PARTE II. ITALIA: R-ESISTENZE DALLA PERIFERIA ROMANA
II.3 Gangster a Marozia
II.3.3 Razzismo strategico, economia morale ed etica della sussistenza
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Mettermi sulle tracce del ‘fatto’ di cronaca non mi ha condotto alla ‘scoperta’ di una nuova temibile gang di quartiere, ma mi ha permesso di dialogare con due generazioni di abitanti di Marozia: i ragazzi del “bare” (come piace loro chiamarsi ironicamente) e Umberto, assieme ad altri adulti del ‘comitato’ locale, vale a dire i primi occupanti del comprensorio. Questo dialogo si è incentrato su una delle diverse ‘zone grigie’ che connotano l’orizzonte morale dei miei informatori: custodire il quartiere, per alcuni soggetti forti, vuol dire adoperare la violenza per affermarsi negli interstizi tra condotta lecita e illecita di soggetti terzi, che progressivamente si posizionano su un campo di poteri. Cercherò di chiarire quanto affermato per mezzo dell’etnografia. In merito all’episodio riportato nel paragrafo precedente, non ho ricevuto nessuna ammissione del tipo «siamo stati noi, gli adulti, ad ordinare ai ragazzi una spedizione punitiva» ma, come rinvenibile nelle dichiarazioni di Umberto, i giovani sono da considerarsi già ‘educati’ ad un’etica del ‘rispetto’ e della ‘difesa’ del quartiere.
Io non credo che abbia inciso più di tanto che la ragazza coinvolta sia stata figlia di una famiglia, diciamo, ‘importante’ qui… ho visto accadere queste cose altre volte, si cresce così, i ragazzi difendono tutta una serie di… come li posso chiamare?… ‘piccoli onori’, che poi un po’ se li creano loro questi ‘onori’… ma un po’ li prendono dai grandi… ma non sono una banda, come scrivono i giornali. Quello è uno stigma che gli attaccano addosso. Poi che vuol dire una ‘banda’? I ragazzi stanno sempre assieme, sono una famiglia… nel bene e nel male. Fanno anche cose che non sono accettabili, che sono illegali… ma lo fanno assieme, si muovono come sempre insieme. (Camilla, 22-05-2018).
Camilla è amica dei ragazzi, ha studiato più di loro, ha 21 anni ed ha interrotto la sua carriera universitaria, ma è una persona molto curiosa e attenta ai temi delle scienze sociali, ed infatti il suo modo di parlare si distingue da quello degli altri del gruppo. Il sistema di ‘piccoli onori’ che Camilla percepisce è una costruzione continua di prestigio, ma anche difesa di posizioni acquisite.
Il modo migliore attraverso cui persone come Umberto – attori sociali che ho chiamato in qualche modo ‘forti’ – possono riaffermare il loro ruolo di custodi è per mezzo di azioni su elementi facilmente percepiti (o segnalati) come perturbanti: ad esempio, così vanno lette le affermazioni di Gino (supra: II.2.2) in merito ai passati ‘attriti’ con il gruppo rom napoletano e degli interventi dei “vecchi” abitanti per punire comportamenti reputati asociali. Come riportato nel paragrafo precedente, ciò che ha
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reso inaccettabile e, dunque, punibile la presenza dei nuovi arrivati – i “napulengre”81 – è stato, all’inizio, il loro cercare guadagno ‘approfittando’ dell’alloggio assegnato dal Comune, sublocando gli appartamenti – a stranieri82 – per trasferirsi nelle roulotte parcheggiate nella piazza principale del comprensorio. Un tentativo di speculazione, come visto, immediatamente bloccato.
Tutti, vabbè non tutti, diciamo tanti c’hanno i loro affari… come ti devo dire… pure loschi e, comunque, quasi tutti ce so’ passati […] o alle strette ci possono entra’ in queste cose… sì, parlo di spaccio, furtarelli, rapine, vabbé… ma quelle sono cose che devi fare sennò non c’hai niente, e soprattutto si fanno fuori da qui. Ma quando so’ venuti gli zingari napoletani era diverso… non è che gli dovevamo dire noi come campare, nessuno gli diceva cosa fare per campare… ma non potevano venire a guadagnare sulla misera degli altri poveracci […] Tu è come se stai rubando qui, se affitti l’appartamento che ti hanno dato ieri e, per giunta, trasformi la piazza, che è di tutti, in un campo di roulotte! Nun te pare? (Gino, 25-01-2018)
Più in profondità, l’attacco verso l’estraneo – i rom napoletani assegnatari – ribadisce la distanza, da conservare strategicamente, tra un ordine visibile ed uno invisibile dello sfruttamento delle case come ‘risorse’ interne e fonte di guadagno, piuttosto che come semplici alloggi:
Anche altri, i primi arrivati, hanno fatto quello che volevano con gli ‘allargamenti’. Poi le case qui si sono continuamente trasformate. Chi ha occupato un’altra casa si è fittato lo spazio che aveva prima… però c’è modo e modo di fare le cose (Tullio, 13-02-2018).
81 Altro appellativo con cui è storicamente noto il gruppo rom napoletano. Un quadro di riferimento
della distribuzione di gruppi rom regionali è rinvenibile nel “Rapporto conclusivo sulla condizione di Rom, Sinti e Caminanti in Italia”, prodotto dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani (Senato della Repubblica 2011).
82 I rom napoletani (o napulengre) di Marozia, assegnatari di case nel comprensorio, sono cittadini
italiani. Da qui deriva un primo ‘effettivo’ e politico distinguo che viene operato non solo dalle autorità comunali, ma anche dagli altri residenti del comprensorio rispetto ai rom rumeni del campo poco distante. A proposito del complesso quadro inerente alla cittadinanza e allo “status civile” delle minoranze rom è stato scritto molto (cfr. Piasere 2009). Mi soffermo brevemente su due aspetti: le «comunità che sinteticamente identifichiamo con l’appellativo di Rom si compongono di almeno tre categorie di soggetti dotati di un differente patrimonio di diritti: cittadini italiani, cittadini di altri Stati membri [cioè dell'Unione Europea], extracomunitari. A questi [...] potrebbero aggiungersi gli apolidi e i rifugiati» (Loy 2009); «Rom e Sinti aventi cittadinanza italiana sarebbero circa la metà dei presenti sul territorio, con un’altra metà di stranieri di cui il 50% proveniente dalla ex-Jugoslavia e il restante dalla Romania, con presenze minori da Bulgaria e Polonia» (Senato della Repubblica 2011: 22).
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Come in precedenza, Tullio mi parla, prendendo posizione – il ché a Marozia, più che mettere a rischio l’incolumità della persona, è indice o ‘scelta’ di isolamento83 – di
quella che Gustavo (supra: II.2.2) definisce una piccola “mafietta”. Questo fenomeno dello ‘sfruttamento’ economico o ‘messa a valore’ di porzioni di appartamenti, acquisiti al tempo degli allargamenti autorizzati (primi anni 2000), o di secondi appartamenti occupati, è un fenomeno presente ma – è importante sottolinearlo – non riguarda la maggioranza degli abitanti di Marozia. La gran parte dei residenti vive quotidianamente la drammaticità dell’emergenza abitativa, così come molti dei giovani da me intervistati descrivono – pur essendoci cresciuti – le loro dimore come “case parcheggio” (Philippe 13-04-2018): una dimensione, uno spazio ‘misero’ poiché minimale, in termini di metri quadri, ma anche di servizi e accesso ad un uso ‘intimo’ di quello stesso spazio. Gustavo parla di “mafietta”, infatti, non solo per i metodi che hanno portato ad una situazione di privilegio/sfruttamento tra ‘poveri’ (allargamenti forzati, sgomberi coatti dei più deboli, intimidazioni, ecc.) all’interno del comprensorio, ma anche perché il fenomeno è circoscritto ad alcuni gruppi da cui egli prende le distanze.
L’attacco verso i rom “napulengre”, che sono entrati con simili – ma non identici – intenti, nell’acquisizione degli alloggi e nello stravolgimento del loro uso (mettendoli a reddito), risponde ad un ‘razzismo strategico’. I nuovi arrivati sconvolgono lo stato di fatto – i “piccoli onori” – del quartiere in più modi: non si sono preoccupati di considerare, forse ignorandoli deliberatamente, i detentori locali di potere (coloro che sono entrati per primi, che hanno resistito agli sgomberi, ai trasferimenti, curato il quartiere e messo a valore alcuni immobili occupati) e, cosa ancora più grave, hanno reso evidente lo sfruttamento degli immobili assegnati (insediandosi con le roulotte per liberare gli appartamenti da riaffittare), hanno cioè letteralmente ‘messo in piazza’ il loro interesse particolare.
Al contrario, i detentori locali di potere – che dal punto di vista di Gustavo e di altri sono la “piccola mafietta” – accompagnano la gestione dei propri interessi personali a quella di ‘alcuni’ interessi collettivi locali, specie attraverso le strutture e gli edifici stessi; costoro sono, infatti, responsabili dell’occupazione di immobili messi poi a valore anche ‘sociale’ o ‘collettivo’: le sale ‘donate’ alle suore, gli ambienti per il
83 Isolamento sociale («Mi faccio i fatti miei … non frequento nessuno, anche mia figlia sta a casa solo
per dormire…» Gustavo 25-02-2018), che si traduce anche in esclusione da certe reti di ‘protezione’ o di sussistenza complementare, come emergerà in seguito (infra: II.4.2).
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doposcuola, un locale per le feste private per i bambini (comunioni, compleanni, ecc., quest’ultimo molto importante in mancanza di qualunque struttura imprenditoriale della ristorazione o dell’intrattenimento) e, per un certo periodo, anche una palestra di quartiere, gratuita per i ragazzi, con tanto di attrezzi ricevuti da donatori o rimediati in qualche modo.
I “napulengre” al loro ingresso hanno, dunque, spezzato anche questa ‘circolarità degli interessi’, l’equilibrio implicito tra utilità privata e restituzione pubblica, che poi è la giustificazione ideologica attorno al ruolo di coloro che ho chiamato “custodi”, qui a Marozia. Per dirla in altri termini: il razzismo ‘attivato’ contro i “napulengre”, al loro ingresso, è da considerarsi ‘strategico’ poiché mira a evidenziare, a sostanziare, le differenze – etniche, ‘esotiche’, di un gruppo – tanto che in questa prima fase si ignora totalmente la comune cittadinanza italiana tra nuovi arrivati e maroziani della ‘prima ora’ – per mettere in luce una natura ‘altra’...
Quelli so’ diversi [ma poi] abbiamo risolto [...] (Umberto 21/02/2018)
... che deve essere disciplinata:
[...] so’ arrivati con certe intenzioni [...] ma poi li abbiamo raddrizzati (ibid.).
Questo razzismo essenzializza una diversità sociale – la povertà dei napulengre trasferiti a Marozia è reale – in una ‘natura’ predatoria, cattiva, disonesta, fraudolenta:
Gli zingari so’ fatti così, pensano solo ai cazzi loro e subito se ne vogliono approfittare. Se vennerebbero pure ‘a madre, guarda! (Maurizio, 24-02-2018)
Il razzismo che si fa azione (“raddrizzarli”, cioè lo scontro fisico e le minacce che mettono fine al tentativo di speculare sulle case) rimarca le categorie morali locali, o meglio l’economia morale di Marozia. In primo luogo, il rispetto verso chi ha ‘fondato’ il comprensorio, che si traduce – anche – nell’approvazione da parte dei ‘poteri locali’ ad agire, il che è ben diverso dalla separazione ‘esterna’ (cioè etero- prodotta dal diritto ‘positivo’ e dai codici di leggi) tra ciò che è lecito e ciò che è illecito.
Indicativa è la figura di Valerio, un pugile imprenditore, che ha aperto da soli tre anni una palestra di boxe al centro di Marozia. Valerio è stato uno dei miei primi contatti e informatori locali. Lo avvicino – la prima volta – perché nel ‘deserto’ strutturale che
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caratterizza fortemente il comprensorio, il suo centro pugilistico appare come una sorta di oasi di ‘socialità’. Nel momento in cui decide di condividere con me la sua esperienza, io sono totalmente all’oscuro di tutte le dinamiche descritte poc’anzi.
I. Sono arrivato qui tre anni fa. Non ho mai abitato a [Marozia], ma ci abitava mia nonna. La venivo a trovare da ragazzino […] ho fatto il pugile, poi ho cominciato ad allenare, alleno anche [mi fa il nome di un pugile professionista]... me lo sono portato qui dopo che ho chiuso la palestra a [Roma nord].
R. Hai avuto problemi ad aprire la palestra qui?
I. Qualcuno. Mo ti spiego. Qua ci sono due gruppi, diciamo che se la comandano per bene… uno è quello degli zingari napoletani, soprattutto quel lato là (indica un palazzo in particolare). Poi c’è il gruppo di altri che conosco meglio… so’ romani questi, stanno qui da trent’anni. Io ho chiesto se c’era la possibilità, mi so’ presentato in un certo modo.
R. Che vuol dire?
I. Ho spiegato cosa ci volevo fare… che mi portavo i ragazzi da fuori, quelli che mi seguono, ma che poi mi mettevo a disposizione per la gente di qui … guarda là? (indica due ragazzi di tredici/quattordici anni circa e si rivolge a loro) che state a fa’? (I due ragazzi lo salutano) Quando venite in palestra? (I due ragazzi gli dicono che non è “aria”. Poi Valerio si rivolge di nuovo a me) Guarda … guarda là, si mettono all’angolo, mo tra poco vedi compari’ qualche macchina e si mettono a spaccia’… io me li prendo quando posso, ma non li trattieni sempre.
R. Mi stavi dicendo come ti sei presentato al gruppo ‘romano’, diciamo così. I. Sì. Questi locali fanno parte della palazzina, cioè del condominio. E la
palazzina ora è del Comune di Roma. Quindi sono andato al Dipartimento (municipale) a chiedere le autorizzazioni... ma nessuno mi ha cagato. Allora ho scoperto che c’aveva il comodato d’uso una persona di qua, uno del gruppo romano attraverso una sua associazione; questo è uno che da poco è entrato al Dipartimento. Lui così mi ha ceduto il suo comodato d’uso... che ad oggi non si sa per quanto tempo dura... Questo personaggio mi conosceva, sapeva che avevo mia nonna qua, tutti sanno che sono ‘a posto’... non è che uno viene e fa’ come gli pare, sennò è difficile che ci resti a lungo. R. Quindi tutto liscio alla fine?
I. Insomma... come si è sparsa la voce che volevo farci una palestra... so’ venuto qui e me so’ trovato il locale occupato.
R Da chi?
I. C’era de tutto dentro. Extra-comunitari, bangladini... gente che ci dormiva e che s’era fatta l’appartamento.
(Intervista a Valerio, 28-10-2018)
Nonostante abbia ottenuto – attraverso un passaggio di ‘carte’ – l’uso ufficiale della struttura, delle mura, a questo punto, sempre passando per i ‘piccoli’ poteri locali, Valerio si sente autorizzato a procedere con una sua spedizione di ‘sgombero’:
130 I. Che dovevo fa’? Neanche a loro (ai residenti) poteva andare bene quella
cosa là. Si mettevano come barboni, facevano uno schifo... poi qualcuno ce li aveva mandati di sicuro...
R. Chi?
I. Qualcuno, a cui non stava bene, aveva fatto la spiata che c’era sto posto. Li ha messi pure in mezzo a sti poveracci che hanno occupato...
R. Quindi che hai fatto?
I. Calci, pugni, cazzottoni, li abbiamo mannati fuori. Ho recuperato tutto tranne quel pezzo lì (indica una porzione del caseggiato che forma la palestra)... là hanno tirato su un muro di notte... ma lo hanno fatto quelli del palazzo... perciò mi so’ dovuto stare.
(Ibid.)
Valerio, nonostante le sue ‘precauzioni,’ si trova immediatamente al centro di un gioco di opportunità e iniziative di occupazione. Da notare che la parte che viene sgomberata è occupata dagli “extra-comunitari” appena arrivati – estranei “venuti dal nulla” –, dai “bangladini”, come li chiama Valerio. Questi però sono gli occupanti solo di una parte della struttura, cioè della parte prospiciente alla strada e all’area di parcheggio. Mentre le attenzioni – anche di Valerio – si concentrano su questi occupanti antagonisti, altri (i residenti di un appartamento confinante alla palestra) riescono a praticare un ‘allargamento’, spostando una parete all’interno dei locali e ‘invadendo’ circa 30mq. Valerio si è al momento rassegnato all’idea di non recuperare quello spazio. D’altronde, la sua attività di ‘imprenditore’ si basa su delicati equilibri: lo spazio che ha ottenuto è gratuito, i lavori di ristrutturazione hanno però un costo e sarebbe grave scatenare una guerra permanete con i ‘nuovi’ vicini, il che si tradurrebbe in vandalismo e altre ostilità, che per lui rappresenterebbero nuove spese.
I. Io qui mi prendo cura dello spazio... il verde qui attorno, l’illuminazione di questa area attorno al palazzo è mia... pure là, guarda ... li vedi i cavi della corrente? Quelli sono i miei e vanno a finire in quell’appartamento; poiché sono in regola, grazie al comodato d’uso, posso avere la corrente col contatore. Come vedi ci ho fatto attaccare la famiglia che ci abita sopra. Va bene così.
R. In che senso va bene così?
I. Qui le cose si fanno in certi modi. Ti puoi fare i fatti tuoi, a patto che pure per gli altri c’è un minimo. Se vieni qui e pretendi di prendere solo... come posso dire?... ti bruci.
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Trovo le argomentazioni di Valerio molto interessanti se analizzate alla luce del conflitto, avvenuto tempo addietro, tra i napulengre e i maroziani ‘originari’. Ci sono diversi elementi del discorso che vanno sottolineati: a) Valerio non è radicalmente ‘nuovo’, ha già i suoi contatti, una precedente frequentazione del territorio e sa riconoscere gli schieramenti di potere locale; b) nell’economia morale locale, il tentativo di una famiglia di “allargarsi”, per acquisire più spazio domestico, non è considerato un illecito radicale, ma un’opportunità sempre possibile e ‘giustificata’ se si hanno i mezzi e la ‘scaltrezza’ necessaria (si legga così l’impiego di soggetti ‘terzi’, stranieri, per distrarre il titolare degli spazi, cioè Valerio, attraverso un’occupazione improvvisa); c) se ci si vuole stabilire nella comunità locale, facendosi accettare, vale a dire integrandosi anche dopo (e attraverso) un primo conflitto, si deve riconoscere e aderire – il prima possibile – ad una legge non scritta di ‘reciprocità’, cioè partecipare di una determinata etica della sussistenza84.
Tale etica della sussistenza si traduce nelle parole e nelle pratiche dei miei interlocutori in una convinzione profonda: qui a Marozia, tutti hanno diritto – pur nella marginalità – a cercare un minimo di vantaggi, di risorse; questo ‘minimo guadagno’, a cui tutti hanno diritto ad aspirare, sposta continuamente la soglia tra ‘lecito’ e ‘illecito’. È in tale senso che i rom napoletani possono essere dapprima affrontati con
84 Il dispositivo concettuale di “etica della sussistenza” trae origine dalle riflessioni di James C. Scott
sulle economie contadine del sud-est asiatico. L’autore adotta anche l’espressione “economia morale”, coniata in precedenza dallo storico E.P. Thompson che, nel celebre scritto “The Moral Economy of the
English Crowd in the Eighteenth Century” del 1971, esamina i tumulti annonari dell’Inghilterra del
‘700, cioè i moti popolari contro il rincaro del prezzo del pane, che costituiva l’alimento essenziale della popolazione. L’espressione voleva riferirsi a una visione dei rapporti economici ispirata non al profitto dei singoli ma alla ricerca del benessere collettivo. Le rivolte analizzate da Thompson lasciano emergere ‘nozioni di legittimità’, cioè concezioni popolari condivise di quel che è giusto o sbagliato. Per comprendere le rivolte, all’ovvio peso dei fattori materiali occorre dunque accostare l’“economia morale del povero”, la visione popolare delle norme e delle condotte cui le diverse figure sociali devono attenersi, specie in situazioni di crisi. I mugnai e i fornai erano, infatti, considerati come persone al servizio della comunità, che non lavoravano per profitto, ma per un’equa ricompensa e vigeva ben salda la convinzione per cui i prezzi andavano di necessità regolati, in tempi di particolare scarsità, e chiunque avesse invece cercato di guadagnarci si sarebbe messo automaticamente al di fuori del consesso civile (Thompson 1971: 83-112). Per Thompson era “innaturale” agli occhi dei contadini l’idea che qualcuno potesse trarre profitto dalle necessità altrui. Pochi anni dopo, nel 1976, James C. Scott pubblica “The Moral Economy of the Peasant: Rebelion and Subsistence in Southeast Asia”, argomentando come nelle società agricole premercantili esisteva un sistema di economia morale imperniato sull’“etica della sussistenza”, per cui spettava di diritto ad ogni singolo membro della comunità un tenore minimo di vita. Per Scott le norme che formano l’economia morale erano vincolanti tanto per le élite locali quanto per i membri del villaggio più poveri, argomentando come tutta una serie di casi di omicidio, verificatisi nei primi anni Trenta in Vietnam, fossero da ricondurre al mancato rispetto da parte di notabili locali delle norme redistributive (Scott 1976: 145). L’antropologo conclude che il principio morale della reciprocità – combinato con il diritto alla sussistenza – sia stato una componente fondamentale della vita contadina in quel contesto, e probabilmente della vita sociale in generale (ivi: 167).
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violenza, se si reputa che essi intendono approfittarsi del territorio e delle sue risorse, ma in una seconda fase gli stessi soggetti – come poi si vedrà – possono divenire alleati contro altre intrusioni85.
Valerio è autorizzato a ‘guadagnare’ per mezzo della sua attività ma solo inserendosi nei conflitti e nelle aspirazioni locali, restituendo a chi fa parte del territorio. Valerio ‘restituisce’ così in diversi modi: non sollevando “casini” sull’allargamento illegale operato dai vicini – ma ‘nel contesto’ non considerato illecito, quanto piuttosto necessario perché ‘possibile’, realizzabile – e, dunque non attirando l’attenzione della polizia; fornendo una risorsa come l’energia elettrica, che egli vive come una specie di tassa obbligata ad un condominio ‘originario’; ed, infine, offrendo un ‘ritorno sociale’ della sua attività imprenditoriale:
I. I loro figli (dei residenti), quelli piccoli, di tutti qui... italiani, zingari, quando vogliono entrano in palestra e li faccio allenare... c’avevo pure uno ‘zingarello’ che mi stava crescendo bene, poteva diventare un campioncino, poi ha fatto qualche ‘cazzata’ e non si vede più in giro.