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IL CONTRATTO DI LAVORO INTERMITTENTE NELLA RIFORMA FORNERO

TIPOLOGIE CONTRATTUALI DI LAVORO SUBORDINATO

2.2 IL CONTRATTO DI LAVORO INTERMITTENTE

2.2.3. IL CONTRATTO DI LAVORO INTERMITTENTE NELLA RIFORMA FORNERO

La legge 92/2012 (art. 1, commi 21-22) ha apportato modifiche in tre ambiti della disciplina del lavoro intermittente, nell’intento dichiarato di renderne più difficile il suo utilizzo e di evitarne così l’uso “non genuino”, posto in essere nella pratica al fine di conseguire in modo scorretto tutti i vantaggi di flessibilità che tale tipologia offre, a discapito però dei diritti e delle tutele verso le quali i lavoratori ripongono aspettative legittime105.

Le modifiche hanno riguardato:

1) l’abrogazione dell’art. 37 del d. lgs. 276/2003, e quindi del riferimento ai “periodi predeterminati” (dalla legge) per i quali era consentito fare ricorso al contratto di lavoro intermittente. Prima dell’abrogazione, l’art. 37 individuava tali periodi nei fine settimana (da intendersi: dalle ore 13 del venerdì pomeriggio alle ore 6 del lunedì mattina), nelle ferie estive (dal 1 giugno al 30 settembre), nelle vacanze natalizie (dal 1 dicembre al 10 gennaio) e nelle vacanze pasquali (dalla domenica delle Palme al martedì successivo al lunedì dell’Angelo). Se dunque la prestazione era da rendere in questi periodi, era allora possibile assumere personale con contratto a chiamata (a prescindere dal tipo di attività e dall’età del lavoratore). La riforma ha abolito il riferimento ai periodi rigidamente individuati dalla legge e ha previsto che tali periodi, che possono ora cadere in un qualsiasi momento nell’arco della settimana del mese o dell’anno (quindi ad esempio, non più solo in coincidenza con le vacanze di Natale o Pasqua, ma

105 NATALINI F., Lavoro intermittente, in PELLACANI G., a cura di, Riforma del lavoro, Giuffrè, 2012, 135, in particolare su “le criticità e i rischi che permangono nell’uso del lavoro intermittente” e sulla rilevanza del requisito della discontinuità e dell’intermittenza.

ed esempio anche a febbraio, mese che secondo la precedente individuazione dei periodi rimaneva “escluso”), vengano individuati e predeterminati dalla contrattazione collettiva, nazionale o anche territoriale. Questa nuova scrittura del vincolo oggettivo del periodo temporale, vincolo che quindi pur modificato permane quale presupposto per la stipulabilità di un contratto intermittente (sia pur in via alternativa con l’altro requisito oggettivo del tipo di attività, nel caso in cui il lavoratore non soddisfi il requisito dell’età), vuole essere uno strumento per rispondere alle esigenze di flessibilità delle imprese, esigenze che non sono universalmente uguali per tutti i settori. I periodi di utilizzo possono quindi, dopo la riforma Fornero, essere individuati settore per settore, ed essere diversi da settore a settore, specificamente calibrati per ogni settore produttivo. Resta da dire però che la contrattazione collettiva non sempre ha messo a frutto questa possibilità. Ci si può poi qui soffermare in merito all’art. 37 del d. lgs. 276/2003, abrogato dalla riforma Fornero, rilevando che esso prevedeva che, qualora il lavoratore svolgesse le prestazioni solo nei periodi predeterminati nell’arco della settimana del mese o dell’anno (ovvero: fine settimana e vacanze estive natalizie e pasquali), l’indennità di disponibilità sarebbe stata corrisposta solo in caso di effettiva chiamata da parte del datore di lavoro (mettere in nota M. Vincieri, cit, 76). Previsione che lasciava dubbi, proprio in considerazione della caratteristica dell’indennità di disponibilità, concepita per in qualche modo remunerare la messa a disposizione da parte del lavoratore proprio nei periodi di inattività e che quindi dovrebbe invece essere corrisposta sempre, a nulla rilevando che il lavoratore sia poi anche effettivamente chiamato oppure no. Ad ogni modo, l’abrogazione dell’art. 37 ad opera della legge 92/2012, eliminando la disposizione ha eliminato alla radice anche il dubbio.

2) una riscrittura del requisito dell’età, al ricorrere del quale è sempre possibile la stipulazione di tale contratto pur a prescindere dal ricorrere di almeno uno degli altri requisiti oggettivi (tipo di “attività”, individuata come discontinua dalla contrattazione collettiva o, in via suppletiva, dal regio decreto del 1923; ed i “periodi” nell’arco della settimana, del mese o dell’anno, individuati dalla contrattazione collettiva, all’interno dei quali è possibile stipulare e svolgere contratti di lavoro intermittente, per qualsiasi attività). Il requisito è stato abbassato, nell’età massima, a 24 anni non compiuti (per la stipulazione del contratto) e a 25 anni non compiuti (per l’esecuzione della prestazione

dedotta in contratto); ed innalzato, nell’età minima, a 55 anni d’età. Nel raffronto con i requisiti d’età anagrafica richiesti invece dalla disciplina precedente la riforma Fornero (25 anni e 45 anni), risulta evidente che l’intervento di riforma ha comportato un restringimento della platea dei potenziali lavoratori con in quali potrà essere stipulato questo tipo di contratto, al fine di evitare che del personale venga assunto con questo tipo di contratto (più vantaggioso per il datore, in quanto non comporta il sostenimento di alcun costo, ad eccezione dell’indennità di disponibilità nel caso in cui sia stato così stipulato e dell’ovvia retribuzione per le giornate lavorate, garantendogli al contempo l’estremamente certo reperimento della manodopera necessaria) anziché con altre tipologie contrattuali.

3) In funzione antielusiva, la riforma Fornero ha introdotto un nuovo ed ulteriore adempimento amministrativo: la comunicazione obbligatoria della durata della prestazione. Si tratta di una comunicazione diversa e non sostitutiva della preventiva comunicazione obbligatoria di assunzione, che il datore deve rendere al centro dell’impiego entro il giorno precedente l’ammissione al lavoro. Con l’imporre l’adempimento di questa nuova comunicazione, il legislatore ha inteso contrastare l’abuso di tale tipologia contrattuale, che lasciava maglie troppo ampie ad un uso non genuino per il quale, rimanendo l’incertezza riguardo a quali sarebbero stati i giorni in cui il lavoratore sarebbe stato chiamato e avrebbe effettivamente reso la prestazione lavorativa, facilmente potevano instaurarsi di fatto situazioni di lavoro “in nero”. Per adempiere al nuovo obbligo di comunicazione della durata della prestazione, il datore di lavoro deve comunicare i dati anagrafici il codice fiscale del lavoratore e i/l giorni/o in cui rende la prestazione lavorativa, anche il giorno stesso in cui il lavoratore chiamato eseguirà la prestazione ma prima dell’inizio della prestazione lavorativa e quindi prima dell’effettivo impiego del lavoratore. In questo modo, il personale ispettivo è messo nelle condizioni di conoscere quali lavoratori “a chiamata” sono effettivamente stati chiamati e per quali giorni, ed agevole sarà la verifica, in caso di accesso ispettivo, della corrispondenza, o meno, dei lavoratori trovati sul luogo di lavoro intenti a svolgere una prestazione e quelli che il datore ha comunicato di aver effettivamente “chiamato”.

2.2.4. IL CONTRATTO DI LAVORO INTERMITTENTE NELLA RIFORMA