• Non ci sono risultati.

IL RUOLO DELLE COMMISSIONI DI CERTIFICAZIONE

L’istituto della certificazione dei contratti è stato introdotto nell’ordinamento ad opera del d. lgs. 276 del 10 settembre 2003 (art. 75) in attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro previste dalla legge delega c.d. Biagi del 14 febbraio 2003 n. 30 e successivamente, nel 2010, rivisto dal cosiddetto “Collegato Lavoro”, che ne ha ampliato la portata applicativa, prevedendo la possibilità che oggetto della certificazione fossero non più solo le tipologie contrattuali (e le rinunce e transazioni ex art. 2113 c.c., il regolamento interni delle cooperative, i contratti di appalto e di somministrazione), ma anche le singole clausole. Si tratta di un istituto la cui ragion d’essere è la specifica finalità di deflazionare il carico contenzioso in sede giudiziale prevenendo ed eliminano sul nascere quelle potenziali controversie aventi ad oggetto la qualificazione giuridica del contratto. Lo strumento per realizzare ciò è appunto la certificazione del contratto intercorrente tra le parti, una procedura volontaria, ad istanza comune delle parti del contratto di lavoro, da effettuare in sede extragiudiziale ad opera degli appositi organi, le Commissioni di certificazione, e che assicura una definizione rapida della pratica, in quanto va conclusa entro 30 giorni dal ricevimento dell’istanza. Per mezzo della certificazione la Commissione, o comunque l’organo certificatore, verifica e attesta la coincidenza della fattispecie astratta di rapporto di lavoro riprodotta nel contratto cartolare con le modalità di svolgimento di fatto del rapporto stesso come dichiarate dalle parti. Si tratta di un procedura volontaria in cui entrambe le parti del contratto di lavoro concordemente si rivolgono alla Commissione per ripetere e confermare in quella sede la volontà di condurre quello specifico contratto cartolare e gli effetti civili, amministrativi, previdenziali e fiscali che ne conseguono (e che a pena di

improcedibilità dell’istanza devono essere stati in essa indicati) e al fine di dare certezza pubblica alla qualificazione del contratto. Questo significa che la qualificazione così accertata dalla Commissione di certificazione è opponibile ai terzi e non è contestabile dagli organi ispettivi. Unica via per rimuoverla è l’azione in giudizio. La non contestabilità della qualificazione certificata del rapporto di lavoro tra le parti mette a riparo il datore da ogni pretesa che gli organi ispettivi dovessero ritenere di contestare, rimanendo come unica via, per rimuovere gli effetti delle certificazione, l’azione giudiziale esperendo ricorso presso il giudice del lavoro. “Tutti son o d’accordo che la certificazione sia un atto amministrativo, di carattere qualificatorio, autonomo rispetto al contratto. La certificazione altro non è che un’operazione di riconduzione di un determinato contratto di lavoro all’interno di una delle tipologie contrattuali previste dalla legge, al fine di fissarne la disciplina giuridica e conseguentemente, gli effetti del rapporto che ne scaturisce. Più in particolare si ritiene che la certificazione sia una certazione e cioè un atto amministrativo, dotato di efficacia imperativa, tramite il quale la qualificazione del contratto in esso contenuta assume la forza giuridica della certezza pubblica. Tale qualificazione dunque si impone nell’ordinamento cosicché tutti – le parti del contratto ed i terzi nei confronti dei quali l’atto è destinato a produrre effetti - sono tenuti ad assumerla come conforme all’ordinamento”40. “L’atto di certificazione è un provvedimento amministrativo di certazione che non accerta uno stato di fatto, ma qualifica il rapporto determinando così le conseguenze giuridiche del comportamento contrattuale delle parti”41, ovvero la disciplina applicabile lavoristica, previdenziale e fiscale. La qualificazione riconosciuta al contratto dalla Commissione vincola e permane fino a quando, presentato un ricorso giudiziale, non venga emessa dall’A.G. una sentenza di merito con la quale il giudice sussuma il contratto sottoposto a suo giudizio, in una diversa fattispecie astratta. Nel caso in cui la commissione riscontri che non vi sono discrepanze tra il contratto cartolare e la volontà dichiarata davanti ad essa dalle parti riguardo al contratto stipulato o da stipulare e alla disciplina applicabile che da esso discende, emette un provvedimento di certificazione, che produce l’effetto di

40 CARINCI M.T., Le funzioni della certificazione, in Diritto & Pratica del lavoro, 22/2009 41 GHERA E. , La certificazione dei contratti di lavoro, in DE LUCA TAMAJO, RUSCIANO, ZOPPOLI (a cura di), Mercato del lavoro,riforma e vincoli di sistema dalla legge 14 febbraio 2003 n. 30 al decreto legislativo 10 settembre 2003 n. 276, Esi, Napoli, 2002, 282

rendere incontestabile, da chi è parte nel contratto di lavoro, ma anche da parte di tutti i terzi, la natura giuridica del contratto stesso, ovvero la sua qualificazione, e conseguentemente la disciplina nel cui rispetto deve essere gestito.

Si consideri proprio il caso dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa, della cui stabilizzazione si occupa l’art. 54 del d. lgs. 81/2015. Spesso sono utilizzati a fini elusivi proprio per realizzare il minor carico del costo del lavoro in capo al committente/datore di lavoro, eludendo la disciplina lavoristica e previdenziale che consegue al nomen juris “contratto di lavoro subordinato” ed applicando invece quella, meno costosa in termini di oneri contributivi, prevista per il contratto cartolare “co.co.co.”. Qualora invece l’intento non fosse elusivo, alle parti, e in special modo al committente, converrebbe ricorrere alla procedura di certificazione per far accertare la genuinità della collaborazione e conseguire, tramite il provvedimento di certificazione, un’attestazione di corrispondenza tra il contratto cartolare e quello condotto di fatto, e, quindi, conseguentemente, l’incontestabilità della qualificazione certificata, almeno fino a sentenza di merito. Fino ad allora, le parti e tutti i terzi permangono vincolati alle risultanze della certificazione, che determina l’incontestabilità della natura certificata del contratto fino al momento in cui sia stato accolto un ricorso giurisdizionale.

L’art. 54 del d. lgs. 81/2015 incentiva e consente “ora per allora” la qualificazione del pregresso rapporto di lavoro autonomo o parasubordianto già intercorso o intercorrente tra le parti e che le stesse vogliono stabilizzare convertendolo in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Consente difatti la possibilità che le parti sottoscrivano atti di conciliazione in una delle sedi di cui all’art. 2113 del codice civile o avanti alle commissioni di certificazione, in riferimento a tutte le possibile pretese riguardanti la qualificazione del pregresso rapporto di lavoro e con cui il lavoratore rinuncia ad ogni pretesa ad esso relativa. “La conciliazione, qui intesa come transazione, atteso che alla rinuncia alla pretesa vantata da parte del lavoratore corrisponde per il medesimo l’acquisizione del beneficio dell’assunzione a tempo indeterminato, dovrà essere connotata dal requisito dell’inoppugnabilità, essendo previsto che la stessa avvenga, ai sensi dell’art. 2113 c. 4, c.c., in sede giudiziale,

amministrativa o sindacale, ovvero innanzi alle commissioni di certificazione”42 L’incentivo alla stabilizzazione è dato dall’effetto che da tale stabilizzazione43 (possibile solo se preceduta dall’atto di conciliazione, cui deve quindi collaborare il lavoratore) consegue: l’estinzione degli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali connessi all’erronea qualificazione del rapporto di lavoro. Si realizza così una sorta di sanatoria “tombale”. Eventuali illeciti pregressi correlati all’erronea o scorretta e strumentale gestione del rapporto di lavoro non saranno più contestabili. La sanatoria, e la precedente necessaria sottoscrizione dell’atto di conciliazione, devono avvenire prima che un accesso ispettivo rilevi eventuali illeciti, non potendo più in questo caso essere sanati. È del tutto evidente quindi l’interesse del committente datore di avviare la procedura di stabilizzazione, preceduta dalla necessaria preventiva sottoscrizione dell’atto di conciliazione, prima di un eventuale accesso ispettivo, al fine di mettersi al riparo da eventuali contestazioni e conseguire l’estinzione degli illeciti che eventualmente vi fossero stati qualora la collaborazione non fosse stata o non fosse genuina ma solo strumentale all’elusione della normativa giuslavoristica e previdenziale.

L’art. 54 consente che si consegua l’effetto dell’estinzione degli illeciti, sul presupposto che vi sia stata la sottoscrizione dell’atto di conciliazione, il che vuol dire che questo sia stato sottoscritto necessariamente anche dal lavoratore, rimettendosi la genuinità del rapporto autonomo e parasubordinato oggetto dell’atto di conciliazione al fatto che anche il lavoratore sia concorde nel riconoscerla, altrimenti ben potendosi rifiutare di sottoscrivere l’atto di conciliazione.

Rimane una riflessione in merito al rapporto di forza tra le parti (lavoratore e committente-datore), considerando il quale spesso il lavoratore è in un situazione di “soggezione”, in cui il consenso alla conciliazione correrebbe il rischio di essere ”estorto” o imposto dal committente. Rileva qui tutta l’abilità e la professionalità delle commissione di certificazione che, pur con il limite di non disporre di poteri istruttori,

42 FOGLIA L., La stabilizzazione delle collaborazioni a progetto, in ZILIO GRANDIG. BIASI M. op. cit., 597

43 Tale possibilità di stabilizzazione non è una novità assoluta nell’ordinamento giuslavoristico: una misura analoga era già stata prevista dall’art. 7 bis della l. 99/2013 in materia di associazione in partecipazione, e ancora prima dall al. 296/2006 in merito alla collaborazioni a progetto.

ben può rendersi conto della effettiva corrispondenza di quanto dichiarato con la realtà di fatto e decidere di procedere o meno con l’atto di conciliazione.

A fronte del sicuro vantaggio in capo al committente-datore, nel caso della stabilizzazione prospettata dall’art. 54 del d. lgs. 81/2015 un vantaggio sembrerebbe profilarsi anche a favore del lavoratore. Questi infatti, a condizione che sottoscriva l’atto di conciliazione per la qualificazione del pregresso rapporto di lavoro autonomo o parasubordinato intercoso con colui che ora vorrebbe stabilizzarlo e dia quindi il via libera alla stabilizzazione, vede più che concreta la possibilità appunto di essere stabilizzato per il tramite di un’assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Quanto a lungo poi durerà tale stabilizzazione è rimesso, anche, alla strategia resa possibile dal d. lgs. 23/2015 che ha ricondotto la disciplina sanzionatoria del licenziamento illegittimo, nella maggior parte dei casi, alla mera corresponsione di un’indennità in denaro. Ad ogni modo, l’art. 54 impone una durata minima di mantenimento del contratto come secondo requisito per conseguire l’effetto dell’estinzione degli illeciti, durata di almeno i dodici mesi successivi all’assunzione, ponendo la seconda condizione che i datori non recedano dal rapporto di lavoro prima di dodici mesi dall’assunzione, e facendo salvi i soli casi di licenziamento intimato per giusta causa o giustificato motivo soggettivo.