della facoltà di recesso da parte del datore di lavoro), e cioè: il lavoratori il cui rapporto sia cessato durante il periodo di prova; o per dimissioni del lavoratore; o per licenziamento per giusta causa. A ben vedere, si tratta di ipotesi di cessazione che non compromettono l’utilizzo della professionalità che il contratto di apprendistato consente di acquisire, e proprio perché avvengono in momenti tutti antecedenti il conseguimento della formazione e della professionalità, che, non essendosi compiuta e non essendo nemmeno stata conseguita, non rischia di andare sprecata. Il legislatore quindi non pretende il rispetto delle percentuali sul totale degli apprendisti pregressi “assunti”, ma solo su quelli che oltre ad essere stati assunti abbiano anche conseguito la formazione, cosa che non si verifica nei casi di cessazione del contratto di apprendistato durante il periodo di prova (istituto che consente il recesso il cui fine è proprio quello di testare le attitudini alla mansione del lavoratore immediatamente rilevabili), e quello per giusta causa, in cui comunque non si è giunti al termine del periodo di formazione, in coerenza con la ratio della norma che è quella di predisporre le condizioni per una qualche prospettiva di piena occupabilità a favore di quei lavoratori che una qualifica o una specializzazione, proprio grazie al contratto di

apprendistato l’abbiano già conseguita; nonché quella di un proficuo utilizzo e massimizzazione delle risorse (pubbliche) destinate alla formazione professionale.

Quanto detto, ovvero l’introduzione da parte della legge di riforma di un vincolo di stabilizzazione la cui fonte è una norma di legge, trova applicazione solamente nella imprese di maggiori dimensioni, che occupino almeno dieci unità. Le imprese che occupano fino a nove lavoratori, potranno procedere all’assunzione di nuovi apprendisti indipendentemente dal rispetto o meno di tale clausola di stabilizzazione, che nei loro confronti non trova applicazione, e con la sola accortezza di soddisfare l’altro requisito di legittimità dell’assunzione in apprendistato, ovvero il rispetto del parametro tra apprendisti e maestranze specializzate o qualificate già in forze, che nelle imprese (non artigiane) fino a nove lavoratori deve essere di 1 a 1.