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IL NUOVO LIMITE ECONOMICO

TIPOLOGIE CONTRATTUALI DI LAVORO SUBORDINATO

2.3 IL CONTRATTO DI APPRENDISTATO

2.4.5. IL LAVORO (OCCASIONALE) ACCESSORIO NEL JOBS ACT

2.4.5.1. IL NUOVO LIMITE ECONOMICO

Il legislatore ha inteso rafforzare nel lavoro accessorio le potenzialità che questo tipologia contrattuale offre in termini di flessibilità a vantaggio del committente: si

123 RAUSEI P., Il lavoro accessorio, in TIRABOSCHI (a cura di) Le nuove regole del lavoro dopo il Jobs Act, Giuffrè, 2015, 267 ss

tratta di un istituto che condensa in sé i vantaggi di una gestione agevole del rapporto di lavoro (in quanto, almeno fino all’innovazione apportata proprio con il d. lgs. 81/2015, e che comunque sostanzialmente coincide con la comunicazione che già nella vigenza della precedente disciplina il committente doveva rendere all’INPS, con la sola variazione, nella disposizione del codice dei contratti, del soggetto ricevente, ora la DTL) non comporta, con la sola eccezione appunto della comunicazione di avvio del rapporto, adempimenti periodici con i relativi oneri. Costituisce uno strumento di sicura plasmabilità secondo le esigenze del committente, consentendo di ricorrere a manodopera in modo esattamente rispondente alla domanda, nei tempi e nella quantità, lasciando sgravato il committente che la utilizza dagli oneri propri di un rapporto di lavoro subordinato, magari part-time, con gli oneri che vi sono connessi, come ad esempio in caso di mantenimento del rapporto di lavoro pur nel caso di mancata soddisfazione del rapporto sinallagmatico per esempio in caso di malattia o gravidanza e puerperio. In capo al lavoratore offre comunque la possibilità di svolgere una qualche attività lavorativa, consentendogli di acquisire una pur qualche esperienza, e soprattutto di farlo in modo garantito e protetto, sia pur limitatamente all’accadimento di infortuni sul lavoro, il tutto senza che incida ai fini dell’imposizione fiscale o del mantenimento dei requisiti per il godimento dei trattamenti di integrazione del reddito.

La legge Biagi che in origine aveva introdotto questo istituto nell’ordinamento giuslavoristico italiano limitandone la fattibilità ai soli lavoratori con determinati requisiti di età o condizione (studenti o pensionati) intendeva rendere possibile occasioni di lavoro, e di lavoro regolare, in capo a soggetti che si affacciavano al mondo del lavoro o ne erano usciti.

Il d. lgs. 81/2015, preso atto della notevolissima diffusione nell’utilizzo di questo tipo di rapporto di lavoro, ne amplia ulteriormente le possibilità di utilizzo: conferma quale unico criterio per la qualificazione di prestazioni lavoro accessorio quello economico. Rispetto alle previsioni previgenti, tuttavia, innalza il tetto massimo degli importi complessivamente percepibili, in un dato periodo temporale anch’esso oggetto di revisione, a titolo di retribuzione delle prestazioni di lavoro accessorio. Il precedente limite era fissato, per la generalità dei casi, a 5000 euro: il d. lgs. 81/2015 lo innalza a 7000 euro.

Questo comporta che si potrà ricorrere al lavoro accessorio per lo svolgimento di un numero maggiore di prestazioni, a parità di compenso orario, e cioè fino al raggiungimento del limite dei compensi pagabili pari, dopo la riforma ad opera del d. lgs. 81/2015, a 7000 euro.

2.4.5.2. IL NUOVO RIFERIMENTO TEMPORALE (da anno solare ad anno civile) Un secondo intervento di riforma produrrà nella sostanza più effetti di quanto lascerebbe intendere l’esiguità con cui è stato reso nella forma.

L’art. 48, comma 1. Del d. lgs. 81/2015, dispone che il limite massimo dei compensi complessivamente percepibili (7000 euro, nella generalità dei casi) debba essere calcolato in riferimento a ciascun anno civile, e cioè l’arco temporale che va dal 1 gennaio al 31 dicembre di ogni anno. Diversamente, le previsioni previgenti, ora abrogate, stabilivano che il periodo temporale di riferimento fosse invece l’anno solare, con ciò intendendosi, un periodo “mobile” di 365 giorni da calcolarsi a ritroso, partendo dal giorno di esecuzione della prestazione che si assumeva di lavoro accessorio. Questo secondo criterio di riferimento al periodo temporale è stato fonte di criticità: a) in primo luogo, comportava l’inconveniente di non essere assunto una volta per tutte, ma di mutare ogni giorno, proprio in considerazione della “mobilità” del periodo di riferimento, per cui il committente avrebbe dovuto di volta in volta accertarsi del rispetto del limite massimo dei compensi percepibili in capo al lavoratore; b) inoltre, e producendo effetti di non secondaria rilevanza, a causa dell’assurda incongruenza nell’interpretazione che di “anno solare” davano i soggetti con cui il committente è costretto ad interagire, ovvero il Ministero del Lavoro e gli enti previdenziali. Difatti, nell’interpretazione resa, pretesa e confermata dal Ministero del Lavoro, “anno solare” è il periodo mobile di 365 giorni, da calcolarsi a ritroso dal verificarsi del fatto che interessa, e che può anche non coincidere con l’anno civile, anzi con estrema probabilità, nel suo procedere a ritroso “scavalla” l’anno e finisce con l’esaurirsi proprio in un qualche giorno e mese dell’anno precedente (si veda la circolare del Ministero del Lavoro n. 32/2012). Discostandosi da tale interpretazione di ”anno solare”, l’ente di previdenza INPS ha inteso invece come tale l’arco di tempo che va dal 1 gennaio al 31 dicembre di ogni anno (si veda la circolare n. 176 del 18 dicembre 2013). Questa

discrepanza nella definizione di anno solare, alla luce delle importanti conseguenze sanzionatorie connesse alla violazione dei limiti di utilizzo del lavoro accessorio (che risulta essere, nelle parole della prassi amministrativa, la conversione del rapporto “in quella che costituisce la forma comune del rapporto di lavoro in un rapporto di natura subordinata a tempo indeterminato, con applicazione delle relativa sanzioni civili e penali”; ovvero, secondo tesi della dottrina, la conversione in quella forma contrattuale, diversa dal lavoro subordinato a tempo indeterminato, in cui sia stato accertato possa essere sussunto il rapporto di fatto, preteso accessorio), ha comportato non secondarie difficoltà applicative, che hanno disincentivato l’utilizzo del lavoro accessorio. Nel dubbio di quale delle due, l’una fornita dal Ministero e l’altra dall’ente previdenziale, fosse l’interpretazione da seguire, si è a volte preferito nella pratica non ricorrere al lavoro accessorio, e questo ha di fatto vanificato quanto di buono poteva essere fornito al mercato del lavoro in termini di legittima flessibilità e tutela.

L’intervento del d. lgs. 81/2013 si rivela quindi molto importante perché fornisce un’interpretazione certa di quale sia il periodo temporale da prendere in considerazione per la verifica del contenimento dei compensi entro il massimale (ora di 7000 euro, nella generalità dei casi e salvi quindi i diversi importi per prestazioni rese in agricoltura e quelli percepibili da soggetti determinati) che, solo criterio, qualifica una prestazione quale di lavoro accessorio. La certezza nell’individuazione di tale elemento rende certo e senza insidie l’utilizzo dell’istituto. Legittimamente ci si può attendere che quest’ultimo intervento di riforma produrrà il risultato di agevolare l’utilizzo del lavoro accessorio e la sua diffusione, come anche favorito dalla previsione che aumenta l’importo massimo dei compensi percepibili a 7000 euro.