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CAPITOLO II: FORME E CONTENUTI DELLA GIUSTIZIA NEGOZIATA

2.1. Il differente grado di verità insito nella sentenza di patteggiamento

Il movimento interpretativo che ruota intorno al patteggiamento appare ispirato dall'esigenza di fondare e giustificare una sorta di "unità nella diversità" tra meccanismi patteggiati ed ordinari di accertamento della responsabilità e determinazione della sanzione.

I continui sforzi della giurisprudenza e della dottrina in quest’opera di apparentamento si giustificano nell’esigenza di rendere il procedimento speciale rispettoso dell’ideologia posta alla base del nostro ordinamento che presuppone un processo il cui scopo è la verifica dei fatti e non la mera risoluzione dei conflitti tra le parti65.

65 In questi termini A. CIAVOLA in Il contributo della giustizia consensuale e riparativa all’efficienza dei modelli di giurisdizione, Giappichelli, Torino, 2010, p. 119, che

precisa come tale valore non sia fine a sé stesso, ma, posto a presidio dei diritti di libertà, assurge esso stesso a valore di libertà.

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È opportuno confrontarsi su questo tema quale che sia il significato rivestito dall’avvento e dal proliferare della giustizia

negoziata66.

Nonostante la funzione cognitiva non trovi un espresso riconoscimento costituzionale, essa costituisce, potremmo dire, la tramatura su cui è intessuto l’insieme di principi che connotano la

giurisdizione67. Una famosa sentenza costituzionale del 1992

affermava in proposito come il «fine primario ed ineludibile del

processo penale non può che rimanere quello della ricerca della verità»68.

È bene svolgere delle premesse al fine di diradare il campo da possibili concezioni fuorvianti in materia di ricerca della verità, in particolare in ambito giudiziario.

Qualunque risultato dell’indagine fattuale è dipendente dal contesto in cui quest’ultima si svolge, dalla metodologia seguita e dalle finalità prefissate. Sarebbe erroneo partire da una

presupposta conoscenza assoluta ed incontrovertibile69. Non è

questa la sede per affrontare e smentire le tesi di coloro che sostengono la possibilità di ottenere una verità assoluta, piuttosto, preme qui evidenziare che, una volta accolto in ambito giudiziario il concetto di verità relativa, cioè di una verità corrispondente alla proposizione fattuale di cui si tratta, in relazione alla quantità e

66 Senza un costante rapporto col tema verità/processo, non saremmo quello che

siamo e neppure la nostra materia avrebbe dignità, secondo L. MARAFIOTI, Giustizia negoziata e verità processuale selettiva, Cass. Pen., 6, 2013, p. 2497 ss.

67 Cfr. CIAVOLA, in Il contributo della giustizia consensuale e riparativa, cit., p. 74. 68 Corte cost. 3 giugno 1992, n. 255, in Giur. cost., 1992, p. 1967.

69 Sul tema si veda G. UBERTIS La ricerca della verità giudiziale, in ID. Sisifo e Penelope. Il nuovo codice di procedura penale dal progetto preliminare alla ricostruzione di sistema, Torino, 1993, pp. 49-50.

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alla qualità delle informazioni raccolte70, ne deriva il corollario

per cui se il risultato di una qualsiasi indagine non è riconducibile ad una pura ed assoluta “datità”, anche il materiale fattuale utilizzato dal giudice per la decisione non è la conseguenza di una

passiva recezione delle emergenze probatorie da parte sua71, ma il

frutto di un’attiva partecipazione di tutti i soggetti processuali che intervengono in ogni momento e da diverse prospettive influenzando inevitabilmente il corso del processo. Se a livello teorico può ammettersi che «la verità è nei fatti», nel processo non si può andare oltre la verifica della «verità di una proposizione»: la prova in quanto tale, quindi, non riguarda un “fatto”, ma un

“asserto”72. D’altro canto, l’attività conoscitiva giudiziaria opera

in un contesto altamente formalizzato, dove gli enunciati sul fatto sono accertati esclusivamente entro prestabilite coordinate logiche e temporali e solo mediante gli strumenti probatori che il legislatore ha in precedenza selezionato e rigorosamente

stabilito73. Già l’atto d’accusa è intriso di un carattere valutativo,

nonostante l’alto valore politico del principio di obbligatorietà74:

l’organo inquirente formula un’ipotesi per cercare la verità, ma

finisce per cercare la verità della sua ipotesi75; gli stessi criteri di

70 Cfr. M. TARUFFFO, La verità nel processo, in G. Forti-G. Varraso-M. Caputo (a cura

di), «Verità» del precetto e della sanzione penale alla prova del processo, Napoli, Jovene, 2014, p. 193.

71 Cfr. G. UBERTIS, La ricerca della verità giudiziale, cit. p. 52.

72 Cfr. G. UBERTIS voce Prova (in generale) in Dig. Disc. Pen., Torino, 1995, p. 298. 73 Cfr. F. CALLARI, L’applicazione della pena su richiesta delle parti: uno “speciale” paradigma processuale cognitivo, in Archivio penale, 2012, n.3, p.9.

74 Così G. Di CHIARA, Il pubblico ministero e l’esercizio dell’azione penale in G.

FIANDACA- G. Di CHIARA, Una introduzione al sistema penale. Per una lettura

costituzionalmente orientata, Jovene, 2003 p. 244, che evidenzia come i

comportamenti omissivi del pubblico ministero creino vere e proprie situazioni patologiche di rinuncia all’esercizio dell’azione penale.

75 Cosi G. GIOSTRA, voce Contraddittorio (principio del) II) Diritto processuale penale,

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ammissione e di esclusione delle prove, impongono di rinunciare a determinati elementi informativi, a tutela di interessi diversi in gioco nel processo. In questo senso è possibile affermare che la verità processuale è una verità “formale”, raggiunta nel rispetto di ben precise regole procedurali e limitata ai soli fatti e circostanze

ritagliati dalla legge come penalmente rilevanti76.

Ciò non toglie che la ricostruzione fattuale che si cerca di ottenere nel processo sia quanto più possibile prossima alla realtà.

Individuato nel contraddittorio il metodo – meno imperfetto – per la conoscenza dei fatti, dallo scontro dialettico tra le parti scaturirà una verità pratica, argomentativa, di cui il giudice dovrà avvalersi

ai fini della decisione77. Soprattutto con la riforma dell’art. 111

Cost. operata dalla l. cost. 23 novembre 1999, n. 278, introduttiva

dei principi del “giusto processo”, è stato plasmato in Costituzione un modello che fa del contraddittorio il cardine della produzione delle conoscenze del processo, il perno dell’affidabilità dell’accertamento dei fatti (fondato su quelle conoscenze) che è, in un ultimo luogo, finalizzato ad una dichiarazione di colpevolezza. Pertanto, non può disconoscersi che tra accertamento dei fatti e metodo del contraddittorio sussiste un legame prioritario. Non è altrettanto vero, però, che si tratti di un legame “esclusivo”. Il contraddittorio resta uno strumento (ancor oggi il meno imperfetto) per la ricerca della verità, non un fine in

76 A conclusioni diverse giunge F. BACCO, Diritto penale e “uso scettico” della verità,

in Riv. it. dir. e proc. pen.,1, 2015, p 450, secondo cui i limiti epistemici connaturati al processo penale non possono giustificare una sorta di deminutio della verità. Parlare di verità “processuale” come di “verità minore” può suonare come segnale di disimpegno, come un accontentarsi di quadri ricostruttivi del tutto convenzionali.

77 Cfr. DI CHIARA, Le regole del «giusto processo», in G. FIANDACA- G. DI CHIARA, Una introduzione al sistema penale., cit., p 338.

78“Inserimento dei principi del giusto processo nell’articolo 111 della Costituzione”,

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sé. In quanto tale, postula un fine che sta al di fuori di esso e che in linea teorica può essere raggiunto anche con altri metodi, quando il contraddittorio si manifesta inidoneo o addirittura «superfluo». In questo senso le deroghe che l’art. 111 cost. pone al comma 5 rivelano una concezione moderna del principio, reso

così “ragionevole” 79. Dove ragionevole significa “non

contrastante con gli scopi cui è preposto”. Un’eccezione è prevista, anzitutto, in ragione del consenso dell’imputato: «la legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo

in contraddittorio per consenso dell’imputato»80.

Il consenso, in linguaggio giuridico, consiste in una manifestazione di volontà con la quale un soggetto rimuove un limite all'agire altrui nella propria sfera soggettiva. Pertanto,

ontologicamente, il consenso dell'imputato può valere

esclusivamente con riferimento ad elementi contra se prodotti da

altre parti81. Secondo questa lettura il comma 5 dell’art. 111 Cost.

stabilirebbe come regola basilare in tema di «negozialità probatoria», che l’imputato presti il proprio consenso o accettando l’atto del pubblico ministero oppure offrendo un proprio atto al

consenso della controparte82. Nel momento stesso in cui prevede

una deroga basata sul consenso, ponendola al vertice della terna di ipotesi derogatorie, il quinto comma dell'art. 111 Cost. rivela chiaramente che il principio del contraddittorio nel momento

79 La norma concerne i riti deflativi del dibattimento, C. CONTI voce Giusto Processo

(dir. proc. pen.), in Enc. Dir., Aggiornamento V, 2001.

80 Le altre eccezioni previste dall’art. 111 comma 5 Carta Cost. riguardano

“l’accertata impossibilità di natura oggettiva” e “la provata condotta illecita”.

81 Sarebbe una contraddizione in termini sostenere che il consenso dell’imputato

possa legittimare l’acquisizione di elementi a lui favorevoli formati unilateralmente dalla difesa, così C. CONTI voce Giusto Processo (dir. proc. pen.) in Enc. Dir. Aggiornamento V, 2001.

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genetico della prova rappresenta precipuamente «uno strumento

di salvaguardia del rispetto delle prerogative dell'imputato»83.

Del resto, che la volontà delle parti assuma una naturale preminenza costituisce una caratteristica originaria e permanente di qualsiasi rapporto dialettico. Lo svolgimento di qualsiasi competizione agonistica necessita di contendenti determinati ad

affrontarsi reciprocamente84. Cosicché, una volta preparato il

campo per “la disputa tra le parti” (garantita, cioè, la struttura triadica del processo, con la possibilità per tutte le parti di parteciparvi) costituisce espressione del contradditorio anche la

rinuncia alla competizione.

Nel concreto e più specificamente, nel patteggiamento si determina una anticipata delibazione delle prove che vincola la decisione del giudice al giudizio delle parti circa la significatività probatoria di quanto raccolto durante le indagini, complete o incomplete che siano. La decisione è il risultato di conoscenze che assumono valenza di prova, esclusivamente per una scelta

volontaristica in tal senso85. Senza il contributo delle parti che

concludono l’accordo non si potrebbe dar luogo alla formazione della prova per via consensuale, proprio perché il quid pluris di cui necessita l’atto d’indagine, per diventare prova, promana da

tutti coloro che avrebbero partecipato al contraddittorio86.

Senza addentrarci per ora in ulteriori considerazioni al riguardo, basti qui notare che l’ingresso in Costituzione del “consenso”

83 In questi termini ebbe ad esprimersi la Corte cost., con sentenza 1 gennaio 2009,

n. 184, in www.cortecostituzionale.it.

84 Cfr. M. L. Di BITONTO, Profili dispositivi dell’accertamento penale, Giappichelli,

Torino, 2004, p. 156.

85 Cfr. E. N. LA ROCCA, La scelta del rito da parte dell’imputato: sopravvenienze e vizi della volontà, in Archivio penale, 2015, n.2, p. 13

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sembra giustificare un paradigma cognitivo differente, forgiato in un contesto, proprio dei riti deflativi del dibattimento (e del patteggiamento in particolare), dove il consenso dell’imputato

rileva come componente di un accordo tra le parti87. Tale

componente consensuale giustificherebbe, quindi, uno

scandimento della funzione cognitiva direttamente proporzionale all’utilizzo di elementi di prova formati unilateralmente dalle parti. Nella disponibilità dell'imputato non sarebbe comunque la ricerca della verità che, rappresentando la finalità stessa del processo, non può essere considerata un valore disponibile, ma la determinazione del “grado di verità” conseguibile con i diversi

metodi probatori messi a disposizione dal legislatore88. Non si

tratta, a ben vedere, di una rinuncia all’an dell’accertamento

quanto piuttosto di una differente determinazione del quomodo89.

Alla luce del quadro così tracciatosarebbe, dunque, ingiusto e non

conforme a realtà, tacciare il patteggiamento di

anticognitivismo90, posto che dalla sentenza di applicazione della

pena scaturisce pur sempre un dato epistemico,

considerevolmente limitato e parziale, ma pur sempre valido91.

Una diversa conclusione sarebbe tra l’altro, in palese contrasto con l’ineludibile istanza sottesa all’art. 27 comma 2 Cost. che assai significativamente enuncia la presunzione di non colpevolezza. C’è un evidente intimo collegamento tra tali

87 Cfr. GIOSTRA, voce Contraddittorio (principio del), in Enc. Giur. cit., p. 10.

88 Di questo avviso O. MAZZA, voce Contraddittorio (principio del), (dir. proc. pen.) in

Enc. Dir., Annali VII, 2014.

89 S. MONTONE, La pena negoziata tra diritto penale e processo, in Questione Giustizia, 2004, p. 467.

90 Abbraccia tale conclusione L. MARAFIOTI, Giustizia negoziata e verità processuale selettiva, cit. p. 2506.

91 In dottrina accoglie tale conclusione CALLARI, L’applicazione della pena su richiesta delle parti: uno “speciale” paradigma processuale cognitivo, cit., p. 13.

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principi. La presunzione di non colpevolezza impone al processo di esprimersi come “accertamento” e qualifica quest’ultimo come

indisponibile92.

La presunzione de qua non può, tuttavia, non confrontarsi con le

peculiarità del rito speciale, e assimilare l’ideologia

consensualistica sottesa al processo di parti93.

Così gli indici normativi, ricavabili dall’art. 444 comma 2 già prima delle ultime riforme che hanno investito il rito, invero, impongono la verifica non solo della cornice giuridica prospettata dalle parti (qualificazione giuridica del fatto, applicazione e comparazione delle circostanze), ma anche della specifica soluzione punitiva (congruità della pena indicata) con ciò escludendo un mero controllo estrinseco-formale; anche la compatibilità del rito con il beneficio della sospensione condizionale, con la prognosi che «il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati», implicitamente presuppone l’indagine accertativa, sia pur nell’ambito del limitato orizzonte cognitivo

dello stato degli atti94. Importante è poi il richiamo alla clausola

di salvezza contenuta all’art. 445 c.p.p. laddove si richiama l’art. 653 c.p.p. che espressamente riconosce efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare davanti alle pubbliche autorità «quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità

penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso»95.

92 Cfr. DI BITONTO, Profili dispositivi dell’accertamento penale, cit., p. 55

93 Cfr. PAULESU, Voce Presunzione di non colpevolezza, in Dig disc. Pen., Torino, IX

1995, p. 690-691.

94 Così VIGONI, Patteggiamento “allargato”: riflessi sul sistema e sull’identità della sentenza, in Cass pen., 2, 2004, p. 715.

95Su questo tema si è peraltro espressa la Corte Costituzionale, in relazione alla

questione di legittimità degli artt. 445, comma 1-bis, e 653, comma 1-bis, del codice di procedura penale, nella parte in cui, equipara la sentenza ex art. 444, comma 2, ad una sentenza di condanna, evidenziando come «un simile combinato disposto non

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A dar man forte alla tesi costituzionalmente orientata sopra delineata, in dottrina si sono ricercate delle soluzioni volte a giustificare la possibilità di semplificare il contenuto dell’accertamento di responsabilità. Si è così affermato che se non si vuole mortificare la logica negoziale del rito e, al contempo, appiattire ad un ruolo meramente notarile la funzione del giudice, occorre puntare sul fatto che mentre la negozialità investe la tecnica di accertamento, spetta al giudice tutelare i valori primari

della giurisdizione96. Ecco perché il negozio non può esaurire la

funzione cognitiva del processo, che è indisponibile; esso però può essere il presupposto che semplifica l’accertamento, senza

sostituirsi ad esso97.

2.2. Le ragioni dell’irrompere della giustizia negoziata Non si è avuto il coraggio di disegnare in Costituzione un modello epistemologico rigido fondato esclusivamente sul contraddittorio forte per l'elemento di prova, perché questa scelta avrebbe

comportato automaticamente l'illegittimità dell'impianto

codicistico vigente. Del resto, non appena emerse nel corso dei

avrebbe significato alcuno senza al contempo non configurare nel rito speciale la presenza di un giudizio storico sulla responsabilità penale», Corte Cost., sent. 18 dicembre 2009, n. 336 in Giur. Cost., 2009, 4992.

96 Il legame tra colpevolezza e pena individuato nell’art. 27, comma 2, non è

costituzionalmente garantito da un accertamento completo, per cui alla qualificazione della sentenza di patteggiamento come sentenza di condanna non sarebbe di ostacolo il carattere sommario della verifica giudiziale, così F. CAPRIOLI,

L’accertamento della responsabilità penale “oltre ogni ragionevole dubbio”, in Riv. it.

dir. e proc. pen., 2009, p. 83.

97 A tal proposito si nota come le garanzie di difesa dell’imputato andrebbero

rafforzate, anche, ad esempio, ricorrendo più frequentemente all’applicazione dell’art. 446 comma 5 c.p.p., il quale consente al giudice di disporre la comparizione dell’imputato per verificare la volontarietà della richiesta o del consenso. A. CIAVOLA, Il contributo della giustizia consensuale e riparativa all’efficienza dei modelli di giurisdizione, cit., p. 156-158.

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lavori parlamentari, prodromici alla legge costituzionale 2/1999, la problematica delle eccezioni al principio della formazione dialettica della prova, subito venne dato rilievo al consenso dell’imputato, evidenziandosi il significato dello stesso come fondamento costituzionale per l’eventualità dell’instaurazione dei

riti alternativi98. Sembravano suonare profetiche le parole di un

celebre giurista allorché affermava che «un processo improntato a schemi accusatori, qual è stato quello concepito dal legislatore della riforma del 1988, è talmente complesso e lungo da non poter essere utilizzato per tutti i reati di competenza della corte d’assise e del tribunale», e che viceversa «occorre che siano previsti ed utilizzati ampliamente vari meccanismi di semplificazione del processo penale quando in concreto non siano necessarie tutte le

garanzie previste dal rito ordinario»99. Invero, l’interesse verso la

tematica del consenso ha iniziato a prendere piede nella giustizia penale allorché questa ha iniziato a soffrire di ritardi ed intasamenti che parevano oramai cronicizzati con effetti che rischiavano di divenire paralizzanti sul piano processuale e con riguardo all’effettività della risposta sanzionatoria. Ma la domanda di efficienza non è l’unico fattore determinante l’irruzione della giustizia negoziata. La scelta di intervenire attraverso lo strumento del consenso si giustifica alla luce di un’evoluzione della sovranità statale: il rapporto autorità/cittadino è oggi improntato a una relazione tendenzialmente orizzontale,

98 Tale collegamento sarebbe poi venuto meno solo a livello letterale, nella

successiva stesura dell’art. 111 comma 5, ma il riferimento al consenso è stato inteso sempre e soltanto in relazione ai riti alternativi, si veda E. MARZADURI, Sub. Art. 1 l. cost. 23/11/1999, n.2 in Leg. Pen. 2000, 799.

99 Sono parole di TONINI, in F. PERONI. M. GIALUZ, La giustizia penale consensuale, Concordati, mediazione e conciliazione, Torino, Utet, 2004 p.6

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volta a coinvolgere il cittadino nei procedimenti decisionali che

toccano i suoi interessi100. Il mutamento del ruolo dello Stato nella

società ha inciso sugli scopi del processo e sui diritti delle parti attraverso un mutamento di prospettiva nella tutela degli interessi

della giustizia101. Cosicché, il processo di parti meglio risponde a

questa ideologia, che vuole una ridotta incidenza del potere autoritativo del giudice rispetto ai momenti dedicati alle scelte

delle parti processuali102. All’indomani dell’entrata in vigore del

codice di rito, non si mancò di sottolineare come la negozialità, abbia costituito l’elemento caratterizzante il processo di matrice accusatoria, stanti i molteplici congegni incentrati sull’attivazione

della volontà delle parti e sulla prestazione del consenso103.

Si è dunque optato per un passaggio da una logica di “giustizia imposta” alla logica di una giustizia “partecipativa”: si tratta di un modello che amplia i poteri dei soggetti privati e del pubblico ministero nella dinamica del processo, ove il giudice assume il ruolo di controllore sul corretto svolgimento del rito, ma detiene

scarsissimi poteri di impulso o impostazione del processo104.

100 V. A. CIAVOLA Il contributo della giustizia consensuale e riparativa all’efficienza dei modelli di giurisdizione, cit. p. 31.

101 Studi in materia hanno evidenziato che nei modelli di Stato definiti “attivi”, che

tendono ad organizzare la vita dei cittadini ed a guidare la società, l’obiettivo del processo è applicare la legge nel contesto di circostanze contingenti101. Il processo è

configurato dallo Stato attivo come un’indagine controllata dai funzionari statali. Al contrario, nei modelli di Stato definiti “reattivi” l’unico compito è di fornire una struttura portante nell’ambito della quale i cittadini perseguono gli scopi che si sono scelti e i diritti si possono così utilizzare come strumenti di contrattazione fra le parti in causa, v. DAMASKA, I volti della giustizia e del potere. Analisi comparatistica del

processo, cit., 176.

102 Cfr. BONINI, Limiti sistematici ed opzioni ricostruttive della negozialità nella giustizia penale, Giappichelli, Torino, 2004, pp. 24-25.

103Cfr. E. N. LA ROCCA, La scelta del rito da parte dell’imputato: sopravvenienze e vizi di volontà, Orientamenti, Archivio penale, 2, 2015. Dello stesso avviso E. AMODIO,

Giustizia penale negoziata e ragionevole durata del processo, 10, 2006, p.3406. 104 Cfr. BONINI, Limiti sistematici ed opzioni ricostruttive della negozialità nella giustizia penale, cit., p. 16.

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2.3. Fondamenti

concettuali

della

giustizia