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LE DUE PRESUNZIONI (LEGALI) DI ESISTENZA DI UN RAPPORTO D

TIPOLOGIE CONTRATTUALI DI LAVORO NON SUBORDINATO

3.1. LE COLLABORAZIONI COORDINATE E CONTINUATIVE E A PROGETTO

3.1.1.2. LE DUE PRESUNZIONI (LEGALI) DI ESISTENZA DI UN RAPPORTO D

LAVORO SUBORDINATO

I commi 23 e 24 dell’art. 1 della legge 92/2012 intervengono nel regime sanzionatorio dell’utilizzo abusivo delle collaborazioni a progetto prevedendo due presunzioni di lavoro subordinato, andando a innovare l’art. 69 del d. lgs. 276/2003132.

1) Una prima presunzione di esistenza di contratto di lavoro subordinato è frutto di interpretazione autentica ad opera della legge 92/2012, è assoluta e quindi non ammette prova contraria. Essa opera nel caso in cui il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sia atipica, ovvero priva di uno specifico progetto133. La sanzione prevista

132 PERULLI A., Tipologie di lavoro autonomo, in Treccani, Il libro dell’anno del diritto 2013, 345 ss

133 Del tutto peculiare è la fattispecie di lavoro a progetto senza (la necessità del) progetto predisposta dal legislatore del decreto sviluppo ad hoc per i call center c.d. in out bond (con almeno venti dipendenti). Detto decreto sostanzia per siffatti call‐center una disciplina derogatoria alla normativa generale in materia di collaborazioni a progetto, disponendo che per tali collaborazioni non sia necessario il progetto. Ciò sostanzia, secondo PERULLI, ne La riforma del mercato del lavoro, op. cit. 124, “una vera e propria fattispecie di lavoro a progetto senza (la necessità di) progetto. Ciò crea una situazione di forzosa collocazione nella fattispecie del lavoro a progetto di prestazioni che, per loro natura, non realizzano alcun progetto, e quindi dovrebbero, per coerenza sistematica, essere ricondotte alla fattispecie di subordinazione in virtù dell’art. 69, comma 1, ovvero all’aerea del lavoro autonomo (non a progetto), se presentassero i tratti di cui all’art. 2222 c.c. (contratto d’opera). E poiché è evidente che, alla luce delle modifiche apportate dalla riforma Fornero – non solo con riferimento al divieto di compiti meramente esecutivi e ripetitivi, ma anche al nuovo rilievo assunto dal “risultato” nell’ambito della struttura dell’obbligazione – i tratti esecutivi di questi rapporti li condurrebbe naturaliter nell’alveo del lavoro subordinato, può dirsi che il legislatore, con questa sospetta creazione di una sub‐fattispecie di lavoro a progetto senza progetto, abbia sottratto il lavoro dei call center out‐bound alla loro naturale collocazione nell’alveo dell’art. 2094 c.c.”. Inoltre rileva come “le attività realizzate attraverso call center in outbound sono del tutto sprovviste di ogni regolazione legale‐tipica, onde la scelta di accomunare, nell’esclusione di cui all’art. 61,

per questo caso impone di considerare il rapporto di lavoro come un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, fin dalla sua costituzione. Recita difatti la norma di interpretazione autentica: “che il comma 1 dell’art. 61 si interpreta nel senso che l’individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cui mancanza determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”. La prassi ministeriale ha poi esplicitato che il progetto debba ritenersi assente, con conseguente applicazione della sanzione della riqualificazione del rapporto di lavoro quale lavoro subordinato, non solo nei casi in cui esso sia del tutto mancante, ma anche in quei casi in cui non soddisfi i requisiti dovuti, e quindi: sia redatto senza che sia puntualmente individuato e descritto il risultato finale cui esso è funzionale; oppure si limiti a replicare l’oggetto sociale; o riporti l’indicazione di compiti meramente esecutivi o ripetitivi. La norma, di interpretazione autentica, recepisce l’orientamento maggioritari della

comma 1, tipologie così diverse di attività, suscita il fondato timore che il legislatore, per rispondere alle sollecitazioni degli operatori del settore sia incorso in quella “disposizione” del tipo contrattuale vietata allo stesso legislatore. Si pone, cioè, concretamente il dubbio che il legislatore qualificando come lavoro a progetto la fattispecie in esame senza richiedere il rispetto di tutti i requisiti definitori del lavoro a

progetto tipico, abbia in realtà dato forma giuridica di autonomia ad un rapporto che non

potrebbe più rispondere ai requisiti tipologici del lavoro a progetto “standard” connotandosi nei suoi elementi specifici e peculiari per le stigmate della subordinazione”. Si riportano qui per completezza le sentenze che hanno affermato il principio dell’indisponibilità del tipo contrattuale: Corte Costituzionale 29 marzo 1993, n. 121, in Foro It., 1993, I, col. 2432; Corte Costituzionale 31 marzo 1994, n. 115, in Foro It., 1994, I, col. 2656. Per tale principio, “non sarebbe comunque consentito al legislatore negare la

qualificazione giuridica di rapporti di lavoro subordinato a rapporti che oggettivamente abbiano tale natura, ove da ciò derivi l’inapplicabilità delle norme inderogabili previste dall’ordinamento per dare attuazione ai principi, alle garanzie e ai diritti dettati dalla Costituzione a tutela del lavoro subordinato”. Successivamente, con la sentenza n. 115 del

1994 la Consulta ribadisce “a maggior ragione non sarebbe consentito al legislatore di

autorizzare le parti ad escludere direttamente o indirettamente con la loro dichiarazione contrattuale, l’applicabilità della disciplina inderogabile prevista a tutela dei lavoratori a rapporti che abbiano contenuto e modalità di esecuzione propri del rapporto di lavoro subordinato. I principi, le garanzie e i diritti stabiliti dalla Costituzione in questa materia, infatti, sono e devono essere sottratti alla disponibilità delle parti. Affinché sia salvaguardato il loro carattere precettivo e fondamentale, essi devono trovare attuazione ogniqualvolta vi sia, nei fatti, quel rapporto economico – sociale al quale la Costituzione riferisce tali principi, tali garanzie e tali diritti. Pertanto allorquando il contenuto concreto del rapporto e le sue effettive modalità di svolgimento – eventualmente anche in contrasto con le pattuizioni stipulate e con il nomen juris enunciato – siano quelli propri del rapporto di lavoro subordinato, solo quest’ultima può essere la qualificazione da dare al rapporto, agli effetti della disciplina in esso applicabile”.

giurisprudenza, e tacita quello minoritario, che aveva ritenuto ammissibile la possibilità per il committente di fornire prova contraria134.

2) La seconda presunzione di esistenza di un rapporto di lavoro subordinato è invece relativa e contenuta all’art. 61, comma 1 del d. lgs. 276/2003 cui la legge 92/2012 ha aggiunto un ulteriore periodo. Essa opera nei casi in cui il presunto collaboratore a progetto svolge la propria attività con “modalità analoghe” a quelle con cui svolgono le proprie mansioni i lavoratori dipendenti del suo committente (e fatte salve le prestazioni di “elevata professionalità”, che i contratti collettivi hanno facoltà di individuare). In questo caso, qualora accertata la condotta abusiva in capo al committente, la sanzione commina la conversione della collaborazione a progetto non genuina in un contratto di lavoro subordinato, fin dalla sua costituzione, nella tipologia rispondente alle modalità con cui è stato svolto di fatto. Il fatto che la legge di riforma abbia aggiunto al contenuto del secondo comma dell’art. 69 del d. lgs. 276/2003 un nuovo periodo, tramuta in presunzione “legale” quella che già anteriormente sussisteva quale presunzione “giurisprudenziale”135. Fin da sempre, infatti, era riconosciuta al lavoratore che assumeva essere un collaboratore non genuino la possibilità di dimostrare, apportando la prova della sussistenza degli indici della subordinazione nel rapporto di lavoro come svolto di fatto, la reale natura subordinata del suo rapporto di lavoro e chiederne la relativa riqualificazione. Andava però appunto fondata la presunzione dell’esistenza del rapporto di lavoro subordinato sulla base di presunzioni, giurisprudenziali, che, in quanto tali, dovevano necessariamente essere “gravi, precise e concordanti”. L’utilità dell’intervento di riforma, che enunciando una norma di legge in materia ha fatto della presunzione semplice giurisprudenziale una presunzione legale, si sostanzia nella sufficienza della sola presunzione, al fine della riqualificazione pretesa dal contratto senza che il lavoratore sia gravato dell’onere che le presunzione siano anche gravi precise e concordanti, come sarebbe invece richiesto se esse fossero (solo) giurisprudenziali.

134 rassegna di giurisprudenza e dottrina in PELLACANI G. (a cura di), Riforma del lavoro, giuffrè 2012, 159 nelle note 74, 75, 76, 77

3.1.1.3. LA RISCRITTURA DELLA DISCIPLINA DELLA FACOLTÀ DI RECESSO