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PROSECUZIONE DI FATTO E SUCCESSIONE DI PIÙ CONTRATTI A

TIPOLOGIE CONTRATTUALI DI LAVORO SUBORDINATO

2.1. IL CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO

2.1.3. IL CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO NELLA RIFORMA FORNERO

2.1.3.4. PROSECUZIONE DI FATTO E SUCCESSIONE DI PIÙ CONTRATTI A

TERMINE (art. 5)

Un ulteriore ambito in cui è intervenuta la legge di riforma 92/2012 è quello della disciplina della prosecuzione di fatto del contratto al termine dopo la sua scadenza. La l. 92/2012 procede in continuità con la legge 24 giugno 1997 n. 196 (cosiddetto “pacchetto Treu”), che aveva introdotto la possibilità che un contratto a termine potesse proseguire di fatto dopo la scadenza, e senza che questa prosecuzione di fatto comportasse la sanzione della conversione in contratto a tempo indeterminato. L’intento era quello di dotare l’ordinamento di uno strumento con cui fosse possibile ultimare le lavorazioni per le quali il lavoratore era stato assunto a termine e che si fossero poi prolungate oltre i termini previsti; come anche provvedere a soddisfare commesse che fossero state rinnovate dopo che il contratto a termine era già stato stipulato. La legge 196/97 prevedeva quindi dei periodi di “tollerabilità”, ovvero periodi durante i quali era tollerato che il rapporto di lavoro, pur scaduto il termine previsto nel contratto, potesse continuare e senza che questo comportasse la conversione in contratto a tempo indeterminato. I periodi di tollerabilità erano: di 20 giorni (se il contratto a termine aveva una durata inferiore ai 6 mesi) e di 30 giorni (nel caso il contratto a termine avesse avuto una durata superiore ai 6 mesi). A fronte di tale tolleranza, la legge, al primo comma dell’art. 5 d. lgs. 368/2001, imponeva una maggiorazione della retribuzione dovuta al lavoratore per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20% fino al decimo giorno successivo alla scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, e pari al 40% per ciascun giorno ulteriore.

La legge 92/2012 conferma tale impostazione e modifica, allungandone la durata, i periodi di tollerabilità della prosecuzione di fatto. Nella scrittura riformata dell’art. 5 c. 2, la prosecuzione di fatto del contratto a termine scaduto è possibile fino ad un massimo di 30 o di 50 giorni, a seconda che la durata del contratto fosse inferiore o superiore a 6 mesi. Impone però un nuovo onere, per altro senza dotarlo di alcuna

sanzione per il caso dell’inadempimento, in capo al datore di lavoro, al quale è fatto obbligo di comunicare al centro per l’impiego territorialmente competente che il rapporto continuerà oltre il termine che era già stato comunicato all’atto dell’assunzione. Non solo. Il datore dovrà effettuare tale comunicazione prima della scadenza del termine inizialmente fissato: il che vuol dire prima che la prosecuzione abbia luogo; e indicando altresì la durata della prosecuzione. La finalità della norma è antielusiva: si vuole evitare la prosecuzione “in nero” del rapporto di lavoro, che comporterebbe il mancato rispetto della normativa del lavoro in generale ed in particolare il mancato versamento delle contribuzioni ordinaria e addizionale. Rimane poi un dubbio, sembrando che una prosecuzione di fatto così regimata da obblighi di comunicazione circa la sua durata da effettuarsi prima che scada il contratto, somigli molto ad una proroga del contratto: ci si chiede quindi quale sarebbe la differenza tra questi due istituti e la si ravvisa nelle diverse durate possibili. Nel caso di proroga vera e propria essa sarebbe data dal limite massimo di durata del contratto a termine (che può essere quindi prorogato fino al raggiungimento del limite massimo di 36 mesi); nel caso di prosecuzione oltre il termine comunicata (prima della scadenza termine) al centro per l’impiego essa vedrebbe come limite massimo quello dei 30 o 50 giorni, oltre i quali l’ordinamento non tollera più la prosecuzione e si torna a considerare il contratto a tempo indeterminato dalla scadenza di detti termini.

La legge 92/2012 ha modificato anche il comma 3 dell’art. 5, prevedendo nuovi e più lunghi intervalli di tempo tra i contratti a termine in successione. Il che vuol dire che è possibile che uno stesso lavoratore venga assunto a termine da uno stesso datore con più successivi contratti a tempo determinato, ma affinché le assunzioni successive siano legittime è necessario rispettare determinati intervalli di tempo tra un contratto e l’altro, intervalli la cui durata è stabilita dalla legge. La riforma Fornero rende più severa la disciplina della successione di contratti a termine, allungando la durata dei periodi di intervallo e portandola da 10 e 20 giorni (come era prima della l.92/2012, a seconda che la durata del contratto scaduto fosse fino a sei mesi o superiore a sei mesi ) a 60 giorni e 90 giorni, confermando la sanzione in base alla quale in caso di mancato rispetto degli intervalli di tempo il secondo contratto si considera a tempo indeterminato.

La l. 92/2012 mitiga poi un tale irrigidimento della disciplina dei rinnovi, ovvero della possibilità di assumere uno stesso lavoratore con più contratti a termine successivi, attribuendo ai contratti collettivi (stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale) la facoltà di ridurre la durata degli intervalli. I contratti collettivi possono quindi “prevedere, stabilendone le condizioni, la riduzione dei predetti periodi, rispettivamente, fino a 20 giorni e 30 giorni, nei casi in cui”, però, “l’assunzione a termine avvenga nell’ambito di un processo organizzativo determinato dalle stesse particolari vicende della produzione per le quali è consentito alla contrattazione collettiva di individuare ipotesi ulteriori in cui il rapporto di lavoro a termine possa essere acausale, e cioè, ancora una volta: l’avvio di una nuova attività, il lancio di un prodotto o di un servizio innovativo, l’implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico, la fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo, il rinnovamento o la proroga di una commessa consistente. In caso di inerzia da parte della contrattazione collettiva nell’esercitare tale facoltà, la norma prevede che, decorsi 12 mesi dalla data di entrata in vigore della disposizione, sarà il Ministero del lavoro e delle politiche sociali a provvedere a individuare “le specifiche condizioni” in cui operano le riduzioni dei termini.