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4. Proposte attuali di alternative alla pena detentiva

4.4. Le pene interdittive e prescrittive

Allo scopo di spostare il baricentro della risposta punitiva dalla detenzione carceraria ad altre forme di punizione, sarebbe utile incidere sul catalogo delle pene principali a disposizione del giudice di cognizione, introducendo sanzioni a carattere interdittivo e prescrittivo. Se già a partire dal progetto Grosso si ipotizza di inserire tra le pene principali quelle interdittive, con i progetti Nordio122 e Pisapia123 sia le pene interdittive sia quelle prescrittive sono proposte come pene principali che affiancano quelle detentive o comunque limitative della libertà personale; in entrambi i progetti tali sanzioni risultano graduate in base ad una logica di proporzione tra illecito commesso e sanzione prevista. Come risulta evidente dalla lettura dell’art. 17 c.p., nessun ampliamento delle pene principali in questo senso vi è stato fino ad oggi. Le sanzioni interdittive continuano ad essere previste come pene accessorie (art. 19 c.p.), mentre nel codice penale non vi è traccia di pene prescrittive disciplinate in maniera organica.

Le pene interdittive, nonostante le perplessità della dottrina riguardo ad un’ applicazione sotto forma di pena principale, dovute principalmente al timore che esse possano rivelarsi troppo stigmatizzanti, sarebbero interessanti dal punto di vista della prevenzione speciale, specie con riguardo a reati concernenti l’esercizio di funzioni pubbliche (tra cui quelle di natura politica) o la gestione di imprese124. Si tratta di una

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DOLCINI-MARINUCCI, Manuale di diritto penale, Parte generale, IV ed., Milano, 2012, p. 560.

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Il progetto Nordio disciplina le pene interdittive agli artt. 61-65 e le pene prescrittive agli artt. 66-71 dell’articolato del progetto.

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Il progetto Pisapia disciplina le pene interdittive all’art. 28, co. 1, elencandole alle lett. a-i e le pene prescrittive all’art. 29, co. 1 elencandole alle lett. a-i dell’articolato del progetto.

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EUSEBI, La riforma ineludibile del sistema sanzionatorio penale, cit., p. 1321; DOLCINI, Il castigo sia moderato ma certo, cit., p. 43.

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tipologia di pene molto delicate, non utilizzabili in modo indiscriminato ma che, al contrario, presuppongono un’accurata e difficile selezione delle violazioni rispetto alle quali esse possono essere ritenute adeguate125. L’ambito di applicazione nel quale possono operare come strumento di politica penale efficace e razionale è quello dei reati commessi nell’ambito professionale inteso in senso lato.

È vero che una riforma in questo senso non avrebbe un impatto diretto sul fenomeno del sovraffollamento carcerario, dal momento che i reati interessati dalla misura interdittiva non rientrano tra quelli che prevedono un’applicazione immediata della pena detentiva, ma verrebbe, comunque, assicurata una maggiore efficacia deterrente rispetto a sanzioni detentive che solitamente si rivelano inefficaci o sospese condizionalmente126. Comportamenti criminosi che oggi, di fatto, non portano praticamente mai il delinquente primario in carcere, quali le lesioni personali e gli omicidi colposi dovuti alla violazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro, la colpa medica o molti dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, potrebbero così essere sanzionati con pene interdittive effettivamente scontate, con un forte recupero dei margini di certezza della risposta penale 127.

Le pene di natura prescrittiva si distinguono in due tipologie con caratteristiche molto diverse tra loro. Da un lato, infatti, tali pene possono consistere in specifici divieti, molto simili a quelli già esistenti ed applicati nell’ambito delle misure di sicurezza (ad esempio il divieto di soggiorno in uno o più Comuni o in una o più Province, ex art. 215, co. 2, n. 2 c.p.) o delle misure cautelari (sospensione dell’esercizio della potestà genitoriale, ex art 288 c.p.p. o sospensione dell’esercizio di un pubblico ufficio o servizio ex art. 289 c.p.p.), che hanno lo scopo di sottoporre il condannato ad una sorta di controllo. Dall’altro, le prescrizioni possono consistere nella predisposizione di un percorso con finalità risocializzante, che prevede un impegno diretto del colpevole, da svolgersi con il supporto del servizio sociale; ed è questo l’aspetto decisamente più innovativo e promettente delle pene prescrittive128. Verrebbero pertanto trasfusi in una pena autonoma, inflitta con la sentenza di condanna, i contenuti che oggi caratterizzano la misura alternativa dell’affidamento

125

PALAZZO, Riforma del sistema sanzionatorio e discrezionalità giudiziale, cit., p. 103.

126

PELISSERO, La crisi del sistema sanzionatorio e la dignità negata:il silenzio della politica, i compiti della dottrina, cit., p. 263.

127

PETRINI, Certezza della pena e modelli sanzionatori, in (a cura di) PISA, Verso una riforma del sistema sanzionatorio?, Atti del convegno in ricordo di Laura Fioravanti, Genova, 15 novembre 2006, Torino, 2007, p. 207.

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in prova al servizio sociale (art. 47 ord. penit.). Una simile ipotesi presupporrebbe un apparato esecutivo di supporto piuttosto complesso e ben organizzato, che richiederebbe un potenziamento degli Uffici dell’esecuzione penale esterna, realizzabile destinandovi una parte delle risorse che fino ad oggi sono state destinate alla gestione del costosissimo apparato carcerario129.

L’acquisizione degli elementi circa la condizione personale del soggetto, necessari per poter determinare il contenuto della prescrizione, dovrebbe svolgersi in una fase del giudizio specificamente destinata a ciò; in questo modo sarebbe possibile svolgere un’analisi più completa dell’individuo e si potrebbe superare la prospettiva di una valutazione limitata esclusivamente alla condotta del soggetto nel periodo successivo al fatto, come avviene oggi in base all’art. 47, co. 3 ord. penit130.

Inoltre, sarebbe possibile attribuire alla pena prescrittiva un contenuto terapeutico-riabilitativo; tale scelta rappresenterebbe un risultato importante con riguardo ai reati il cui compimento sia condizionato dalla tossicodipendenza del soggetto agente; in questo caso sarebbe comunque necessario il consenso dell’interessato.

Sempre in presenza del consenso del soggetto interessato la pena prescrittiva potrebbe avere come contenuto lo svolgimento di un lavoro di pubblica utilità; in questo modo anche il lavoro di pubblica utilità potrebbe configurarsi come pena principale131. Attualmente il lavoro di pubblica132 utilità ha diverse funzioni133: a) è

129

EUSEBI, La riforma ineludibile del sistema sanzionatorio penale, cit., p. 1322

130

EUSEBI, La riforma ineludibile del sistema sanzionatorio penale, cit., p. 1322.

131

EUSEBI, La riforma ineludibile del sistema sanzionatorio penale, cit., p. 1323.

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Come approfonditamente illustrato da PALIERO, Il ‘lavoro libero’ nella prassi sanzionatoria italiana: cronaca di un fallimento annunciato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1986, p. 88 e ss, già nel codice penale liberale del 1889, rimasto in vigore fino al 1930, era previsto il lavoro di pubblica utilità; il codice penale stabiliva, all’art. 19, che la sanzione doveva consistere nella «prestazione di un’opera determinata a servizio dello Stato, della Provincia, del Comune», individuando così nell’utilità pubblica il fine specifico di questa attività. Era chiarito, inoltre, che l’applicazione del lavoro di pubblica utilità poteva avvenire solo su «istanza del condannato». La prestazione, tuttavia, non aveva carattere gratuito, ma parzialmente retribuito. Anche allora l’impatto di questo istituto nella prassi era stato minimo; l’applicazione fu «più che scarsa, sporadica» (PADOVANI, L’ utopia punitiva, Il problema delle alternative alla detenzione nella sua dimensione storica, Milano, 1981, p. 116), affidata principalmente alla buona volontà ed allo spirito di iniziativa di singoli magistrati particolarmente disposti alla sperimentazione. Dopo questa prima fallimentare esperienza il lavoro di pubblica utilità fu completamente accantonato dal codice penale del 1930 e tornò ad essere considerato dal legislatore italiano solo verso la fine degli anni ’70, prendendo spunto dal modello di Community Service applicato nei paesi anglosassoni. Tale misura fu compiutamente disciplinata, in Inghilterra, con il Powers of Criminal Courts Act del 1973, che stabilì che il Community Service potesse essere disposto dal giudice con il consenso del condannato come sanzione a pieno titolo, consistente in attività lavorativa gratuita a favore della collettività, da svolgersi al di fuori del consueto ambiente di lavoro del condannato, prevalentemente nel fine settimana (DOLCINI-PALIERO, Il carcere ha alternative? Le sanzioni sostitutive della detenzione breve nell'esperienza europea, Milano, 1989, p. 67 e ss.).

Oggi, in Italia, il lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione di un’attività non retribuita a favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti e

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una delle sanzioni principali applicabili dal giudice di pace in materia penale; b) può sostituire (ma solo su richiesta del condannato) la pena pecuniaria ineseguita, quando venga prevista come sanzione sostitutiva delle pene detentive brevi in base alla l. 689/1981; c) può sostituire la pena pecuniaria ineseguita (anche in questo caso solo su richiesta del condannato) quando stabilita dal giudice di pace in base al d.lgs. 274/2000; d) può sostituire la pena detentiva e la pena pecuniaria disposta per la guida in stato di ebbrezza in base all’art. 186 co. 9-bis e 187 co. 8-bis del d.lgs. 285/1992, conosciuto come ‘codice della strada’, a meno che vi sia opposizione da parte dell’imputato; e)può essere previsto in sostituzione sia della pena detentiva che di quella pecuniaria disposta verso tossicodipendenti o da assuntori di sostanze stupefacenti o psicotrope, nei casi previsti dalla l. 9 ottobre 1990, n. 309 all’art. 73, co. 5-bis, ampliato a partire dalla l. 9 agosto 2013, n. 94, con l’aggiunta del co. 5-ter; f) può essere previsto come obbligo al quale può essere subordinata la sospensione condizionale della pena ex art. 165 co. 1 c.p. Nonostante sia previsto in molteplici ipotesi, il lavoro di pubblica utilità non ha avuto, fino ad oggi, un grande successo, anche se negli ultimi due anni si è passati da 650 a 1.800 casi di applicazione, soprattutto in relazione a violazioni del codice della strada134. Resta tuttavia una certa riluttanza delle istituzioni nel dare attuazione al lavoro sostitutivo135. Prevedendo l’istituto del lavoro di pubblica utilità come pena principale inserita tra quelle a carattere prescrittivo, si potrebbe prospettarne una notevole espansione con risultati molto positivi sul piano dell’attribuzione alla pena di una dimensione realmente risocializzante, introducendo uno strumento che consenta al reo di svolgere gratuitamente un servizio a favore della società che ha danneggiato commettendo il organizzazioni di assistenza sociale o volontariato. La prestazione di lavoro, ai sensi del decreto ministeriale 26 marzo 2001, viene svolta a favore di persone affette da HIV, portatori di handicap, malati, anziani, minori, ex detenuti o extracomunitari, nel settore della protezione civile, nella tutela del patrimonio pubblico e ambientale o in altre attività pertinenti alla specifica professionalità del condannato. L’attività di lavoro non retribuita viene svolta presso gli enti pubblici territoriali e le organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato individuati attraverso apposite convenzioni stipulate dal ministero della Giustizia o, su delega di quest’ultimo, dal Presidente del tribunale, a norma dell’art. 2 del decreto ministeriale 26 marzo 2001. Nelle convenzioni sono indicate le attività in cui può consistere il lavoro di pubblica utilità, i soggetti incaricati di coordinare la prestazione lavorativa e le modalità di copertura assicurativa. L’elenco degli enti convenzionati è affisso presso le cancellerie di ogni Tribunale.

133

DOLCINI-MARINUCCI, Manuale di diritto penale, Parte generale, IV ed., Milano, 2012, p. 566.

134

DOLCINI, Presente e futuro del sistema sanzionatorio, cit., p. 1149.

135

DOLCINI-MARINUCCI, Manuale di diritto penale, cit., p. 567. Vi sono però esempi in controtendenza; ci sono infatti circoscrizioni giudiziarie in cui si manifesta un certo impegno delle istituzioni per dar vita al lavoro di pubblica utilità. Secondo i dati forniti dal Ministero della Giustizia, nel giugno 2009 erano 179 le convenzioni stipulate dai tribunali per l’attuazione della pena lavoro. Non è questo l’esempio seguito dalla città di Milano dove la convenzione stipulata dal 2003 con l’Associazione City Angels Lombardia Onlus è rimasta unica ed isolata.

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reato. La prestazione di attività lavorativa a favore della collettività dovrebbe comunque essere organizzata in modo tale da rispettare le esigenze di vita e di lavoro del soggetto interessato136. Il lavoro sostitutivo non solo potrebbe vivere nella prassi - purché esista una reale volontà delle istituzioni di attivarsi per la creazione dei servizi e delle strutture di supporto idonee e per la stipulazione di convenzioni con gli enti pubblici e privati che dovrebbero essere coinvolti nell’utilizzazione dei condannati - ma potrebbe, altresì, produrre esiti soddisfacenti con costi limitati137. Essendo misure scarsamente afflittive e marcatamente finalizzate allo scopo rieducativo, per essere realmente efficaci anche le pene interdittive e prescrittive, così come avevamo osservato in relazione alle pene pecuniarie, non dovrebbero essere coperte dalla sospensione condizionale della pena138.