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PARTE I. PERCORSI TEORICI

I.1 Bande giovanili e studi sociali

I.1.4 Per un framework globale e non categorizzante

John M. Hagedorn nel suo “A world of gangs” del 2008 prende le distanze dalla prospettiva criminologica dominante, a forte matrice tassonomica ed essenzialista, ed in particolare dal già citato gruppo di ricerca – da lui brevemente frequentato – di

Eurogang. Scrive Hagedorn (2011: 17): «ero disgustato dall’esportazione spudorata in

Europa della ricerca statunitense sulle gang e iniziai a rivolgermi alle esperienze molto più variegate delle gang del terzo mondo […] I gruppi di giovani armati di cui avevo appreso direttamente dai ricercatori in Africa, Asia e America latina mi hanno insegnato che un framework globale risulta ben diverso dalle statiche “definizioni ufficiali” della realtà criminologica degli Stati Uniti». Hagedorn ha dalla sua oltre vent’anni di studio sul campo delle gang da Milwaukee a Chicago e la partecipazione a numerosi studi internazionali comparativi. Il suo lavoro si basa su tre punti chiave: 1) le gang non sono una forma univoca ma la declinazione locale di molteplici forme di gioventù armata che occupa spazi “non controllati” dei sobborghi urbani; 2) le gang

presenza”: «da un lato riscoprono, riaffermano, ritraducono le proprie origini latinoamericane, dall’altro le rivendicano, e le agiscono, in termini di identità e di pratiche distintive» (Queirolo Palmas 2006: 154).

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subiscono l’influenza di forme di oppressione strutturale, dal razzismo alla povertà dei quartieri degradati, e sono reazioni disperate all’ineguaglianza persistente; 3) le gang contengo aspirazioni e una forza dell’identità – che esse costruiscono localmente – espresse anche da stili globali come la musica e l’arte hip hop, un luogo terzo da cui partire per incoraggiare “identità di resistenza” culturali da ricondurre a movimenti sociali (ivi: 24-25).

L’ultimo punto, come visto dai lavori di ricerca-azione descritti nel paragrafo precedente, è la linea che ben contraddistingue gran parte di una ricerca ‘antagonista’, orientata a trasformare lo stigma di partenza delle organizzazioni di strada in emblema di resistenza, attraverso progetti calati negli spazi politici urbani (movimenti sociali). Voglio però soffermarmi sui punti precedente. Nel primo Hagedorn mette in luce che le esperienze di gang stabili – definite per varie ragioni “istituzionalizzate”, cioè che permangono nel tempo e nello spazio oltre gli attori che le hanno generate o vissute per primi ed esercitano un potere forte su zone urbane e gruppi ‘etnici’ – sono solo una parte di un continuum della violenza in cui si dipanano svariate tipologie di gruppi più o meno armati, più o meno organizzati, che di volta in volta vengono definiti gang. L’autore afferma, al tempo stesso, che non è la globalizzazione la causa delle gang, seppure si tratti di un fenomeno globale. La loro crescita è in relazione con l’urbanizzazione massiccia, con l’immigrazione, con la povertà, con l’indebolimento degli stati (ivi: 24). Il secondo punto, collegato al precedente, mette in luce come la costruzione identitaria che si opera per mezzo di una banda sia una reazione a una subalternità esistenziale e sociale e che, dunque, ricollegandoci a Barrios (2008: 35) il loro “stare lì”, la loro esistenza, sia essa stessa un “atto di classe”.

Date queste premesse, le bande narrate da Hagedorn non possono essere considerate entità stabili e chiaramente definite in quanto «[le] gang di giovani di oggi domani potrebbero diventare posse di droga o, in alcuni luoghi, anche trasformarsi in una milizia etnica e il giorno dopo in un gruppo di vigilanza» (Hagedorn 2011: 26). Globalità del fenomeno, dunque, al pari di un urbanesimo che si dipana gentrificando e ri-periferizzando al tempo stesso. La critica di Hagedorn è mossa anche contro la retorica operata in molte città occidentali – si riferisce al contesto statunitense, ma il fenomeno è ben noto anche nelle nostre metropoli – che accompagna la trasformazione di quartieri prima ‘degradati’ in residenziali. Tale retorica punta tutta sul concetto di ‘sicurezza’: trasformare i quartieri per renderli più sicuri, per rendere la

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città sicura. Quale ‘città’ resta sempre da chiarire, così come quale ‘sicurezza’ e, soprattutto, ‘per chi’. Gli strati subalterni sono sospinti in nuovi sobborghi, ultra- periferizzati in una ennesima topografia dell’invisibilità. Nella metropoli americana osservata da Hagedorn la contropartita di tale retorica securitaria è il pensiero della “cultura della strada” (ivi: 33), che legge la gentrificazione (in genere la sostituzione di afroamericani, ispanici e immigrati poveri con i bianchi ricchi) come una sorta di “pulizia etnica interna”, una “guerra segreta”.

Le città dei nostri giorni sono contese, secondo Hagedorn, ed esprimono a pieno le contraddizioni del neoliberismo; esse mostrano la sconfitta di uno Stato che si arrende alle ragioni del mercato, riproducendo meccanismi di ineguaglianza sociale ammantati da retoriche morali o securitarie. Le gang si configurano, dunque, come una caratteristica inalienabile delle nostre città contese. Forse possiamo ripensare a quell’aggettivo ‘interstiziale’ che quasi cent’anni prima Thrasher attribuiva alle bande di una lontana Chicago degli anni Venti. Solo che, questa volta, le fessure, gli interstizi in cui nascono e crescono organizzazioni di strada e gruppi giovanili – etichettati o autodefiniti bande – sono al centro delle stesse città, fisicamente e simbolicamente divise da confini etnici, razzismi, estremismi religiosi, diseguaglianze economiche e di genere, nonché politiche dell’intolleranza. «Finché la nuova economia globalizzata e la gestione politica produrranno ineguaglianza e prolungheranno la sofferenza, le gang saranno una panoplia di atteggiamenti rabbiosi e, spesso, armati» (ivi: 34).

Dello stesso anno di “A world of gangs” (2008a) è il lavoro di Loïc Wacquant “Urban

Outcasts”. Le gang compaiono nell’opera di Wacquant all’interno delle più ampie e

complesse dimensioni dell’iperghetto americano e delle banlieue francesi. Si tratta di un testo manifesto per quell’indirizzo di studi sociali ‘schierati’ dalla parte della nuova forza lavoro precaria della città post-industriale, in un’ottica dichiaratamente comparativa, tra la West Side di Chicago e la periferia parigina. Per Wacquant lo Stato statunitense e quello francese, pur avendo attraversato entrambi una radicale ristrutturazione economica lungo linee post-industriali, sono approdati – a causa di sostanziali differenze nella loro struttura sociale e nelle diverse strategie politiche adottate – a forme molto differenti di “marginalità avanzata”13. Mi soffermerò più

13 Con questo termine Wacquant vuole, da un lato, offrire un dispositivo concettuale per catturare

modelli comuni di emarginazione socio-spaziale in diverse società post-industriali, e da un altro lato tentare di identificare i meccanismi che producono significative variazioni di marginalità nelle diverse società.

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avanti su altri aspetti del lavoro di Wacquant. Qui mi preme sottolineare come la sua linea di analisi rintracci un punto di convergenza in realtà eterogene, non solo statunitense e francese, nell’indicare come in gran parte delle società contemporanee il bisogno di agitare il fantasma di nuovi ‘barbari’, tra cui le gang urbane, sia finalizzato all’ottenimento di due risultati significativi nel governo dei soggetti: attraverso processi di ‘criminalizzazione’, la sostituzione di politiche sociali con politiche penali e di controllo e, per mezzo del dibattito pubblico, la trasformazione del concetto di sicurezza sociale in quello di sicurezza tout court (Wacquant 2008).