TIPOLOGIE CONTRATTUALI DI LAVORO SUBORDINATO
2.3 IL CONTRATTO DI APPRENDISTATO
2.4.2. IL LAVORO OCCASIONALE ACCESSORIO NELLA RIFORMA FORNERO La legge 92 del 2012 si è occupata delle prestazioni di lavoro occasionale di tipo
2.4.2.1 IL NUOVO LIMITE, ECONOMICO, QUALE UNICO PARAMETRO
DELL’OCCASIONALITÀ (5000, 2000, 3000 euro)
La riforma Fornero elimina le causali soggettive ed oggettive, conseguentemente ampliando le possibilità di ricorrere al lavoro occasionale accessorio119, e, innovando,
118 NATALINI F., in Riforma del lavoro, a cura di PELLACANI G., Giuffrè, 2012, in materia di requisiti soggettivi ricorda il d. l. 112/2008, e precisa che la riforma Fornero ”NON ha inciso sul versante dei soggetti che possono prestare attività di lavoro accessorio. Infatti, già dopo l’intervento del d.l. 112/2008” recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria “il lavoro accessorio non era più prerogativa di determinate categorie (disoccupati, casalinghe, studenti, pensionati, disabili e soggetti in comunità di recupero, extracomunitari), ma diventava una modalità di lavoro praticabile erga omnes. La riforma ha invece inciso sui soggetti che possono rivestire il ruolo di beneficiari” e “ lo ha fatto in modo indiretto, agendo (in riduzione) sull’importo massimo erogabile (…) quando esse sono rivolte a determinate categorie di committenti”.
119 L’art. 1, comma 32, lett. a) della legge 92/2012 ha generalizzato la possibilità di ricorso a prestazioni di lavoro occasionale accessorio da parte delle Pubbliche Amministrazioni. Nella scrittura originaria del d. lgs. 2766/2003 (art. 70 lett. c) e lett. e)) questa era ammessa solo in relazioni a prestazioni di “pulizia e manutenzioni di edifici e monumenti e allo svolgimento di lavori di emergenza, come quelli dovuti a calamità o eventi naturali improvvisi, o di solidarietà”. L’A. continua rilevando che “la circostanza che questa progressiva estensione abbia avuto luogo contemporaneamente all’introduzione della possibilità di impiegare con il lavoro accessorio anche le categorie più colpite dalla mancanza o dalla perdita del lavoro e i part‐timers induce a ritenere che l’obiettivo del legislatore sia stato quello di permettere alle P.A. di recuperare margini di flessibilità operativa in un periodo di stringenti vincoli assunzionali e, insieme, di mitigare gli effetti
prevede quale unico criterio per la legittima instaurazione di rapporti di lavoro occasionale accessorio il rispetto di un solo requisito, economico. Così facendo, pone termine alle incertezze che precedentemente avevano minato il ricorso al lavoro occasionale accessorio, gravato dall’incognita se la qualificazione delle prestazioni rese fosse effettivamente di “occasionali e accessorie”. L’intervento di riforma supera l’empasse della qualificazione delle prestazioni, e riconduce la qualificazione quale “lavoro occasionale accessorio” all’unico criterio economico: tutte le prestazioni di lavoro rese da parte di un lavoratore e retribuitegli, da uno o più committenti, per mezzo di buoni lavoro sono da qualificarsi come prestazioni di lavoro occasionale accessorio fintanto che non superino il limite, economico, di 5000 euro netti, nel corso di un anno solare. Il contenimento dei compensi pagati a mezzo buoni lavoro da uno o anche più committenti e percepiti da uno stesso lavoratore entro il limite massimo di 5000 euro qualifica le prestazioni rese quali prestazioni di lavoro occasionale accessorio, prescindendo da ogni altre indagine sulla natura subordinata o autonoma del rapporto di lavoro come anche sul rispetto di vincoli (soggettivi ed oggettivi) oramai non più vigenti.
L’intento della riforma è stato dunque quello di “restringere il campo di applicazione dell’istituto e restituirlo alle sue originarie finalità”120 e di semplificare il ricorso alle prestazioni di lavoro occasionale accessorio, liberalizzandole dal rispetto dei requisiti soggettivi ed oggettivi e riportando la qualificazione nell’alveo del lavoro occasionale accessorio al solo verificarsi del pagamento del compenso a mezzo buoni lavoro e fino ai limiti massimi di 5000 euro nel corso di un anno solare.
L’intervento di riforma ha anche inteso reprimere possibili abusi nel ricorso a prestazioni di lavoro occasionale accessorio. Se da un lato ha liberalizzato rendendo possibile ricorrere a prestazioni di lavoro occasionale accessorio a prescindere dalla sussistenza di requisiti oggettivi e soggettivi, dall’altro non ha tralasciato di osteggiare possibili utilizzi strumentali di tale istituto finalizzati all’elusione della normativa
occupazionali della crisi (soprattutto sulle comunità locali). (…) è molto probabile che l’intento del legislatore fosse quello di disporre di uno strumento anticiclico non dissimile dai programmi di lavori socialmente utili o di lavori di pubblica utilità già noti all’esperienza italiana.
120 LAMBERTI M., in Il nuovo mercato del lavoro, a cura di CINELLI, FERRARO, MAZZOTTA, Giappichelli, 2013, 183
propria del lavoro subordinato. Ha previsto che il limite dell’importo massimo di 5000 euro dei compensi sia da intendere quale sommatoria dei compensi corrisposti da parte dell’unico committente, ma anche da parte della totalità dei committenti, nel caso in cui questi siano più di uno. Non è quindi più possibile che un lavoratore, per ogni anno solare, percepisca compensi, a titolo di remunerazioni di lavoro occasionale accessorio, per importi superiori a 5000 euro, costituendo questo il limite massimo. Se previsto un compenso superiore a tale cifra o che comunque, se sommato ai compensi che lo stesso lavoratore ha entro l’anno solare ancora in corso ha già percepito, vada a superare tale limite massimo, la parti dovranno optare per una diversa tipologia di lavoro, non risultando più legittimamente praticabile, appunto per il mancato rispetto del limite, unico rimasto, economico, il ricorso a prestazioni di lavoro occasionale accessorio. Con l’introduzione del criterio economico, il legislatore pone termine alle incertezze derivanti dall’interpretazione circa la qualificazione di “meramente occasionali” o meno delle prestazioni. Non ha più motivo di esistere l’attività di qualificazione di una prestazione tesa ad accertare se questa fosse effettivamente occasionale; la sussistenza del carattere dell’occasionalità è ora collegata ad un unico criterio, economico (5000 euro quale limite massimo dei compensi percepibili), per sua natura matematico e quindi scevro da ogni incertezza in quanto non soggetto ad interpretazione, ma unicamente soggetto alla verifica circa la sua sussistenza o meno. Il Ministero del Lavoro con la circolare n. 4 del 18 gennaio 2013 ha esplicitato che “la nozione di lavoro accessorio appare oggi correttamente delineata proprio dal riferimento quantitativo al compenso annuale in capo al lavoratore e non più al committente, circostanza questa che finisce per assumere una valenza definitoria dell’istituto”. Il carattere dell’occasionalità del lavoro legittimamente pagabile con voucher è quindi dato dal mantenimento dei compensi entro l’importo massimo di 5000 euro, non più valendo alcun altro criterio. L’adozione dell’unico parametro, economico, ai fini della qualificazione dell’occasionalità, oltre che rendere più semplice l’utilizzo del lavoro occasionale accessorio sgombrando il campo dall’intralcio dell’interpretazione, ha anche contribuito, come era nelle intenzioni del legislatore della riforma Fornero, a limitare l’utilizzo del lavoro occasionale accessorio alle ipotesi di lavoro effettivamente tali. In particolare, questo ultimo intento è soddisfatto dall’aver disposto che il limite del compenso
massimo è da intendersi quale sommatoria dei compensi complessivamente percepiti da tutti i committenti , e non quale massimale percepibile da ciascun committente. Questo impedisce che di tale istituto possa abusare sia la committenza, che utilizzando il lavoro occasionale accessorio si sgrava delle incombenze amministrative di gestione del lavoro subordinato, e sia lo stesso lavoratore, considerato che le somme percepite quale compenso sono esenti da imposizione fiscale e non incidono sullo status di disoccupazione.
Quanto detto, vale in via generale; il legislatore ha difatti predisposto discipline specifiche in deroga alla disciplina generale e da questa differenziandole in considerazione della attività lavorativa da prestare o della figura del committente. Così, nel caso in cui committente sia un imprenditore commerciale o un professionista, il limite economico viene ulteriormente regimato entro il tetto massimo di 2000 euro e fermo il limite generale di 5000 percepibile dalla totalità dei committenti in capo ad uno stesso lavoratore. Il che vuol dire che, fermo il limite del compenso complessivamente “percepibile” dal un lavoratore (5000 euro netti), viene introdotto un ulteriore limite, questa volta al compenso “erogabile” da un committente (2000 euro) qualora questi sia un “imprenditore commerciale” o un “professionista”. Se imprenditore commerciale o professionista, quindi, il committente non potrà avvalersi di prestazioni di lavoro occasionale accessorio di un singolo lavoratore che comportino la corresponsione a tale lavoratore di un compenso superiore a 2000 euro, costituendo questa cifra l’importo massimo pagabile, a ciascun lavoratore, da parte di un committente imprenditore commerciale o professionista. Quanto detto tuttavia non compromette la possibilità che tale committente si avvalga di prestazioni di lavoro occasionale accessorio anche per importi che complessivamente superino il limite dei 2000 euro, nulla impedendogli di commissionare le prestazioni di lavoro a più lavoratori, e avendo l’accortezza di retribuire ciascuno di loro con compensi pari, al massimo, a 2000 euro. In merito alla qualificazione del committente quale imprenditore “commerciale”, la circolare ministeriale n. 18 del 2012, chiarisce che come tale debba intendersi “qualsiasi soggetto, persona fisica o giuridica, che opera su un determinato mercato, senza che l’aggettivo “commerciale” possa in qualche modo circoscrivere l’ambito settoriale dell’attività di impresa alle attività di intermediazione nella circolazione dei beni”.
La seconda deroga è inerente al tipo di attività esercitata: difatti, se svolte in agricoltura, le prestazioni di lavoro occasionale accessorio sono lecite solo per le attività agricole di carattere stagionale (che possono essere svolte solo da pensionati o giovani studenti con meno di 25 anni di età che siano anche studenti compatibilmente con gli impegni scolastici oppure in qualsiasi periodo dell’anno se siano universitari); e se svolte a favore di committenti produttori agricoli che nell’anno solare precedente hanno realizzato un volume di affari non superiore a 7000 euro o che questo stesso volume d’affari prevedono di realizzare nel caso si tratti di avvio di nuova attività. A differenza di quanto prevedeva la disciplina previgente, la riforma esclude che le attività agricole di carattere stagionale possano essere prestate da casalinghe.
Se da un lato l’aver fatto derivare la qualificazione di occasionalità dall’unico criterio economico ha reso più agevole l’utilizzo di queste prestazioni liberando il campo dall’ingombro di ogni interpretazione in merito, dall’altro ha tuttavia originato una criticità data dalla mancanza di certezza assoluta in merito al rispetto del parametro economico stesso. In altre parole, nel caso in cui non sia l’unico, il committente non conosce quanto il lavoratore abbia già percepito a titolo di compenso da parte di altri committenti per prestazioni di lavoro occasionale accessorio, e questo potrebbe esporlo al rischio che tale limite sia già stato superato o venga superato per effetto della corresponsione del compenso proprio da parte sua. E di rischio vero e proprio si tratta, in considerazione delle conseguenze sanzionatorie che la legge prevede in conseguenza della violazione del limite massimo del compenso complessivamente percepibile e che la circolare n. 4 del 2013 esplicita: la “trasformazione del rapporto in quella che costituisce la “forma comune di rapporto di lavoro”, ossia in un rapporto di natura subordinata a tempo indeterminato, con applicazione delle relative sanzioni civili e amministrative”, che pur parrebbe mitigata dal venire applicata solo nel caso in cui il lavoratore occasionale sia ingaggiato da un’impresa o da un lavoratore autonomo per lo svolgimento di attività le cui mansioni siano “veramente fungibili con le prestazioni rese da altro personale già dipendente dell’imprenditore o del professionista”. Pur così circoscritta nella sua operatività, la sanzione della conversione del rapporto occasionale accessorio in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato è di sicuro rilievo. Al fine di tutelarsi assicurandosi il legittimo utilizzo dell’istituto, il committente può
chiedere che il lavoratore gli rilasci un’autodichiarazione (ex art. 46, c. 1, lett. o) del D.P.R. 445/2000) con la quale il lavoratore dichiari, rendendolo conoscibile al committente, quanto già abbia percepito a titolo di compenso per prestazioni di lavoro occasionale accessorio. In questo modo, il committente è messo nella condizione di poter calcolare per quante ore residue potrà impiegare quel lavoratore, e cioè tante quante al raggiungimento del limite massimo complessivo di 5000 euro. Nel caso di falsa dichiarazione resa dal lavoratore, ovvero quando il lavoratore dichiari di aver percepito somme inferiori a quelle effettivamente riscosse, il committente non è sanzionabile, considerata l’impossibilità di conoscere l’effettivo importo riscosso e, conseguentemente, il residuo utilizzabile, potendo egli fare affidamento solo sulla dichiarazione resagli dal lavoratore. Pienamente responsabile il committente sarà invece nel caso in cui utilizzi il buono lavoro oltre il termine massimo dei 30 giorni successivi all’acquisto: la prestazione di lavoro resa verrà considerata “lavoro nero” comportando la conversione del rapporto in un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, oltre alle altre sanzioni civili ed amministrative.