PARTE II. ITALIA: R-ESISTENZE DALLA PERIFERIA ROMANA
II.3 Gangster a Marozia
II.3.4 Strategie, tattiche e accesso alle risorse
In questa sezione ho impiegato, in maniera piuttosto esplicita, il concetto di ‘strategia’ (parlando ad esempio di “razzismo strategico”), mentre ho lasciato implicitamente emergere alcune posizioni che possono, però, essere considerate ‘tattiche’. La differenza, derivata dall’opera di De Certeau (2001[1980]), è resa pienamente dal lavoro di Pino Schirripa (2015: 99-100), il quale, occupandosi di questioni di antropologia medica e del sistema medico etiope, offre – attraverso la disamina etnografica – una spiegazione di come differenti risorse (in quel caso ‘terapeutiche’, ad esempio piante officinali ‘domestiche’ o cure ospedaliere) possano essere ‘gestite’ (o preferite) in maniera differenziata, a seconda delle condizioni materiali dell’esistenza degli attori sociali coinvolti, oppure in base all’ineguaglianza nelle possibilità di accedere alle risorse stesse.
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Ciò che qui mi preme adottare della prospettiva d’analisi di Schirripa è proprio la possibilità che l’antropologo ha di disvelare posizioni di micro-potere o di apparente passività di alcuni soggetti coinvolti, all’interno di un campo di forze – ma senza mettere da parte il piano delle condizioni materiali dell’esistenza – servendosi del dispositivo teoretico decertauiano, oppositorio e complementare, di strategia/tattica: la strategia è «un qualcosa che ha a che fare con il potere, in questo caso il potere di delimitare uno spazio, come spazio della contesa [...] I modi differenziati [di accesso a delle risorse] sono tattici [quando] si fondano su regole dettate da altri, da chi ha il potere di definirle, giocando sugli interstizi86» (Schirripa 2015: 100).
Nei casi sopra riportati, la risorsa primaria di Marozia è lo spazio, i locali, le abitazioni, così come altri edifici, nonché la loro acquisibilità o rimodulabilità, in base anche alla forza o alla violenza, talvolta indirizzata da scopi personali, altre volte giustificata da ‘necessità’ di comunità.
La posizione dei “napulengre”, quando si insediano, è una posizione tattica. Rispetto ai nuovi arrivati, sono chiaramente ‘altri’ a dettare le regole per l’acceso alla risorsa abitativa: a livello di macro-potere, le prime regole per l’accesso all’abitazione da parte di strati poveri e marginali della popolazione sono dettate dal Comune, che ha assegnato ai napulengre gli immobili; il Comune agisce – però – strategicamente, per sgomberare zone centrali (i rom napoletani adulti, da me intervistati, sono giunti a Marozia da ‘insediamenti-baraccati’ costruiti lungo il Tevere, come a Ponte Milvio) e trasferire questa “umanità di scarto” (Bauman 2005) ancora più ai margini della città ‘bella’:
Ie mo ccà (“qui”) c’aggio cresciuto sette figli. Ma t’aggio ‘a dicere ca se stava ‘na bellezza [accampati a Ponte Milvio]. Me scetavo (“svegliavo”) tutt’‘e juorne vicino ‘o fiume, ce mettevamo ‘e gonne larghe, colorate e se jeva (“si andava”) a fa’ ‘a questua (“carità” in dialetto napoletano) annanze ‘e semafore! Ua’, era nu spasso! E po’ ‘a città! ‘A bellezza! (Cicerenella87, 12-04-2018)
86 Cfr. De Certeau (2001 [1980]: 73) «[...] definisco tattica l’azione calcolata che determina l’assenza di
un luogo proprio. Nessuna delimitazione di esteriorità le conferisce un’autonomia. La tattica ha come luogo solo quello dell’altro. Deve pertanto giocare sul terreno che le è imposto così come lo organizza la legge di una forza estranea [...] Si sviluppa di mossa in mossa. Approfitta delle “occasioni” dalle quali dipende [...] Deve approfittare, grazie a una continua vigilanza, delle falle che le contingenze particolari aprono nel sistema di sorveglianza del potere sovrano, attraverso incursioni e azioni di sorpresa, che le consentono di agire là dove uno meno se lo aspetta». Cit. in Schirripa (2015: 100).
87 L’informatrice è una rom napoletana di 42 anni (al momento dell’intervista). “Cicerenella” vuol dire
“piccolo cecio”, in realtà io l’ho conosciuta con un altro soprannome, sempre in dialetto napoletano, molto simile, che mi confida esserle stato attribuito dal padre. Cicerenella giunge a Roma all’età di quattro anni, nel 1980; si trasferisce dalla Campania con la famiglia, a seguito del terremoto dell’Irpinia
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Il primo gruppo rom napoletano, insediatosi a Marozia, accetta la proposta del Comune di trasferirsi in questo lontano comprensorio. L’alternativa sarebbe stata un campo rom ‘emergenziale’, come ce ne sono diversi nella Capitale. Da notare che l’insediamento di provenienza, quello di Ponte Milvio, sul Tevere, è un insediamento in qualche modo ‘scelto’, almeno nelle dichiarazioni dell’informatrice, che annota nostalgica una perdita88, quella di una risorsa immateriale, la bellezza della città, oltre alla perdita di una risorsa materiale, il traffico cittadino “dietro l’angolo”.
Accettata la proposta, tatticamente i rom napoletani cercano di tradurre il trasferimento in un alternativo guadagno, posizionandosi in un “interstizio” lasciato libero dagli attori che gestiscono ‘istituzionalmente’ gli alloggi popolari e gli sgomberi delle baracche in centro, cioè il Comune e le forze dell’ordine. Dovendo accettare le regole del trasferimento, i napulengre di Marozia si ‘attrezzano’ per trasformare la casa in risorsa (come lo era la “questua” al semaforo), subaffittandola dopo essersi ‘procurati’ roulotte o vecchi furgoni sgangherati.
L’atteggiamento dei napulengre al loro ingresso è tattico, in quanto per accedere alle risorse primarie locali – gli immobili come fonte di guadagno e non come alloggio – si devono muovere su un campo di potere in cui le regole sono poste e controllate da altri, ma si rivela una tattica fallimentare; questo perché essi hanno valutato solo l’agire degli attori esterni a Marozia e le aree ‘interstiziali’ lasciate libere solo da quei poteri: il Comune vuole sgomberare il Tevere, la polizia gestire il trasferimento nelle case in maniera ordinata e nessuna di queste istituzioni (o altre ad esse correlate) si occupa, in quel momento, di processi di integrazione, vigilando sul post-trasferimento, dato che gli obiettivi di quelle politiche sono pienamente raggiunti; le aree libere, per parcheggiare dei mezzi-dimora nel nuovo quartiere, sono una risorsa non sfruttata e i napulengre le occupano appena lo sguardo di chi ha gestito il trasferimento si sposta altrove.
di quegli anni. Sapendo che sono napoletano, le piace molto parlare esclusivamente in dialetto. Camilla, in una occasione accanto a me, durante una conversazione con Cicerenella, è stupita di quante cose la donna abbia da dire; mi confessa di conoscerla, ma che non ha in realtà mai avuto un dialogo così prolungato, né con lei né con altri napulengre della sua famiglia.
88 Interessante parallelismo con l’analisi di Amalia Signorelli (1996: 134) sui terremotati puteolani,
dopo il loro spostamento da Pozzuoli, “città bella”, al rione Toiano, un’area di nuova costruzione, lontana dal centro cittadino, dai servizi e dalle reti di socialità che scandivano la vita delle persone “terremotate”: costoro si trovarono a scegliere tra una casa “vera”, cioè nuova e grande ma “isolata e lontana”, e la precarietà di una condizione da senza tetto “arrangiati”, talvolta ospitati da parenti, in perenne attesa di un incerto ritorno alla loro originaria dimora cittadina.
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Un agire tattico, dunque, che però è destinato a fallire a causa di ciò che i nuovi arrivati ignorano o che, molto più probabilmente, sottostimano: si tratta di un’altra parte delle regole d’accesso agli alloggi per poveri, regole stabilite da alcuni ‘occupanti forti’ di zone come Marozia, i quali da un lato fittano, a loro volta, a stranieri o italiani che sono tagliati fuori dalle assegnazioni temporanee o dalle liste ERP (Edilizia Residenziale Pubblica), da un altro lato riservano spazi del comprensorio ad ‘uso comunitario’ o come risorsa futura. Ad esempio, la palestra di Valerio è stata per anni uno spazio ‘riservato’ che poi, tramite un accordo ‘dal basso’ (gruppi forti del comprensorio) e non dall’alto (il dipartimento territoriale, responsabile per i permessi di usufrutto), è stato concesso a un soggetto ‘nuovo’. I vicini di Valerio, coloro che approfittano della momentanea occupazione dei locali della palestra da parte di ulteriori e ‘improvvisi’ nuovi occupanti, anch’essi operano un agire tattico, massimizzando l’opportunità d’azione, buttando giù una parete e impadronendosi dello spazio, murandolo prima che Valerio rientri. I vicini di Valerio, pur essendo già residenti a Marozia, sono occupanti ‘meno forti’ di altri: fino al momento in cui i locali a loro confinanti sono stati una ‘riserva’ di un soggetto locale più forte, essi non hanno mai agito. Nel caos, creatosi durante il passaggio di assegnazione dell’usufrutto e durante la successiva occupazione ‘disordinata’ dei malcapitati e male-organizzati “bangladini”, questi vicini riescono a sferrare un colpo: non corrono (troppi) rischi, perché non hanno strappato direttamente spazio al primo ‘titolare’ dei locali, un soggetto più forte, uno di coloro che pongono le regole interne al quartiere; costui ha ormai consegnato a Valerio l’usufrutto; i vicini puntano, inoltre, proprio sul rapporto di prossimità con Valerio, essi sanno che, una volta scacciati i “bangladini”, all’imprenditore non converrà un clima di ostilità nel condominio dove sta investendo capitali. I vicini di Valerio, non avendo la capacità di scrivere le regole locali del gioco, hanno atteso per anni la propria mossa, mettendo in campo la loro tattica per l’accesso alla risorsa primaria: lo spazio.
Marozia è al centro di diversi interessi o disinteressi politici, cittadini, nazionali, ecc., ma al suo interno si struttura, a sua volta, come un campo attraversato da altri poteri; in tal modo emergono livelli di lettura delle pratiche sociali locali in cui cosa sia “strategia” e cosa “tattica” non è facilmente distinguibile. C’è sempre – in un contesto come questo in esame – un livello del ‘discorso’ in cui strategia e tattica si confondono, si ribaltano e si scambiano in base a mutevoli e articolati rapporti di
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potere: uno stesso attore sociale può adoperare una tattica verso un potere ‘forte’ (il Comune, le istituzioni esterne, ad esempio), ma attivare strategia verso poteri ‘deboli’ o verso soggetti privi di qualunque potere (tangibile o simbolico) all’interno del comprensorio.
Tornando ai rapporti tra i napulengre e i primi maroziani ‘romani’, questi due gruppi oggi sono ben riconoscibili, sia attraversando e osservando lo spazio sociale, sia interloquendo con gli abitanti. La piazza di Marozia è indicativa: come detto, essa propone due gruppi giovanili prossimi ma distanziati, i napulengre da una parte e i ragazzi del “bare” poco distanti. Sono passati circa vent’anni dall’ingresso dei rom napoletani e il gruppo di ragazzi in piazza è formato dai figli di quegli assegnatari, che si sono scontrati, allora, con i residenti ‘custodi’. D’altronde, la comitiva del “bare” non è formata solo dai figli dei primi residenti, ma anche dei più recenti immigrati stranieri. A parte i due gruppi giovanili, però, le distanze tra i napulengre e gli ‘altri’ maroziani, oggi sono meno tangibili.
Ci sono stati matrimoni tra membri dei due gruppi, si sono intrecciati interessi e la gestione di alcune risorse: la più importante è la droga. Se il mercato – sotterraneo – degli alloggi per poveri è ancora una fonte di reddito, in parallelo lo spaccio di droga è una delle attività che da più tempo prolifera a Marozia, vale a dire che è presente a Marozia sin dai tempi degli sgomberi del “Residence Roma” (supra: II.2.1), quindi dall’occupazione originaria.
Questo mercato si è evoluto con gli anni e rappresenta una questione molto spinosa e non facile da seguire sul campo per un ricercatore sociale. Di seguito ne tratterò solo quegli aspetti in cui sono coinvolti i giovani attori sociali, protagonisti di questo studio. Ciò che qui voglio evidenziare è che, a dire dei miei informatori, i napulengre non hanno, al loro ingresso a Marozia, nessun collegamento con questo genere di risorsa e lo spaccio di droga non rientra nelle loro attività di sussistenza finché essi risiedono sul Tevere:
Si faceva ‘a questua (“elemosina”), se puteva pure arrubbà, se facevano pure ‘e scippe (“furti rapidi”), però ce stevano pure ati ccose (“altre cose”, intende mestieri arrangiati e non necessariamente illeciti). Lo spaccio no, quello è venuto dopo... è arrivato qua (Cicerenella, 12-04-2018)
L’informatrice napulengre mi parla dei diversi problemi con la legge, con cui hanno avuto a che fare gli uomini della sua famiglia: il compagno sta ancora scontando una
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pena, tre dei suoi figli sono entrati ed usciti ripetutamente dal carcere, o per spaccio di droga o per rapina e detenzione illegale d’armi da fuoco. Al tempo stesso è estremamente fiera dei successi scolastici dei suoi figli più piccoli e riconosce grande valore all’istituzione del doposcuola, così come alla palestra di Valerio: entrambi luoghi che accolgono i suoi “ragazzi” senza chiedere nulla. Non si lamenta di come si vive oggi, reputa che le cose possano migliorare grazie agli sforzi di chi si impegna a sistemare il quartiere.
Cicerenella attiva delle retoriche identiche a quelle offerte da Umberto e altri custodi, questo a riprova che con il tempo si è costruita un’identità maroziana anche per i napulengre ma, specialmente per le ‘madri’, tale identità è un importante veicolo per accedere alle risorse sociali della comunità, in particolar modo a quelle assistenziali basate su iniziative private (Valerio) o di associazionismo (il doposcuola).
La questione dell’accesso originario, da parte dei napulengre di Marozia, al mercato delle droghe come risorsa economica e di guadagno locale, è una ricostruzione di questa particolare informatrice, derivata dalla sua esperienza biografica; anche se Cicerenella narra di forme illecite o informali di sussistenza, come piccoli furtarelli, ma principalmente elemosina, già praticate nel centro cittadino in passato dalla sua famiglia, ella ravvisa la novità di accesso alla nuova risorsa (la droga) da parte del suo gruppo sociale (fondamentalmente parenti: tutti i napulengre del comprensorio hanno lo stesso cognome89) come un momento che ha accompagnato l’integrazione a Marozia, specialmente attraverso la generazione che qui è cresciuta, coloro che ora hanno un’età tra i 15 e i 30 anni circa.
Vi è da aggiungere una considerazione: un’ulteriore risorsa a cui hanno avuto accesso i giovani napulengre, superato il periodo del conflitto iniziale e dopo anni di più o meno difficile convivenza, è l’offerta locale di manovalanza per il mercato dell’edilizia. Tale possibilità l’hanno ricevuta da alcuni dei ‘vecchi’ occupanti, impegnati in quel settore, che, fidandosi gradualmente di quei ragazzi, cresciuti sotto ai loro occhi e accanto ai loro figli, hanno cominciato a reclutarli al pari di altri residenti “italiani italiani” (come ama dire Umberto, creando una triplice distinzione tra italiani, rom italiani e rom rumeni):
Come t’ho detto, ce stanno pure quelli bravi. Lavorano, fanno i muratori, io me li porto in cantiere con me. Me chiamano zio come gli altri ragazzi che hai
139 conosciuto, li ho visti crescere... e po’ ce stanno quelli che te vonno solo frega’.
Ma si sa chi sono. (Umberto, 21-02-2018)
Umberto pone le regole per la gestione ‘interna’ degli spazi; oltre ad avere un ruolo essenziale di “custode” dell’ordine e della pulizia dei viali e delle strade, pone anche le regole di accesso, assieme ad altri ‘vecchi’, al mercato del lavoro ‘non illegale’90.
Umberto e gli altri custodi pongono delle regole, una di questa è la tranquillità e la ‘difesa’ del quartiere (il che ha mutevoli significati): quando i rom rumeni (del campo vicino) prendono “l’abitudine” di occupare all’alba i marciapiedi del comprensorio per trasformarli in un mercato di oggetti usati (presumibilmente oggetti di recupero sottratti alle discariche, e non tutti rubati), allora la strategia del gruppo residente è attivare una spedizione che sgomberi le strade e dia una “lezione” agli estranei. A quella spedizione (ce ne sono poi state diverse) partecipano anche i miei informatori napulengre, a riprova che il processo di integrazione nel quartiere si è svolto e si svolge, soprattutto, attorno all’accesso alle risorse locali e alla loro salvaguardia. I maroziani che scacciano “gli zingari” del campo agiscono per tenere “pulito”, (ripetono spesso) “dignitoso”, l’ambiente e il loro comprensorio dimenticato dalle istituzioni. Si attiva però anche un secondo livello di convenienza: a Marozia ci sono ronde della polizia in borghese, come detto in precedenza, chiaramente riconoscibili. Le ronde a cui ho assistito scandiscono quasi i tempi della piazza, con avvisi sonori e segnali per indicare il loro arrivo e i giovani, sia appartenenti al gruppo napulengre che a quello di Ahmed (i ragazzi del “bare”) che scappano, facendo il “vento”. Si tratta di ingressi della forza di polizia ordinari, gestibili, quindi non problematici per i ragazzi coinvolti nello spaccio di sostanze stupefacenti. Il permanere, invece, di un mercato illegale d’altro genere, per strada, attirerebbe ulteriore attenzione da parte della polizia, o il rischio che si verifichino, dinanzi e all’interno del comprensorio, dinamiche non gestibili, dato che tale compravendita di oggetti ‘usati’ attira folle di clienti ‘poveri’ dalle aree limitrofe a Marozia. È in tale contesto che il razzismo di attori sociali interni ‘forti’, come Umberto, viene indirizzato attraverso la strategia del “custodire”.
Che si tratti di risorse sociali (doposcuola, palestra, ecc.), dell’accesso al lavoro formale o ‘non illegale’ (specie nell’edilizia), oppure dell’accesso a un’attività illecita (come il mercato delle droghe, in particolare quelle ‘leggere’), sono sempre – anche –
90 Attività sostanzialmente non illecite, anche se – è il caso dell’edilizia – si può, talvolta, trattare di
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le condizioni materiali di chi cerca di raggiungere tali risorse a scandire l’impiego di tattiche o strategie individuali.
Alcuni attori sociali, che hanno assunto negli anni posizioni di forza, ad esempio conquistando più spazio, hanno tutto l’interesse ad essere riconosciuti come ‘custodi’ anche dalle istituzioni esterne, ad essere guardati come una presenza positiva, di riscatto per il quartiere: da qui il loro impegno nel comitato locale, nella pulizia delle strade, la loro intermediazione per trovare lavoro o fornire cure a chi se la passa male. Questi attori sociali adottano come strategia il non lasciarsi coinvolgere – almeno direttamente – in traffici o attività chiaramente illegali, come lo spaccio di droga. Pur ammettendo di aver fatto diversi danni in passato (i “danni seri”), ora si trovano a proprio agio inventandosi un ruolo di ‘buoni vecchi’: potrei dire che le azioni di forza (o illecite) praticate in passato hanno costituito – per queste persone – un’accumulazione primaria di risorse che ora va strategicamente difesa.
Al tempo stesso, rientra nelle strategie dei custodi il lasciare aperta, non negandola ad altri residenti, la possibilità di avere un minimo vantaggio dalle risorse locali: siano esse legali, illegali o semplicemente informali. Questi punti si chiariranno meglio seguendo le vicende del gruppo del “bare”.