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Le riforme dell’ordinamento penitenziario dal 1975 fino ad oggi

L’impianto originario dell’ordinamento penitenziario, cioè il corpo normativo introdotto con la legge 26 luglio 1975, n. 354, è stato negli anni successivi più volte modificato.

A metà degli anni ’80, grazie alla progressiva sconfitta del terrorismo si assiste al recupero dell’ideologia rieducativa. Il primo significativo intervento di riforma è rappresentato dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663, meglio nota come legge Gozzini, recante «Modifiche alla legge sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà». La novità più rilevante che questa legge introduce è costituita dal tentativo di ripristinare i rapporti di comunicazione tra carcere e mondo esterno, attraverso un graduale processo di reinserimento del soggetto nella società che, per la prima volta, viene esteso anche agli ergastolani; si prevede un allargamento della possibilità di accesso alle misure alternative alla detenzione con l’introduzione di determinati meccanismi che incentivino la partecipazione e la collaborazione attiva del detenuto all'opera di trattamento, seguendo ciò che era già stato stabilito dalla normativa del '75. Per realizzare questi scopi la legge Gozzini, ad esempio, rinuncia al periodo di osservazione preliminare alla concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale, nel caso in cui il

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Per un’analisi più approfondita dell’assetto originario e dell’evoluzione storica di questo istituto si veda FILIPPI-SPANGHER, Manuale di diritto penitenziario, III ed., Milano, 2011, p. 111 e ss.

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condannato, dopo un periodo di custodia cautelare, abbia goduto di un periodo di libertà tenendo un comportamento tale da far ritenere non necessario un nuovo ingresso in carcere; delinea una nuova disciplina dell’attività lavorativa, finalizzata all’ estensione del lavoro all’esterno (art. 6-7 l. 663/1986) agli scopi del trattamento rieducativo, rimodellando l’art. 21 ord. penit; amplia, inoltre, la gamma delle misure alternative fino a quel momento conosciute, introducendo la detenzione domiciliare (art. 47-ter ord. penit.), grazie alla quale la pena detentiva viene eseguita presso il domicilio del condannato o presso un altro luogo di privata dimora o «un altro luogo pubblico di cura, assistenza ed accoglienza», dal quale il soggetto non potrà allontanarsi56.

La legge n. 663/1986 ha, inoltre, il merito di aver garantito la massima individualizzazione del trattamento esecutivo con i due nuovi istituti del regime di sorveglianza particolare (art 1-3, l. 663/1986) e dei permessi premio (art. 9, l. 663/1986.)57. Con questi due istituti si vuole da una parte introdurre una espressa disciplina per la sicurezza nelle carceri, volta a soddisfare irrinunciabili esigenze di garanzia e, dall’altra, tentare di raggiungere l’obiettivo di ripristinare i rapporti di comunicazione tra il carcere e il mondo esterno, riprendendo un cammino che la stessa riforma del ’75 aveva esitato a percorrere sino in fondo.

È stato questo il primo intervento realmente improntato all’affermazione di un favor libertatis che tende ad attenuare o ad interrompere il prima possibile la condizione di restrizione in carcere della persona.

Un secondo intervento di riforma si ebbe a distanza di più di dieci anni con la legge 27 maggio 1998, n. 165, comunemente conosciuta come legge Simeone, intitolata «Modifiche all'art. 656 del codice di procedura penale ed alla Legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni»58. Lo scopo fondamentale di questa legge è, da una parte, quello di garantire l'eguaglianza dei soggetti in sede di esecuzione della pena, assicurando a tutti pari diritto di accesso alle misure alternative e, dall’altra, quello di riuscire a realizzare la politica del non ingresso, evitando, in particolare, il carcere a quei soggetti per i quali l’esperienza carceraria avrebbe un effetto criminogeno e depersonalizzante invece che rieducativo59.

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Per un approfondimento sull’evoluzione storica dell’istituto a seguito dei vari interventi normativi succedutisi fino ad oggi FILIPPI-SPANGHER, Manuale di diritto penitenziario, cit., p. 128 e ss; DOLCINI, La pena detentiva in Italia oggi, cit., p. 1083, 1084.

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FIANDACA , Commento all'art. 27 co. 3 Costituzione, in Commentario alla Costituzione, (a cura di) Branca e Pizzorusso, Zanichelli, Bologna, 1989, pag. 292 e ss.

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FILIPPI-SPANGHER, Manuale di diritto penitenziario, cit., p. 45.

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Sotto la spinta di una forte pressione dell'opinione pubblica, le leggi Gozzini e Simeone sono state ripetutamente oggetto di modifiche negli anni successivi. Ciò ha portato all’emanazione del d.P.R 30 giugno 2000, n. 230, con la contestuale abrogazione integrale del regolamento d'attuazione della riforma del 1975 che era costituito dal d.P.R. 29 aprile 1976, n. 431. Il nuovo regolamento esecutivo si propone di dare maggiore risalto, rispetto al passato, alla funzione rieducativa della pena, in linea con le finalità che si era prefissato l’ordinamento penitenziario del 1975. La normativa, che disciplina nel dettaglio l’esecuzione delle disposizioni contenute nell’ordinamento penitenziario, consta di 136 articoli che hanno lo scopo di intensificare e migliorare i rapporti tra carcere e realtà esterna. Prevede, in linea con la finalità rieducativa, che gli istituti di pena debbano garantire la possibilità di frequentare le scuole superiori e di iscriversi all'università (art. 41-43-44 reg. penit.); inoltre, visto il costante e progressivo aumento di detenuti stranieri nelle carceri italiane, nasce la figura del mediatore culturale, per fronteggiare i problemi che possono sorgere dal contrapporsi di culture diverse.

Uno degli ultimi interventi significativi in questo campo si registra con la legge 5 dicembre 2005, n. 251, c.d. legge ex Cirielli, recante «Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione»; essa ritocca diversi istituti e prevede un regime differenziato e maggiormente restrittivo in particolare nei confronti dei detenuti e condannati recidivi reiterati (principalmente immigrati e tossicodipendenti)60.

Con il d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni dalla legge 23 aprile 2009, n. 38 e dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, è stata profondamente modificata la disciplina degli artt. 4-bis e 41-bis ord. penit.

Si giunge così alle recentissime modifiche apportate all’ordinamento penitenziario dal d.l. 1 luglio 2013, n. 78, convertito dalla l. 9 agosto 2013, n. 94, che introduce modifiche alla legge 354/1975 circa la possibilità per i detenuti di svolgere attività di volontariato a titolo gratuito (art. 21 ord. penit.) e la possibilità di accedere alla in prova la servizio sociale, di prescindere da qualsiasi ingresso in carcere del condannato, nel caso in cui dopo la commissione del reato egli abbia tenuto in libertà un comportamento tale da consentire il giudizio prognostico favorevole circa la rieducazione e la reiterazione dei reati.

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FILIPPI-SPANGHER, Manuale di diritto penitenziario, cit., p. 45. Il modello che l’on. Cirielli voleva applicare era quello della three-strikes-law, di origine statunitense, che prevedeva pene severe fino all’ergastolo per chi reiterava il reato. Il principio alla base di tale schema è preso a prestito dal baseball dove dopo tre strikes il giocatore è fuori. Solo che nel baseball chi è eliminato poi torna sul piatto di battuta all’inning successivo, mentre dalle prigioni americane una volta condannati non si esce più.

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detenzione domiciliare per i recidivi (con modifiche all’art 47-ter ord. penit); vengono inoltre abrogate quelle norme che ponevano nei confronti di questi ultimi limiti più rigidi per l’accesso ai permessi premio (art. 30-quater, ora abrogato), alla semilibertà (art 50-bis, ora abrogato) e all’affidamento in prova al servizio sociale (co 7-bis, art 58- quater, ora abrogato). In sintesi, questo intervento ha il merito di aver eliminato quelle differenziazioni in peius introdotte per il trattamento dei recidivi dalla legge ex Cirielli.

Dobbiamo anche ricordare che il 24 dicembre 2013 entra in vigore il d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, intitolato « Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria», convertito con modificazioni dalla l. 21 febbraio 2014, n. 10. Tale decreto è stato introdotto a seguito delle numerose esortazioni provenienti dal Presidente della Repubblica che avevano l’intento di sollecitare un intervento parlamentare che ponesse un argine alla drammatica situazione di sovraffollamento carcerario per la quale l’Italia era stata condannata con una ‘sentenza pilota’ dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (che esamineremo meglio in seguito). Numerosi sono gli istituti presi in considerazione da questo decreto legge. Per quanto riguarda l’ordinamento penitenziario è modificata la disciplina del reclamo esperibile dai detenuti ex art. 35, cui si aggiunge un nuovo articolo 35-bis; è ampliata la possibilità di accedere all’affidamento in prova al servizio sociale, grazie all’introduzione del co. 3-bis dell’art. 47; viene abrogato il co. 4-bis dell’art. 47-ter riguardante l’utilizzo di «mezzi elettronici o altri strumenti tecnici» a cui si può ricorrere per controllare il condannato che sconta la pena in stato di detenzione domiciliare, trasferendo la relativa disciplina, cui vengono apportate alcune modifiche, al nuovo art. 58-quinquies; sono recate modifiche all’art. 69 sulle funzioni ed i provvedimenti del magistrato di sorveglianza; la misura premiale della liberazione anticipata (art. 54), per un periodo di due anni dall’emanazione di questo d.l., passa da 45 a 75 giorni per ogni semestre di pena scontata. Oltre a ciò è modificato l’art. 94 del d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, riguardante la disciplina dell’affidamento in prova nei confronti dei tossico e alcool dipendenti, eliminando i limiti di accesso a tale misura che erano previsti in caso di recidiva ed è riconfermato l’istituto dell’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a diciotto mesi, introdotto dalla l. 26 novembre 2010, n. 199 e modificato dalla l. 17 febbraio 2012, n. 9, che perde così il suo originario carattere di straordinarietà e provvisorietà. Infine con questo nuovo d.l. 146/2013 si cerca di far fronte anche al

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problema dell’altissima presenza di detenuti stranieri, rendendone più efficace l’identificazione, che d’ora in poi avverrà in carcere e prevedendo l’espulsione in sostituzione degli ultimi due anni di pena detentiva, dietro parere del magistrato di sorveglianza. Allo scopo di vigilare sul buon funzionamento delle strutture carcerarie è istituita la figura del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, presso il Ministero della giustizia.

4. La situazione attuale del carcere in relazione alla funzione rieducativa.