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Desertificazione strutturale, carriere scolastiche e disoccupazione

PARTE II. ITALIA: R-ESISTENZE DALLA PERIFERIA ROMANA

II.2 Marozia: la città nascosta

II.2.3 Desertificazione strutturale, carriere scolastiche e disoccupazione

La stratificazione sociale prende corpo nel comprensorio in maniera simile a quanto evidenziato da Breman (2006) e Davis (2006) come comune denominatore di molti

slum: quando a eleggersi ‘padroni’ di un’abitazione occupata, riscossori di un fitto

chiaramente illegale, sono soggetti che non praticano l’occupazione per vivere il comprensorio, ma abitano la città – spesso come liberi professionisti, dipendenti (anche pubblici), negozianti, ecc. – i flussi di capitale accumulato dimostrano che gli

slum non costituiscono un circuito separato di produzione, distribuzione e consumo,

ma sono strettamente collegati, sia pure in modo subalterno, alle attività economiche tradizionali, che si svolgono nel resto della metropoli. Da qui l’interesse di molti a far in modo che il comprensorio di Marozia recuperi dignità da un lato (ad esempio per la pulizia e il ripristino del sistema fognario), ma mai fino ad elevarsi a spazio residenziale ‘normalizzato’. Il fatto che Marozia resti un luogo di ‘emergenza’ permette, appunto, di gestire una serie di pratiche illecite che – prima ancora che collegate a droga, prostituzione, furti, ed altro – si basano sul mercato sommerso degli alloggi occupati.

Qui è una lotta cercare di farci riparare qualcosa, siamo pieni di invalidi, gente con la carrozzella che deve salire e scendere dal quarto piano… gli ascensori sono fondamentali sennò fanno i prigionieri in casa. Dopo non si sa quante lotte, il Comune ci ripara gli ascensori e, dopo una settimana, rubano il motore. Lo stesso accade per le finestre, per i portoni, per i citofoni, c’è chi ci marcia a farci stare nella merda! (Elena, 13-04-2018)

I servizi davvero essenziali per il comprensorio sono motivo di lotta e scoramento. Il primo sindaco ad aver fatto apparizione a Marozia, dopo aver messo in moto una

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pulizia eccezionale del sistema fognario che era, in conclusione, esploso nei sotterranei dei palazzi abitati, creando una vera emergenza sanitaria, è l’attuale “sindaca” Raggi. I commenti su questa apparizione ‘potente’ dell’istituzione, da me raccolti, sono contraddittori.

Sì, è vero, è il primo sindaco che è venuto qua70, che si è affacciato … ma per

me è una passeggiata politica. Vabbé che gli altri manco questo hanno fatto. (Nello, 07-02-2018)

Ma alla fine ci siamo messi noi qui a fare tutto, a svuotare dai liquami e a pulire i sotterranei dei palazzi… sì ci hanno mandato l’Ama71, ma solo perché sono

anni che lo chiediamo, ed ora finalmente qualcuno di noi è entrato al dipartimento e si fa sentire (Lella, 13-03-2018)

Le reazioni esaltano uno spirito di corpo – quando a parlare sono i maroziani della ‘prima ora’ – che si concretizzerebbe nel fare, con le proprie mani, quello che altrimenti verrebbe solo negato o rimandato. La voce di Lella introduce un soggetto locale, entrato in politica ed eletto a livello circoscrizionale, che è generalmente riconosciuto come portavoce del gruppo ‘forte’ dei residenti. Questo elemento di novità, per la prima volta nella storia di Marozia, cioè di partecipazione attiva alla ‘cosa pubblica’, riguarda gli ultimi tre anni.

Dall’intervento del 2017, il sistema fognario di Marozia ha nuovamente ceduto e i sotterranei dei palazzi sono di nuovo un elemento di grave emergenza sanitaria. Nulla viene al momento fatto perché il Comune, fino a questo momento, è intervenuto solo in situazioni “straordinarie”, disinteressandosi totalmente della manutenzione ordinaria e, quando si presenta per opere di emergenza, non lo fa mai senza ‘circo’ mediatico attorno, la qual cosa irrita buona parte dei residenti. Il punto è che si tratta di alloggi acquistati dal Comune ormai nel 1989, ma mai adeguati realmente ad esigenze abitative permanenti, quando l’intero comprensorio è nato come una sorta di hotel ‘diffuso’. I sotterranei dei palazzi sono stati negli anni anche deposito di veicoli rubati, per essere lì smontati e rivenduti a pezzi. I palazzi sono ormai totalmente pericolanti in moltissimi punti e il gas cittadino non è stato mai attivato. Dunque, l’intero comprensorio è alimentato da bombole a gas nei mini-appartamenti, la qual cosa è fonte di perenne preoccupazione per i residenti.

70 In riferimento ad eventi di marzo 2017. 71 Azienda romana per la gestione dei rifiuti.

106 Il problema è che ci sono tante contraddizioni che bloccano tutto. Il Comune è

proprietario ma noi non possiamo mettere il gas perché non paghiamo il fitto. E non paghiamo il fitto non perché non lo vogliamo, ma solo perché non ce lo fanno pagare. Ormai è chiaro che non siamo più degli inquilini temporanei. Fateci pagare il fitto! Noi chiediamo, ma non ci rispondono. Se pagassimo anche un fitto minimo, sociale, come lo vuoi chiamare… potremmo diventare cittadini normali, avere dei servizi che ora non possiamo avere … non siamo né carne né pesce qui (Rosa 23-05-2018).

Siamo dentro a un campo minato… vedi ‘sti balconi, ogni balcone una bomba… ci sono più di mille bombole del gas qua attorno… poi considerando che i fabbricati cadono a pezzi e l’impianto elettrico è arrangiato… cioè hanno fatto di tutto, guarda quei cavi che volano così da fuori a dentro, scoperti, sotto alla pioggia… tutto può sempre accadere qui! Ci dobbiamo sorvegliare a vicenda noi! Viviamo sempre col pericolo! (Ugo, 08-05-2018)

Poi però il gas lo hanno portato, quello cittadino, ma qui fuori ai palazzi. Cioè hanno fatto i lavori che hanno portato il gas qui sotto, speso milioni, ma poi non ce lo possono attaccare sopra… non arriva neanche in realtà ai tubi qui… ci stanno solo delle tubature… perché ci hanno mangiato sopra. Lo sapevano da subito che poi nessuno poteva attivarlo, perché il Comune non ci riconosce residenti ‘regolari’, non ci fa pagare un fitto con un contratto vero! Chi ci tiene così, in questa situazione, c’ha sempre il suo tornaconto! (Ettore, 21-05-2018)

Queste sono alcune delle contraddizioni messe in evidenza dagli abitanti di Marozia. Trasversalmente alle diverse età degli intervistati, emerge di continuo un riferimento ad una ‘cittadinanza difettosa’. Primeggiano, nelle dichiarazioni sofferenti, la precarietà intesa anche come pericolo esistenziale, pericolo di soccombere a disgrazie sempre dietro l’angolo, e al tempo stesso l’abuso da parte dagli stessi poteri istituzionali, accusati di essere conniventi con soggetti speculatori. I maroziani che non guadagnano con il mercato degli alloggi occupati (ad esempio, subaffittando) non riescono però ad ottenere un avanzamento di ‘status’. Giuridicamente e socialmente sono ‘bloccati’. Le loro abitazioni non sono “vere case”, nel senso che non hanno un uso residenziale ‘regolare’ e, di rimando, coloro che vi risiedono non si percepiscono come “veri cittadini”. L’orizzonte morale espresso dai più concerne l’impossibilità a praticare vie di cittadinanza considerate ‘normali’, e la normalità quasi sempre, nelle dichiarazioni degli interlocutori adulti, è sinonimo – anche – di legalità.

Ci dessero la possibilità di essere onesti… manco quello! In realtà [le istituzioni] stanno solo agevolando e fomentando piccole criminalità che, però,

107 stanno diventando mentalità, modi di pensare, modi di comportarsi… e non è

giusto, nessuno può dire che è giusto, perché il danno è ben maggiore della sofferenza o del disagio pratico! (Rosa, 23-05-2018)

Rosa ha 56 anni, lavora come collaboratrice scolastica in una scuola del centro, fa ritorno a Marozia ogni giorno, dove svolge volontariato assieme alle due suore missionarie. La lucidità dei suoi ragionamenti riflette molto la preoccupazione verso le nuove generazioni, già cresciute e che ancora cresceranno dopo l’iniziale occupazione dell’abitato. Rosa evidenzia una sostanziale questione: nascere e crescere a Marozia vuol dire convivere con l’illegalità, anche quando si è spinti dall’educazione delle istituzioni (come la scuola) o dei genitori stessi (che vorrebbero spezzare il circolo, per dir così); ciò è rinvenibile prima di tutto nell’ottenimento di servizi di diritto (gas e luce, così come altre necessità primarie). La ‘desertificazione’ degli spazi sociali, per citare Wacquant (2008b), è così elevata da creare un continuum di assenze, dai servizi che dovrebbero rendere “normale” l’abitazione alle strade che circondano i palazzi e che delimitano il comprensorio.

Negli ultimi tre anni i bambini e i ragazzi di Marozia possono far uso di un campetto di calcio, grazie all’intervento di alcune associazioni e istituzioni anche pubbliche che hanno finanziato un progetto di riqualificazione. Ma questo è l’unico aspetto evidente, al centro di quella che resta una ‘cittadella’ separata dal resto della città. Appena oltre le mura del comprensorio, la città ‘normale’, ‘legale’, è ormai arrivata. Lì sorgono le case dei “privati”.

Guarda là, si so’ tutti barricati con le grate. E certo! Stanno di fronte a noi… che ti credi? Se cacano sotto! Quelli so’ i privati. Si so’ comprati le case tipo dieci anni fa. Stanno bene, c’hanno riscaldamento autonomo, gas, fogne fatte bene, tutto… quanto distano da noi? Non lo vedi? Se scavalco sta ringhiera sono da loro. Niente, pochi metri. (Giovanni, 13-12-2018)

Le contraddizioni, espresse in precedenza, esplodono dinanzi ad una serie di condominii sorti dinanzi a Marozia. Più che, banalmente, ‘invidia sociale’, si legge qui l’accusa, ancora una volta verso le istituzioni, di voler praticare ‘senza vergogna’ un’amministrazione delle differenze: i maroziani non possono ricevere gas e un sistema fognario regolari, pur se le mura sono di proprietà del Comune, mentre i “privati” hanno diritto ad una cittadinanza piena, perché deriva dalla loro capacità di poter comprare un’abitazione ‘regolare’ (nell’implicito: frutto di un lavoro ‘regolare’, cioè ‘onesto’). I due sistemi abitativi, prospicienti l’uno all’altro, Marozia sulla

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collinetta e i condominii privati al di là di quella, non hanno prossimità nel sociale, nel senso che non sembrano dialogare. Gli inquilini dei condomini che si affacciano su Marozia sono stigmatizzati per la loro paura, che si materializza nelle grate e nelle blindature alle porte e alle finestre dei balconi fino al quinto piano, ma anche negli ornamenti e nella cura di -quei balconi stessi. Piante, tavolini, colori, in una parola ‘cura’ degli spazi privati, appunto. La prossimità tra i due comprensori potrebbe materializzarsi in comuni richieste di servizi, ma ciò non avviene. A parte una farmacia comunale, aperta solo quest’anno e raggiungibile a piedi – una notevole e importante novità attesa da più di vent’anni –, per qualsiasi altro servizio gli abitanti di entrambi i comprensori devono servirsi di un’automobile e, quando sprovvisti, di un’unica linea di autobus pubblico, che passa ogni ora circa. Nelle memorie locali, spesso, mi è stato narrato di uno ‘sfortunato’ supermercato che, aperto a cinquecento metri da Marozia, sarebbe stato regolarmente depredato:

La gente entrava e non pagava, semplicemente prendeva la roba e usciva… prima di chiudere, pure le commesse che ci stavano dentro, a ‘na certa, si so’ presi la roba e se la so’ portata. Uno schifo! (Errica, 23-03-2018)

La vicenda risale a una decina di anni addietro, fatto sta che nessun supermercato o negozio di generi alimentari, o bar, o altro di affine ha mai più aperto nei dintorni del comprensorio.

L’interno dei palazzi presenta una condizione che non è migliore di quella esterna. Chi ha i mezzi – prima di tutto finanziari – ha sistemato i suoi metri quadri interni in un “bell’appartamentino”, di solito chi lavora già nel campo dell’edilizia e ha la fortuna di alloggiare da solo o con al massimo un paio di familiari. La precarietà delle abitazioni all’interno è maggiore dove i nuclei che vi risiedono sono più numerosi e le fonti di reddito sono minime. I residenti più indigenti possono solo chiedere un intervento del Comune, cioè della proprietà reale, ma le richieste non si concretizzano mai.

Per accedere agli appartamenti si passa attraverso corridoi lunghissimi e, spesso, degradati da anni di incuria, fitti di crepe, graffiti, sporcizia, muffe; i corridoi sono poi sezionati in più compartimenti per mezzo di grate di acciaio, il che dà una fortissima impressione di attraversare un decadente carcere. Chi non ha potuto applicare migliorie al proprio appartamento si ritrova anche con una porta d’ingresso che sembra di cartone, mentre le pareti di questi (che erano in origine) mini-appartamenti alberghieri sono tanto sottili da lasciar filtrare qualunque suono, anche tra un’unità abitativa e un’altra. Claustrofobia, senso di reclusione e mancanza di privacy sono una

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costante percettiva, che connota la vita dei miei interlocutori, specialmente i più giovani, sui quali mi focalizzerò maggiormente. Questo è un aspetto che non può essere sottovalutato ed emergerà dai loro racconti.

Recenti analisi (cfr. Tomassi, Puccini 2018) sulle aree romane definite ERP (Edilizia

Residenziale Pubblica) mettono in rilievo, attraverso studi statistici72, come elemento di forte caratterizzazione di tali nuclei residenziali il disagio sociale. Definito statisticamente, l’indice di disagio viene calcolato, in questi studi, sulla base di disoccupazione, occupazione, concentrazione giovanile (popolazione con meno di 25 anni) e scolarizzazione. Ponendo zero la media romana, nelle aree ERP l’indice di disagio è calcolato in media 12,6, mentre da sola Marozia73 raggiunge un valore compreso tra 16 e 18, nella parte alta, insomma, di questa fredda classifica. Ad incidere enormemente su tali statistiche, sul calcolo dell’IDS, l’indice di disagio sociale così formulato74, sono le differenze nei livelli di istruzione, considerate «fattore cruciale nelle opportunità sociali ed economiche delle persone, nonché uno degli indicatori distribuiti in maniera maggiormente diseguale nel territorio urbano. I laureati nei nuclei ERP sono solo poco più del 4% rispetto alla media romana del 20%, e i diplomati sono il 22,5% contro la media del 36%; i residenti con licenza media inferiore sono invece il 39% rispetto al dato romano di meno del 24%, e quelli con licenza elementare il 25% contro poco meno del 14%. A rendere più grave il fenomeno, in alcuni nuclei la scolarizzazione risulta persino inferiore, con valori che mostrano una evidente seppure nota segmentazione della città che non può lasciare indifferenti» (Tomassi, Puccini 2018).

a) Titoli di studio nei nuclei ERP e a Roma (%)

72 Gli autori fanno riferimento anche a dati emersi dal Censimento 2011.

73 Non riporto il riferimento preciso per mantenere il ‘camuffamento’ del luogo delle ricerche e, di

conseguenza, per proteggere l’identità degli informatori.

74 La formulazione statistica e dettagliata dell’IDS è esposta e illustrata compiutamente in Comune di

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Sempre camuffando il nome reale del mio terreno di indagine, riporto la situazione delineata da questi studi per Marozia: i laureati sono in numero inferiore al 3%, quindi molto al di sotto della media dei nuclei abitativi ERP; i residenti senza almeno un diploma di scuola superiore sono tra il 74-75%.

Per quanto riguarda l’occupazione, i dati disponibili per il mercato del lavoro sono tratti dal Censimento 2011, dunque prima della grave recessione degli anni successivi. Si tratta comunque dell’unica fonte statistica attualmente disponibile su ampia scala. I dati vanno, pertanto, considerati più dal punto di vista delle differenze tra aree urbane che in termini assoluti (Tomassi, Puccini 2018).

b) Tassi del mercato del lavoro nei nuclei ERP e a Roma (%)

«Sulla popolazione con più di 15 anni, il tasso di partecipazione alla forza lavoro nei nuclei ERP è del 45,7%, inferiore rispetto alla media romana del 53%, il tasso di occupazione 36,8% contro la media del 47,9%, e il tasso di disoccupazione è addirittura doppio rispetto alla media romana (19,4% contro 9,5%). Anche in questo caso emergono per alcuni nuclei dati preoccupanti, che difficilmente possono essere stati riassorbiti negli anni più recenti, e che mostrano una forte scarsità di opportunità lavorative» (ibid.)» A Marozia il tasso di disoccupazione è superiore al 25%, vale a dire due volte e mezzo la media metropolitana, che è di 9,5% (dati Censimento 2011). «Dunque, le opportunità lavorative sono il contraltare di quelle educative: essere occupati non significa solo avere la possibilità di produrre reddito, ma anche e soprattutto far parte di una comunità, realizzare sé stessi, sentirsi inclusi» (ibid.). Al di là di un mero assaggio di statistiche, essendo questa una ricerca fondamentalmente qualitativa, strutturata in maniera circoscritta e limitata nel tempo, devo ammettere che il lavoro sul campo riflette ampiamente i dati sopra esposti. Su un nucleo di diciotto informatori più assidui (14 ragazzi e 4 ragazze), di età tra i 18 e i 28

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anni, il tasso di dispersione scolastica o di abbandono prima di un diploma di scuola secondaria di secondo grado è di circa il 70%, con dodici di loro in possesso del solo titolo di scuola secondaria di primo grado (licenza media). Gli altri hanno ottenuto un diploma; solo in due (un ragazzo e una ragazza) hanno provato ad intraprendere un percorso universitario, interrotto quasi subito.