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La detenzione domiciliare come pena principale e la ‘detenzione del fine

4. Proposte attuali di alternative alla pena detentiva

4.3. La detenzione domiciliare come pena principale e la ‘detenzione del fine

4.3. La detenzione domiciliare come pena principale e la ‘detenzione del fine settimana’.

Abbiamo visto come già a partire dal progetto Grosso, venisse prospettata l’ipotesi di inserire tra le pene principali anche la detenzione domiciliare. Anche il progetto Nordio ed il progetto Pisapia riprendono questa proposta mentre il recente disegno di legge 5019-bis (d.d.l. Severino) propone addirittura di ricorrere in via ordinaria alla pena principale della detenzione domiciliare per tutti i reati che prevedono la pena della reclusione fino a quattro anni risultando così, in questi casi, eccezionale la detenzione in carcere. Dal momento che la proposta contenuta nel d.d.l. 5019-bis avrebbe ampliato notevolmente l’ambito di applicazione della detenzione domiciliare, non si esclude, laddove il giudice lo ritenga opportuno per motivi di sicurezza, il ricorso a «particolari modalità di controllo, esercitate attraverso mezzi elettronici o altri strumenti tecnici»114, termini con i quali si fa riferimento al c.d. ‘braccialetto elettronico’115.

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Così si legge all’art. 5 del d.d.l. 5019-bis, in www. camera.it.

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Con l’art. 16 del d.l. n. 341 del 2000, convertito con la l. n. 4/2001, il legislatore ha previsto, all'art. 275-bis del codice di rito, che il giudice, nel disporre la misura degli arresti domiciliari possa prescrivere, in considerazione della natura e del grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto, l'adozione di mezzi elettronici o altri strumenti tecnici di controllo, cioè il cd. ‘braccialetto elettronico’. Con gli stessi provvedimenti normativi, si è previsto all’art. 47-ter co. 4-bis dell’ ord. penit. che le disposizioni di cui all’art. 275-bis c.p.p. trovino applicazione anche in caso di esecuzione della misura alternativa della detenzione domiciliare. Il recentissimo d.l. 146/2013 abroga il co. 4-bis dell’art. 47-ter, trasferendo la relativa disciplina al nuovo art. 58-quinquies. Si sceglie, pertanto, di conservare nell’ord. penit. la previsione di un possibile ricorso al braccialetto elettronico correlato alla detenzione domiciliare, nonostante di fatto, fino ad oggi, ne sia stato fatto un utilizzo a dir poco irrilevante. Risulta infatti che dei 2000 braccialetti elettronici messi a disposizione dal 2005, solo 55 siano attualmente attivi, per decisione dei giudici operanti in soli otto uffici giudiziari italiani. Per quanto riguarda il suo funzionamento, il braccialetto elettronico si presenta come un braccialetto vero e proprio, di dimensioni contenute, che il soggetto dovrà portare alla caviglia; il dispositivo all’interno del braccialetto, collegato con la linea telefonica dell’abitazione presso cui il condannato sconterà la pena, è collegato ad una stazione operativa situata presso le centrali della Polizia di Stato, dei Carabinieri o della Guardia di Finanza; nel caso in cui il soggetto si allontani dall’abitazione o tenti di danneggiare il braccialetto, scatterà un allarme che consentirà un immediato intervento delle forze dell’ordine. Molti sono stati, negli ultimi anni, gli interventi che hanno denunciato la troppo scarsa applicazione di questo strumento nella prassi; Il TAR del Lazio, nella sentenza n. 4997 dell’ 1 giugno

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Questa soluzione, in effetti, permetterebbe di non relegare più la decisione di disporre la detenzione domiciliare alla fase esecutiva e di non ridurre più tale misura a semplice modalità di esecuzione della pena detentiva, trasformandola in pena applicabile in via principale con la sentenza di condanna116.

Tuttavia, sotto diversi aspetti, la detenzione domiciliare non sembra essere la soluzione più idonea a sostituire la pena detentiva. Innanzitutto, bisogna sottolineare che tale misura potrebbe risultare molto gravosa dal punto di vista psicologico, specie se applicata agli autori di reato che non dispongano di un contesto famigliare accogliente ed idoneo. Dal punto di vista della deflazione carceraria non si può essere certi che gli effetti saranno consistenti; molti soggetti non potranno comunque fruire della detenzione domiciliare, la cui applicazione è ragionevolmente preclusa a tutti coloro i quali abbiano compiuto un reato verso un membro della famiglia o una persona convivente; molti saranno anche coloro i quali non potranno accedere a questa ipotesi sanzionatoria in quanto privi di un domicilio idoneo; basti pensare che tra i condannati a pene detentive fino a tre anni, che sono appunto i destinatari

2012, con la quale annulla l’accordo tra il Ministero degli Interni e Telecom Italia per la fornitura dei braccialetti elettronici (pur lasciando la convenzione in vigore fino al 31 dicembre 2013), stigmatizza il sottoutilizzo di questi dispositivi; la Corte dei Conti, nella deliberazione n. 11/2012/G, evidenzia il costo esorbitante del sistema - di oltre dieci milioni annui - a fronte di esigue unità applicate dall’amministrazione giudiziaria; anche il Ministro dell’Interno, in un’interrogazione alla Camera dei Deputati durante la seduta n. 700 del 10 ottobre 2012, denuncia il cattivo utilizzo fatto di uno strumento che poteva rivelarsi importante nell’ottica di deflazione penitenziaria. Invero, il tipo di braccialetti elettronici messi a disposizione nel 2005, e tuttora a disposizione, presentano alcuni problemi: funzionano tramite allacciamento alla linea telefonica e per poter essere utilizzati, pertanto è necessario che il condannato alla detenzione domiciliare disponga di un abitazione vera e propria con corrente elettrica e allacciamento telefonico; inoltre, a differenza dei braccialetti elettronici dotati di sistema GPS, utilizzati in molti altri Stati europei, tra cui la Francia, in caso di allontanamento del condannato dall’abitazione non sarà possibile seguirne gli spostamenti. L’applicazione, seppur molto limitata, che si è fatta fino ad oggi dei braccialetti elettronici ha dato comunque risultati molto positivi; su 55 braccialetti elettronici in uso si è registrato un solo caso di evasione. Sarebbe pertanto utile, in un momento di insostenibile sovraffollamento carcerario come quello che sta vivendo oggi l’Italia, non lasciare intentata questa via. L’adozione del braccialetto, essendo un valido deterrente alle violazioni dell’obbligo di permanenza presso la propria dimora, incide direttamente sulla capacità effettiva di autocustodia di chi è sottoposto alla detenzione domiciliare e, di fatto, rafforza il divieto di allontanamento dalla propria abitazione, in modo tale da poter pervenire ad un accertamento di idoneità di tale misura per un numero maggiore di soggetti, consentendone l’applicazione in luogo della pena della reclusione in carcere in una casistica più ampia. In base a quanto disposto dal d.l. 146/2013 che all’58-quinquies, introdotto in sostituzione del co. 4-bis dell’art. 47-ter , richiama l’art. 275-bis c.p.p., la regola, in caso di detenzione domiciliare dovrà essere quella di ricorrere sempre al braccialetto elettronico, fatta eccezione per il caso in cui il giudice indichi specificamente i motivi per cui lo ritiene non necessario. In proposito BASSI-VON BORRIES, Il braccialetto elettronico: un dispositivo dimenticato, in Quest. Giust., 2013, versione on-line, sezione Prassi e orientamenti, in www.magistraturademocratica.it. Per un approfondimento sul tema del braccialetto elettronico cfr. CESARIS, Dal Panopticon alla sorveglianza elettronica, in (a cura di) BARGIS, Il decreto ‘antiscarcerazioni’, IV ed., Torino, 2001, p. 49 e ss.

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PELISSERO, La crisi del sistema sanzionatorio e la dignità negata:il silenzio della politica, i compiti della dottrina, cit., p. 263.

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principali dell’istituto della detenzione domiciliare, il 37,9% sono stranieri117, i quali, in buona percentuale, non avranno a disposizione un luogo adatto dove scontare la pena. Un problema di fondo deriva poi dal fatto che il ricorso alla detenzione domiciliare non è supportato, almeno nelle proposte elaborate fino ad oggi, da forme di sostegno o di trattamento, che invece, in qualche modo, dovrebbero essere assicurate se si vuole rispettare l’indirizzo indicato dall’art. 27 co. 3 Cost., secondo il quale la pena dovrebbe avere come obiettivo principale quello della rieducazione; il modello di detenzione domiciliare attualmente prospettato, sembrerebbe invece soddisfare esclusivamente esigenze puramente afflittive118.

Non si può tuttavia negare che la previsione della detenzione domiciliare come pena principale abbia anche aspetti positivi; come prima cosa, evita comunque l’ingresso in carcere, salvaguardando così il soggetto dal pericoloso contatto con l’ambiente penitenziario ed evitando che si verifichino tutte le conseguenze negative che da esso derivano, prima tra tutte quella del ‘contagio criminale’; oltre a ciò, la possibilità di prevede la detenzione domiciliare come pena principale, disposta dal giudice di cognizione anziché dal magistrato di sorveglianza, consentirebbe di intervenire in merito al problema dell’emergenza carceraria in maniera rapida, nell’attesa di interventi di più ampio respiro che, come tali, richiedono tempi più lunghi di elaborazione119. Il ricorso a questa forma punitiva potrebbe costituire, pertanto, una soluzione efficace da utilizzare nei confronti di quei soggetti che, per un certo tempo, debbano essere tenuti lontani da determinati ambienti o che comunque sia preferibile non fare entrare a contatto con il sistema carcerario120.

Una variante della detenzione domiciliare è rappresentata dall’obbligo di permanenza presso il domicilio, previsto in caso di reati di scarsa e scarsissima gravità, conosciuto anche come ‘detenzione del fine settimana’. Tale istituto prevede che il soggetto sia condannato a rimanere presso la propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in un luogo di cura, assistenza o accoglienza, nei soli giorni di sabato e domenica. La proposta di introdurre di un simile strumento tra le pene principali era stata avanzata nel 2005 dal progetto Nordio; la Commissione Nordio prende spunto dalla recente introduzione dell’obbligo di permanenza presso il

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Dati forniti dal «Decimo rapporto nazionale sulle condizioni di detenzione» presentato dall’ Associazione Antigone a novembre 2013, in www.osservatorioantigone.it.

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EUSEBI, La riforma ineludibile del sistema sanzionatorio penale, cit., p. 1323.

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PELISSERO, La crisi del sistema sanzionatorio e la dignità negata:il silenzio della politica, i compiti della dottrina, cit., p. 263.

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domicilio nel fine settimana tra le sanzioni applicabili in via principale dal giudice di pace in ambito penale (art. 53, d.lgs. 274/2000), che avrebbero dovuto fare da terreno di prova per una futura applicazione anche al processo ordinario. Oggi questa ipotesi, ancora prevista come sanzione principale applicabile dal giudice di pace, per quanto riguarda il processo ordinario sembra essere stata abbandonata e nei disegni di legge più recenti non ve ne è traccia; non è da escludere che un tale abbandono sia in parte dovuto ai risultati fallimentari ottenuti come pena applicabile dal giudice di pace visto che dal 2002 al 2011, presso il Tribunale di Milano, tale misura è stata applicata in tutto solo ventotto volte121.