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5. Futuro della funzione rieducativa della pena

1.2. Le misure sostitutive

Il secondo modello di alternative alla pena detentiva è costituito dalla multiforme categoria delle misure sostitutive. Esse presentano una tipologia molto articolata. Se

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PADOVANI, L’utopia punitiva, cit., p. 179. L’Autore osserva come, una volta accertato che il carcere finiva per essere luogo di neutralizzazione dell’individuo, causando tassi altissimi di recidiva, la conseguenza non doveva essere comunque quella di abbandonare l’idea di un trattamento incentrato sull’individuo e continuativo, ma esso poteva essere assicurato in maniera efficace dalla sospensione condizionale.

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le analizziamo partendo da un punto di vista contenutistico è possibile suddividerle in tre categorie.

La prima categoria è costituita dalle misure incidenti sulla libertà personale; questi sono provvedimenti che pur evitando la detenzione in carcere comportano, comunque, una forma di limitazione della liberta del condannato. Le più diffuse sono l’arresto in casa, il lavoro coatto senza detenzione, le interdizioni e le sanzioni personali non detentive quali il confino.

La seconda categoria è costituita dalle misure di carattere morale, rappresentate

principalmente dalla riprensione giudiziale. Essa, contemplata anche

dall’ordinamento italiano, agli art. 26, 27 e 29 del Codice penale Zanardelli del 188918, consisteva in un ammonimento che il giudice rivolgeva in pubblica udienza al colpevole riguardo ai precetti della legge violata e alle conseguenze del reato commesso. La riprensione poteva essere obbligatoria, se per la presenza di circostanze attenuanti si doveva ridurre una pena dell’arresto o dell’ammenda19, o facoltativa se, sussistendo circostanze attenuanti, la pena stabilita dalla legge non superava la misura indicata dall’art. 26 cod. pen.20 e se il colpevole non aveva mai riportato condanna per delitto o contravvenzione superiore ad un mese di arresto. Se il condannato non si presentava all’udienza fissata per la riprensione o non accoglieva l’ammonimento con rispetto, era applicata la pena stabilita nella sentenza per il reato commesso.

Infine, la terza categoria di misure sostitutive è costituita dai provvedimenti di carattere patrimoniale tra cui ebbero un ruolo di spicco la cauzione di buona condotta e la pena pecuniaria. La cauzione di buona condotta risale al diritto medievale degli ordinamenti di common law e nasce come strumento di «giustizia preventiva»21, consistente nell’obbligare gli individui sospettati di voler commettere

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Questa misura non sarà poi riprodotta dal Codice Penale Rocco del 1930.

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Il Codice penale per il Regno d’Italia del 1889, all’art 30 prevede che «(…) se debbasi diminuire la pena dell’arresto o dell’ammenda, il cui massimo stabilito dalla legge non superi, rispettivamente, i cinque giorni o le cinquanta lire, è ad essa sostituita la riprensione giudiziale».

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Il Codice penale per il Regno d’Italia del 1889, all’art. 26 recita: «Quando la pena stabilita dalla legge non superi un mese di detenzione o di arresto, tre mesi di confino, ovvero trecento lire di multa o di ammenda, ove concorrano circostanze attenuanti, e il colpevole non abbia mai riportato condanna per delitto, né condanna per contravvenzione a una pena superiore ad un mese di arresto, il giudice può dichiarare che alla pena da lui pronunciata è sostituita una riprensione giudiziale.La riprensione giudiziale consiste in un ammonimento, adatto alle particolari condizioni della persona e alle circostanze del fatto, che intorno ai precetti della legge violata e alle conseguenze del reato commesso il giudice rivolge al colpevole in pubblica udienza. Se il condannato non si presenti all’ udienza fissata per la riprensione, o non l’accolga con rispetto, è applicata la pena stabilita nella sentenza per il reato commesso».

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un reato ad assumere l’impegno a non rendersene colpevoli, tramite il versamento, a titolo di cauzione, di una somma di denaro. Successivamente, la cauzione venne applicata anche nei confronti di chi aveva già commesso un reato, trasformandosi in una vera e propria forma di sospensione condizionale della pena pecuniaria.

È però all’altra misura di tipo patrimoniale, cioè quella della pena pecuniaria, che si rivolge l’attenzione della maggior parte della dottrina di questo periodo, «come all’unica misura idonea, in linea di principio, a sostituire il ricorso alla pena detentiva in vasti settori del sistema penale»22.

Questi tre modelli non corrispondono necessariamente ciascuno al contenuto di una singola sanzione in modo esclusivo; spesso queste misure sono combinate tra loro in maniera anche molto complessa mentre altre volte sono combinate a misure sospensive.

Dal punto di vista degli effetti, in taluni casi, le misure sostitutive, una volta applicate, dovrebbero prendere il posto della pena detentiva sostituita in maniera definitiva, senza che essa possa essere ripristinata; altre volte, invece, è stabilito che nell’ipotesi in cui non vengano rispettate le prescrizioni inerenti alla misura, sia possibile riattivare la pena detentiva. Quindi, mentre nel primo caso si può parlare di vere e proprie «alternative giudiziali» in cui la scelta del giudice non ammette ripensamenti circa l’opportunità del ricorso al carcere ed assume portata decisiva, nel secondo caso si tratta piuttosto di «alternative esecutive disposte in fase giudiziale», che costituiscono piuttosto una modalità dell’esecuzione della pena detentiva senza essere destinate a rimanere necessariamente fisse 23.

Bisogna dire che, comunque, anche se assai articolato e dotato di buone potenzialità, il nucleo delle misure sostitutive, a differenza della sospensione condizionale che ebbe grande successo, fallì sostanzialmente nella prassi applicativa, erodendo in misura solo marginale la pena detentiva. Resta esclusa da questa conclusione la pena pecuniaria. Essa, a differenza delle altre pene sostitutive della detenzione, apparve sin dagli albori del vasto movimento di critica alla funzionalità della pena detentiva breve, come l’alternativa ottimale. Già Bonneville de Marsangy si propose come sostenitore della generalizzata inflizione della pena pecuniaria in sostituzione della pena detentiva nel numero maggiore di ipotesi possibile 24.

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PADOVANI, L’ utopia punitiva, cit., p. 131.

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PADOVANI, L’ utopia punitiva, cit., p. 102,103.

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L’utilizzabilità della pena pecuniaria come sostituto della pena detentiva venne sostenuta in quattro diverse direzioni. Le prime due, più tradizionali, riguardano i reati di minima entità, c.d. “bagatellari”, e i reati commessi per scopo di profitto che portano ad un indebito arricchimento. Il problema che però spesso si presenta in questi casi è che chi si rende responsabile di questi reati vi è spinto dallo stato di indigenza in cui versa, con la conseguenza che non ha poi a disposizione quelle risorse di cui avrebbe bisogno per poter far fronte al pagamento di una pena pecuniaria25. Le altre due ipotesi, più innovative, riguardano, invece, i reati commessi dalle classi sociali agiate, che come tali sono in grado di adempiere al pagamento della somma dovuta a titolo di pena pecuniaria ed il caso degli illeciti commessi nell’ambito dei processi produttivi dell’industria capitalistica, quando, pur di ottenere un profitto, gli imprenditori commettono violazioni tali da mettere in pericolo la vita umana. Se è vero che in queste ultime due ipotesi si finisce nuovamente per fornire alle classi sociali più abbienti un espediente per evitare il carcere, riservandolo alle sole classi inferiori, è pur vero che per lo meno, con la pena pecuniaria, si sostituisce alla totale impunità una punizione che va a colpire il bene per loro maggiormente rilevante.

Non si può negare, tuttavia, che l’introduzione delle pene pecuniarie comportò sin dal primo momento alcune difficoltà di razionalizzazione del diritto penale. La difficoltà principale consisteva nella possibilità di determinare l’ammontare di una pena pecuniaria che riuscisse, nel contempo, ad essere proporzionata alle condizioni economiche del reo e al danno provocato dal crimine commesso; se è vero che per essere efficace la pena non poteva eccedere la capacità economica del condannato, doveva comunque essere superiore ai benefici che ad esso erano derivati dall’aver commesso il reato. Nel XIX secolo la dottrina non fu in grado di proporre una soluzione che non pregiudicasse l’uno o l’altro di questi requisiti e pertanto le carceri continuarono ad essere affollate di condannati ad una pena pecuniaria che non erano riusciti a pagare. Nel 1913 il 49,6% degli uomini ed il 68,2% delle donne internate

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Questo aspetto problematico della pena pecuniaria era già stato analizzato da BECCARIA, Dei delitti e delle pene, edizione a cura di Venturi, Torino, 1994, par. XXII, p. 56, in cui si occupa dei furti. Egli afferma che è vero che «chi cerca di arricchirsi dell’altrui dovrebbe essere impoverito del proprio», ma trattandosi di una tipologia di delitto dovuto «alla miseria e alla disperazione, il delitto di quella infelice parte di uomini a cui il diritto di proprietà (…) non ha lasciato che una nuda esistenza (…), la pena più opportuna sarà quell’unica sorta di schiavitù che si possa chiamar giusta, cioè la schiavitù per un tempo delle opere e della persona alla comune società, per risarcirla colla propria e perfetta dipendenza dell’ingiusto dispotismo usurpato sul patto sociale ».

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nelle carceri inglesi si trovavano in prigione per non aver potuto pagare la somma di denaro a cui erano stati condannati26.

L’entusiastica attenzione dedicata dalla dottrina alla pena pecuniaria precedette di molti anni l’intervento del legislatore, che elaborò veri e propri progetti di riforma in questo senso solo molti anni più tardi. Il primo ad occuparsene fu il legislatore tedesco che tra il 1921 e il 1924 decise di intraprendere un cammino di profonda revisione del sistema sanzionatorio ed incentrò il suo intervento proprio sull’alternativa pecuniaria, ottenendo così una reale riduzione dell’area coperta dalla pena detentiva breve 27.

Pertanto, solo agli inizi del 1900 è introdotta nell’ ordinamento penale tedesco la previsione di una pena pecuniaria, basata sul criterio di pagamento a rate, con il positivo risultato di risparmiare ad un numero elevato di persone un’inutile esperienza carceraria. Tale strumento sanzionatorio si affermò in maniera definitiva dopo che le leggi del 1923-’2428 avevano previsto l’applicazione generalizzata della pena pecuniaria per le condanne a pena carceraria inferiore a tre mesi. Ben presto l’Inghilterra seguì l’esempio della Germania; se nel 1935 ben 10.542 persone erano state incarcerate per non aver potuto adempiere alla pena pecuniaria, già l’anno successivo per effetto dell’emanazione del Money Payments Act, il numero si era ridotto a circa 7.400 29.

2. L’evoluzione storica delle alternative alla pena detentiva dal primo