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La funzione rieducativa nel panorama attuale

2. L’idea di rieducazione

2.3. La funzione rieducativa nel panorama attuale

Oggi, in uno Stato che si proclama laico, secolarizzato e pluralista, dove la sovranità è attribuita al popolo, non sarebbe ammissibile fare ricorso alla pena per realizzare fini trascendenti o etici. Pertanto, la pena non può essere applicata con funzione retributiva, non potrà porsi più come pena giusta in assoluto, retribuendo il male del reato con un male equivalente101.

Il paradigma retributivo finisce, nelle interpretazioni attuali prevalenti, per perdere il suo ruolo autonomo102. L'odierno equivalente dell'idea retributiva può, infatti, essere considerato il principio di proporzione, dal momento che la sua logica induce pur sempre a orientare la risposta punitiva alla gravità dell'illecito commesso103. In questo senso la teoria retributiva si mostra disponibile ad essere rimessa in gioco proprio entro la prospettiva della prevenzione generale; la collettività si conforma al sistema delle leggi e ne rispetta i precetti se li percepisce come “giusti” nel senso di proporzionati, mentre la minaccia di una pena eccessivamente severa o eccessivamente clemente altera nei consociati la percezione di quella corretta scala di valori che dovrebbe riflettersi nel rapporto tra i vari reati e le sanzioni corrispondenti. Inoltre, il principio di proporzionalità può essere applicato anche alla prevenzione speciale volta alla rieducazione, dal momento che un trattamento rieducativo

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FIANDACA, Commento all'art. 27 co. 3 Costituzione, cit., p. 340.

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DOLCINI-MARINUCCI, Manuale di diritto penale, cit., p. 9.

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Il paradigma retributivo era tornato di moda, a partire dagli anni ’60, soprattutto sotto la spinta delle elaborazioni di autori insigni quali Bettiol e Mathieu, con l’etichetta di neoretribuzionismo. In Mathieu rivive dichiaratamente la dottrina hegeliana della pena come giusta e simmetrica retribuzione, necessaria per cancellare il reato dal reo e dalla società e non finalizzata ad altro scopo: una pena-castigo che spetta all'uomo per il suo demerito e che ne garantisce la libertà. Egli afferma che dal momento in cui sono stati applicati nella pratica i postulati della giustizia rieducativa, essi avrebbero avuto come unico risultato quello di aver fatto approdare ad un vero e proprio «collasso della giustizia penale». L'idea della rieducazione non è respinta in toto ma può essere accettata solo come riflesso dell'afflizione e della retribuzione e, cioè, come risultato di emenda derivante dall'applicazione della pena giusta. Così si esprime MATHIEU, Perchè punire? Il collasso della giustizia penale, Milano, 1978, p. 175 e ss.

103

FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., p. 704; FIANDACA, Commento all'art. 27 co. 3 Costituzione, cit., p. 265; PITTARO, Commentario breve alla Costituzione, cit., p. 281.

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correttamente inteso presuppone che il destinatario si renda consapevole del torto commesso ed avverta come giusta e proporzionata la sanzione che gli è inflitta. Solo se il reo avverte la «proporzionatezza» della sanzione, potrà accettare un processo rieducativo diretto allo sviluppo della sua capacità di apprezzare i valori protetti dall'ordinamento104.

Per quanto riguarda le funzioni generalpreventive e specialpreventive, sarà necessario analizzarne la portata attuale in relazione alle diverse fasi della minaccia legale, dell’ inflizione giudiziale e dell’esecuzione.

Nello stadio della minaccia legislativa, la scelta del legislatore di fare ricorso alla sanzione penale si legittima in chiave di prevenzione generale105; se si vuole raggiungere l’obiettivo di evitare la commissione di reati, occorre fare in modo che il sistema penale abbia efficacia dissuasiva verso i consociati106. L’effetto di prevenzione generale perseguito dal legislatore, tuttavia, trova un limite insormontabile nella funzione di prevenzione speciale, e più precisamente nel concetto di rieducazione enunciato all’art. 27 co. 3 Cost. Non solo la tipologia, ma anche la misura della pena minacciata devono necessariamente tenere in considerazione che, in seguito, sia nella fase dell’inflizione della pena che in quella della conseguente esecuzione, la finalità che dovrà essere perseguita sarà principalmente quella di reinserimento dell’individuo in società107. Pertanto, a differenza di quanto accade negli Stati di impronta autoritaria, l’efficacia deterrente non potrà essere perseguita in maniera indiscriminata108. La pena, oltre a dover essere proporzionata alla gravità del fatto dovrà essere anche necessaria, nel senso che vi si dovrà fare ricorso come ultima ratio. Il legislatore dovrà pertanto escludere dalla sfera del penalmente rilevante non solo i reati bagatellari ma anche fatti di notevole gravità quando comunque la sanzione penale non sarebbe in grado di distogliere i consociati dal commetterli109.

104

FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., p. 704.

105

DOLCINI-MARINUCCI, Manuale di diritto penale, cit., p. 9.

106

FIANDACA- MUSCO, Diritto penale, cit., p. 714.

107

DOLCINI-MARINUCCI, Manuale di diritto penale, cit., p. 9.

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È proprio in forza di questa considerazione che risulta difficile giustificare la presenza della pena dell’ergastolo (art. 22 c.p.) nel nostro ordinamento penale; per una analisi più approfondita di questo problema si veda infra il par. 5.3.

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DOLCINI-MARINUCCI, Manuale di diritto penale, cit., p. 13; Gli Autori prendono ad esempio ciò che avvenne in passato in relazione all’aborto: in Italia, come in tutti i Paesi in cui l’interruzione della gravidanza era penalizzata, gli aborti clandestini erano frequentissimi e pertanto l’efficacia di prevenzione generale di questa fattispecie di reato era pressoché nulla; dal momento in cui l’aborto fu legalizzato, progressivamente il numero degli aborti diminuì fino a raggiungere, oggi, un numero di aborti (circa 150.000 all’anno nel 2010) pari ad un terzo di quelli praticati clandestinamente quando questa pratica era illegale (circa 350.000 all’anno nel 1977).

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Per quanto riguarda lo scopo che deve orientare le scelte del giudice nella fase giudiziale, ci si deve rifare al dettato costituzionale nella parte in cui afferma che «le pene (…) devono tendere alla rieducazione del condannato» (art. 27 co. 3 Cost.). Il giudice dovrà, dunque, orientare le sue scelte in funzione di tale finalità e scegliere, tra più fattispecie sanzionatorie, quella maggiormente idonea a prevenire il rischio che egli delinqua nuovamente; il giudice dovrà poi seguire la stessa logica nel momento in cui dovrà stabilire il quantum di pena entro la cornice edittale fissata dalla norma incriminatrice110.

Se in questa fase si continuasse ad attribuire «un ruolo preponderante alla preoccupazione di distogliere la generalità dei cittadini dal commettere reati, si tenderebbe inevitabilmente a infliggere condanne esemplari», con il risultato che il singolo criminale verrebbe strumentalizzato «per fini generali di politica criminale»111. Una tale scelta, imponendo al singolo un sacrificio ingiusto in nome del bene collettivo, oltre a porsi in contrasto con il principio di personalità della responsabilità penale (art. 27 co. 1 Cost.), costituirebbe una inammissibile violazione della dignità umana del delinquente (art. 3 co. 1 Cost.)112. Ciò non vuol dire, tuttavia, che la funzione di prevenzione generale rimanga estranea al momento dell’inflizione della pena da parte del giudice. Sebbene goda di uno spazio molto più ristretto rispetto a quello che le viene attribuito nella fase della minaccia legale, la prevenzione generale continua ad avere un ruolo molto importante non solo in forma di intimidazione-deterrenza, ma anche di orientamento culturale: conferma la serietà della minaccia contenuta nella norma incriminatrice facendo seguire «alla previsione legale della pena la sua applicazione in concreto con la pronuncia della sentenza di condanna»113, mostrando così ai potenziali trasgressori che se violeranno la legge non resteranno impuniti.

Una volta che la pena sia stata minacciata dal legislatore ed applicata dal giudice, dovrà essere eseguita; se le pene rimanessero lettera morta il sistema penale mancherebbe di qualsiasi credibilità. Pertanto, che le pene minacciate dal legislatore e poi inflitte dal giudice debbano trovare esecuzione è imposto, ancora una volta, da

110

DOLCINI-MARINUCCI, Manuale di diritto penale, cit., p. 14, 15.

111

FIANDACA- MUSCO, Diritto penale, cit., p. 714.

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DOLCINI-MARINUCCI, Manuale di diritto penale, cit., p. 16; Vi sarebbe una violazione del principio di personalità della responsabilità (art. 27 co. 1 Cost.) perché, in parte, la pena applicata al singolo non è riconducibile ad una violazione da lui commessa ma è inflitta per evitare che in futuro altre persone commettano lo stesso reato. Il principio della dignità dell’uomo (art. 3 co. 1 Cost.), invece, è leso perché nessuno, neppure lo Stato, ha il diritto di degradare l’uomo a semplice mezzo per veicolare un ammonimento diretto alla collettività.

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esigenze di prevenzione generale. Nonostante ciò, resta il fatto che la prevenzione generale svolge un ruolo decisamente secondario nella fase esecutiva, che, invece, deve essere orientata il più possibile verso la funzione di prevenzione speciale; qui infatti domina la preoccupazione che il condannato, grazie ad un trattamento improntato alla rieducazione, possa tornare a far parte della società libera, nel pieno rispetto delle regole del vivere civile114.

Nella fase esecutiva il principio rieducativo incontra però un grosso limite: qualora la rieducazione del condannato si mostri impossibile da raggiungere ed egli si riveli insensibile anche agli effetti di intimidazione-ammonimento della pena, la rieducazione, nel sistema delineato dal nostro ordinamento penale, cede il passo alla neutralizzazione. È questa la linea seguita dall’ordinamento penitenziario agli artt. 4-bis e 41-4-bis, sebbene siano sorti notevoli dubbi di legittimità Costituzionale in relazione all’art. 27 co. 3 Cost115. In base agli artt. 4-bis e 41-bis, nei confronti dei criminali che fanno parte della criminalità organizzata, della mafia e di organizzazioni terroristiche, la funzione principale che assume la pena è quella di difesa della società dal rischio che questi soggetti, mantenendo dal carcere i contatti con le organizzazioni criminali di appartenenza, possano continuare a delinquere anche durante l’esecuzione stessa della pena; la funzione rieducativa viene messa da parte, preferendo la neutralizzazione di individui ritenuti comunque irrecuperabili116.

3. La concezione polifunzionale della pena e l'orientamento della Corte