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Il valore del consenso in altri settori dell’ordinamento: il processo tributario

negoziata e ambito applicativo

2.6. Il valore del consenso in altri settori dell’ordinamento: il processo tributario

Un’interessante problematica meritevole di menzione e non direttamente ricavabile dalla stretta disciplina processuale in tema di patteggiamento, attiene agli effetti esplicati dalla sentenza penale di applicazione della pena nel processo tributario, non espressamente menzionato tra i giudizi in cui la sentenza di applicazione della pena non fa stato ex art. 445 comma 1 bis c.p.p. È opinione condivisa che il principio dell’inefficacia della sentenza di applicazione della pena nei giudizi civili e amministrativi costituisca una deroga rispetto alla previsione degli

artt. 651-654 c.p.p.132 Gli artt. 651 e 652, in particolare, regolano

l’efficacia extrapenale dell’accertamento dei fatti contenuta nel giudicato penale nei giudizi di danno, l’art. 653 nel giudizio disciplinare, e nei giudizi civili e amministrativi (non di danno) l’art. 654. Quest’ultimo, in particolare, attribuisce rilevanza di giudicato alle sentenze penali di assoluzione o di condanna quando i fatti, accertati e ritenuti rilevanti ai fini della decisione, sono gli stessi sui quali verte il giudizio civile o amministrativo133.

131 Così BONINI Imputato e il pubblico ministero nella scelta del rito “patteggiato”, in Riv. It.

dir. e proc. Pen., 4, 1997, pp.1187.

132 Gli artt. 651-654 c.p.p. disciplinano gli effetti extrapenali del giudicato penale nei

giudizi civili, amministrativi e disciplinari, in un contesto normativo che esclude la validità erga omnes dell’accertamento dei fatti intervenuto in sede penale, in Codice di procedura commentato, a cura di A. GIARDA – G. SPANGHER, Ipsoa, III, IV ed. 2010.

133 Occorre qui precisare il valore normativo del giudicato penale sotteso al 654, il

quale si estende al di là del dispositivo della sentenza, ovvero «al contenuto d’accertamento fattuale emergente da tutta la sentenza, in particolare, nella sua motivazione, purché sussistano i presupposti di legge». È stato asserito, infatti, come l’accertamento dei fatti, sviluppato nella motivazione, sia dotato di «una “rilevanza

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Sono contemplati due presupposti, uno oggettivo l’altro soggettivo, in carenza dei quali la sentenza penale non trova efficacia. Sotto il profilo soggettivo, affinché la sentenza penale abbia efficacia di giudicato in altro procedimento deve essere resa nei confronti dell’imputato, del responsabile civile e della parte civile; ulteriore condizione attiene all’assenza di limitazioni alla prova nell’altro processo: la pregiudizialità, infatti, non ha efficacia in relazione a fatti rispetto ai quali la legge civile pone

limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa134.

Considerato pacifico in dottrina che questa disposizione non possa

essere soggetta a interpretazioni estensive, il senso puramente

letterale della norma induce a ritenere che quanto statuito nell'art. 654 c.p.p. sia applicabile al solo processo civile ed amministrativo e non al processo tributario.

La giustizia tributaria ha subito un’evoluzione che si snoda lungo

un percorso che ha radici lontane135 e che ha portato all’assetto

attuale, definito nei suoi contenuti dai d. lgs. 31 dicembre 1992, n.545 e n. 546, nonché dalle numerose pronunce giurisprudenziali in materia 136.

ordinamentale tipica” e di un’autonomia logica, rispetto al comando contenuto nel dispositivo, che l’ordinamento recepisce come elemento di certezza giuridica che oltrepassa il caso singolo, potendo costituire «il possibile presupposto di nuove valutazione giudiziali». F. CALLARI, La firmitas del giudicato penale: essenza e limiti,

Giuffrè, Milano, 2009, passim p.39.

134 Il riferimento è alle prove testimoniali o presuntive richiamate negli artt. 2721-

2726 e 2729 comma 2 cc.

135 Fondate nella legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E abolitrice dei tribunali del

contenzioso amministrativo.

136 La materia tributaria è stata successivamente modificata da nuovi interventi

legislativi e, in particolare, dall’art. 3 bis del d.l. 30 settembre 2005, n. 248, convertito in legge 2 dicembre 2005, n.248, dall’art. 35 comma 26 quinques d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge 4 agosto 2006 n. 248, dall’art. 2, comma 1, d.l. 8 aprile 2008 n. 59 convertito dalla legge 6 giugno 2008, n. 101, F. BATTISTONI FERRARA - B. BELLÈ, in Diritto tributario processuale, IV ed., 2011, Cedam, p. 1.

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Stante il diverso oggetto della materia tributaria137, anche il suo

processo è caratterizzato da regole probatorie differenti rispetto al processo penale: nel processo tributario la dimostrazione dei fatti può essere raggiunta utilizzando mezzi di prova che si individuano per esclusione, giacché il comma 4 dell’art. 7 d. lgs. 546/1992, sottintendendo che per il processo tributario valgono le prove tipiche del rito ordinario, afferma che non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale (divieto quest’ultimo estraneo al processo penale). Inoltre, possono non essere ammesse prove documentali che sono invece ammesse nel processo penale, e possono essere utilizzate presunzioni legali e semplici che non

valgono per il giudice penale138. La giurisprudenza di legittimità

in molteplici sentenze in tema di rapporti tra giudicati, ha precisato come «ai sensi del 654 c.p.p. l'efficacia vincolante del giudicato penale non opera automaticamente nel processo tributario, poiché in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto della prova testimoniale) e, dall'altro, possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Nessuna automatica autorità di cosa giudicata può quindi attribuirsi, nel separato giudizio tributario, alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali

137 L’art. 2 del d.lgs. 31-12-1992 n. 546, recante disposizioni sul processo tributario

in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413, fissa l’oggetto della giurisdizione tributaria, in generale, nelle «controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali […]». Vedi P. RUSSO voce Processo tributario in Enc. Dir., XXXVI, 1987, pp. 765-766.

138 Cfr. F. TESAURO, Ammissibilità nel processo tributario delle prove acquisite in sede penale, in Rass. trib., 2015, II, 330 s.

57 l'Amministrazione finanziaria ha promosso l'accertamento nei confronti del contribuente»139. Ne consegue, dunque, che «il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l'esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari ma, nell'esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (articolo 116 cod. proc. civ.) deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell'ambito specifico in cui esso è destinato ad operare»140. Si

tratta del riflesso del principio del c.d. “doppio binario”, che trova il proprio fondamento nella diversità delle regole sottese

all’accertamento dell’illecito tributario rispetto a quello penale141.

Non è dato, infatti, rintracciare nella normativa vigente specifiche disposizioni che garantiscano una condivisione dei materiali probatori, né una successione logica o cronologica tra le due istruttorie, che sono perciò tra loro non coordinate: l'art. 20 D.Lgs.

n. 74/2000142 vieta infatti che l'accertamento tributario possa

essere sospeso in pendenza di procedimento penale143. I due

processi non sono stati, tuttavia, da sempre caratterizzati da un rapporto di autonomia. La questione legata al rapporto di autonomia-pregiudizialità tra processo tributario e processo

139 Cfr., ex multis, Cass. Civ., sez. trib., 12 dicembre 2013, n.27822, in http://bdprof.ilsole24ore.com/MGRBD24/Default.aspx#70.

140 Ibidem.

141 Cfr. F. PISTOLESI, Crisi e prospettive del doppio binario nei rapporti fra processo e procedimento tributario e giudizio penale, in Riv. Dir trib., 1, 2014, p. 28.

142 D. lgs. 10 marzo 2000, n. 74 “Nuova disciplina in materia di imposte sui redditi e

sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giungo 1999, n. 205, pubblicato nella Gazz. Uff. n. 76 del 31 marzo 2000.

143 Così mette in luce E. MARELLO, Evanescenza del principio di specialità e dissoluzione del doppio binario: le ragioni per una riforma del sistema punitivo penale tributario,

in Riv. dir. trib., 12, 2013, p.26, che nel suo lavoro osserva come l’assenza di una regolamentazione ad hoc abbia lasciato alla Corte di Cassazione il compito di regolare la “circolazione” probatoria tra i due procedimenti, legittimandola ed indebolendo l’assunto dell’autonomia degli stessi.

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penale affonda le sue radici in quasi cento anni di storia giuridica

italiana, di cui in queste sede non è possibile dare ragione144. Basti

qui ricordare come tale pregiudizialità è stata infine soppressa e che l'art. 20 del D. Lgs. 74/2000 afferma il principio dell'autonomia tra i giudizi, senza offrire ulteriori spunti idonei a risolvere la problematica se e in quale misura il giudicato penale

abbia efficacia vincolante all’interno della procedura

amministrativa di accertamento145.

Fatte queste necessarie premesse, è logico domandarsi che valore abbiano gli elementi di prova raccolti in un giudizio conclusosi a seguito di sentenza di patteggiamento, ossia in un giudizio caratterizzato da limiti cognitivi - derivanti dall'accordo - che

implicano un accertamento sommario in punto

fatto/responsabilità e che sono alla base della mera equiparazione

alla sentenza di condanna146.

A tal riguardo la Suprema Corte già si pronunciava con sentenza nel 1998: nel caso di specie, l’Amministrazione finanziaria ricorreva deducendo un unico motivo articolato in quattro punti

144 Brevi cenni sull'annosa questione della pregiudiziale penale rispetto all'oggetto

della controversia tributaria sono offerti da G. CESARI, che ricorda come la legge 7 gennaio 1929, n.4 prevedeva al comma 3 dell’art. 21 che “per i reati previsti dalle leggi sui tributi diretti, l’azione penale ha corso dopo che l’accertamento dell’imposta e della relativa sovrimposta è divenuta definitivo a norma delle leggi regolanti la materia” (cosiddetta “pregiudiziale tributaria”), Il divieto di sospensione

del giudizio tributario per la pendenza di un processo penale avente ad oggetto i medesimi fatti, in Riv. dir. trib., 3, 2014, p.133.

145 L’efficacia vincolante del giudicato penale può comunque farsi discendere dall’art.

4, l. n. 2268/1865, all. E, che impone agli uffici finanziari l’obbligo di conformarsi al giudicato dei tribunali in quanto riguardi il caso deciso, lascia insolute molte questioni tra cui le modalità attraverso le quali l’amministrazione finanziaria verrà portata a conoscenza della pronuncia definitiva del giudice penali, i poteri che potrà esercitare, i provvedimenti che dovrà o potrà adottare ecc. V. G. GARUTI, Modelli

differenziati di accertamento, in Trattato di procedura penale, Vol. 7, I, Torino, 2012,

p. 910.

146 D. VIGONI, voce Applicazione della pena su richiesta delle parti, in Enc. Dir, agg. VI,

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avverso la sentenza n. 59/4/96 dell’11 novembre 1996 con cui la Commissione Tributaria Regionale delle Marche, accogliendo il gravame del sig. G.L., aveva annullato l’accertamento per omessa dichiarazione di redditi di oltre 2 miliardi emesso dall’Ufficio Imposte Dirette di Macerata. Contro il sig. L., coinvolto in un processo penale per peculato (conclusosi poi a causa della derubricazione in appropriazione indebita), l’Amministrazione emise l’avviso di accertamento sulla base dei documenti e dei dati acquisiti in sede penale. Questa documentazione fu ritenuta sufficiente dalla Commissione di primo grado, ma non dal giudice d’appello che negò la sussistenza del presupposto oggettivo d’imposta, asserendo che «nel corso delle indagini non erano state assunte prove certe tali da poter affermare che il signor L. avesse intascato totalmente od in parte le somme per le quali era stato imputato di appropriazione indebita». Inoltre aggiungeva che «l’estrema plausibilità ipotizzata dagli inquirenti non poteva costituire di per sé presunzione grave, precisa e concordante tale

da legittimare l’accertamento operato»147.

La Corte accoglieva il ricorso. Nell’esaminare le censure dell’Amministrazione rivolte avverso la motivazione nel merito della sentenza impugnata, constatava la violazione ad opera di quest’ultima, del punto 5) del primo comma dell’art. 360 c.p.c., ovvero per «insufficiente e contraddittoria motivazione». A detta della Corte, «mancano considerazioni le quali inducano ad escludere che gli elementi indiziari (solo accennati nella narrativa) raggiungano la consistenza richiesta dalla legge tributaria, che indubbiamente esige un supporto probatorio inferiore a quanto

147 Cass. Sez. I, 10 novembre 1998, n. 11301, Efficacia probatoria del patteggiamento penale, Articoli, Finanza & fisco, n.1, 1999, pp. 21-22.

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necessario per una condanna penale». Così – ad esempio – la richiesta di applicazione di pena (cui allude la sentenza impugnata) non comporta un accertamento invincibile di responsabilità, ma il giudice di merito che disattenda simile corposo elemento deve spiegare perché ritiene che l’imputato abbia ammesso una responsabilità insussistente, e perché il giudice penale abbia errato prestando fede a simile

“confessione”148. In pratica, nella sentenza in commento la Corte

considera la sentenza di patteggiamento equivalente alla «mancata ammissione di una insussistente responsabilità dell'imputato», attribuendo rilevanza alla condotta dell'imputato, oltre che agli accertamenti fattuali svolti dal giudice penale nella relativa sede. Un'altra pronuncia verteva sul ricorso del Ministero delle finanze avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio-Roma n.49/06/99. L’ufficio distrettuale delle imposte dirette di Cassino, nella fattispecie, si era visto annullare in primo grado (con rigetto in appello) l’avviso di accertamento emesso nei confronti di F.P (condannato per corruzione per la complessiva somma di lire 1.870.000.000 percepita nell’anno 1990-1992, con sentenza di patteggiamento, ad anni 1 e mesi 2 di reclusione, con correlata sospensione della pena), per difetto di motivazione, in quanto «nessuna rilevanza a fini tributari dovevano assumere le risultanze del processo penale e della condanna per patteggiamento, che comunque non determina la

certezza del quantum asseritamente percepito»149.

Anche in questo caso la Corte, accogliendo il ricorso, ribadisce come sia «ius receptum che la sentenza penale di applicazione

148Ivi.

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della pena su richiesta delle parti ex 444 c.p.p. costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito», e che «il riconoscimento di responsabilità dell’imputato, pur non essendo assistito dall’efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato

come prova dal giudice tributario nel giudizio di legittimità»150.

Da ultimo si ricorda una più recente pronuncia, la n. 8153 del 22

aprile 2015, nella quale il Collegio osserva che «i fatti accertati e le prove assunte in un diverso giudizio (penale, amministrativo, ecc.) sono pienamente utilizzabili come indizi, da sottoporre al vaglio critico, anche nel giudizio tributario, ed in particolare, la possibilità per giudice di merito di trarre elementi confermativi della responsabilità dalla sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen., deriva dalla constatazione secondo cui tale sentenza, pur non determinando un accertamento insuperabile di responsabilità nei giudizi civili e amministrativi,

costituisce pur sempre un indiscutibile elemento di prova»151. Un

indirizzo che sembra attribuire una valenza “orientativa” maggiore alla sentenza di patteggiamento, rispetto ad una

ordinaria sentenza di condanna152.

È stato osservato153 che il ragionamento sotteso a questo

orientamento sia fondato sul più palese buon senso: se l'imputato

150 Cass. Sez. trib., 30 settembre 2005, n. 19251, in “il fisco”, 1, 2005, 6334.

Addirittura in un’altra decisione di qualche anno successiva, si ammetteva l’utilizzabilità della prova acquisita in sede penale, anche in via esclusiva dal giudice civile o tributario di merito per la formazione del proprio convincimento, così cass. Sez. trib., 19 ottobre 2012, n. 17967 in http://www.bd24.ilsole24ore.com/DEMO.

151 Cass. Sez V, 22 aprile 2015, n. 8153 in

http://bdprof.ilsole24ore.com/MGRBD24/Default.aspx#42.

152 Di questo avviso M. T. MONTEMITRO, Gli effetti del giudicato penale sul processo tributario. Peculiarità dell’istituto di cui all’art. 444 c.p.p., in Riv. Dir. trib., 2, 2015, p.

72.

153 Cfr. A. MARCHESELLI, La circolazione dei materiali istruttori dal procedimento penale a quello tributario, in Rass. trib, 2009, I, 83 e ss.

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chiede l'applicazione della pena su una imputazione che presuppone una evasione fiscale, la giustificazione più plausibile è che l'accusa sia fondata. Secondo siffatto orientamento, è ragionevole dare per provata, in sede tributaria, l'ipotesi accusatoria patteggiata in sede penale (ove rilevi in essa la prova di un fatto tributariamente rilevante), se non sono offerti o risultano elementi che facciano ritenere che l'ipotesi accusatoria sia infondata (o che comunque non sussista il presupposto della imposizione). Certo, si precisa come sia del tutto libera la prova del contrario da parte del giudice di merito, che potrebbe

comunque disattendere i dati raccolti in sede penale154.

L’orientamento giurisprudenziale messo in evidenza, in ogni caso, attribuisce al consenso dell’imputato che aderisce all’applicazione del rito alternativo, e che quindi manifesta una mera scelta processuale, una valenza sostanziale, accogliendola come confessione o, quanto meno, come ammissione di responsabilità per facta concludentia. Un orientamento che lascia perplessi, visto che la possibilità di assegnare una qualche valenza latu sensu confessoria alla richiesta dell’imputato ha suscitato pesanti critiche da parte della dottrina, tanto da essere stata esplicitamente

rigettata dalla Cassazione e poi abbandonata dalla

giurisprudenza155.

154 ID, L’efficacia probatoria nel processo tributario del patteggiamento penale, in

Dir. prat. trib., 2001, II, p. 707.

155 Vedi M. GIALUZ, voce Applicazione della pena su richiesta delle parti, in Enc. Dir.

Annali II-1 2008.Tra l’altro, tra le obiezioni mosse a tale prospettazione vi era proprio il rischio di conferire all’ammissione di responsabilità la valenza di prova legale. Ora, non si può dire sulla scorta delle argomentazioni della Corte che le prove assunte in sede di patteggiamento configurino prova legale (anche perché difetta una previsione legale che preveda tale operazione), ma sembra quanto meno potersi trarre una presunzione (semplice, ergo operata in via di inferenza logica, volta per volta) circa la sussistenza del fatto descritto nell’imputazione, per queste

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Nel nostro ordinamento, la richiesta di patteggiamento da parte dell'imputato non equivale ad una ammissione di reità. Se anche egli avesse reso una confessione, questa sarebbe liberamente

valutabile dal giudice156. Sarebbe facile concordare con chi

sostiene la tesi circa la necessità di qualificare la scelta

dell'imputato come ammissione di responsabilità: tale

ricostruzione garantirebbe una maggiore trasparenza e “comprensibilità” all’istituto - visto appunto l’atteggiamento assunto dalla giurisprudenza extrapenale - senza che tale ammissione debba assumere la valenza di elemento probatorio di cui il giudice può servirsi per accertare autonomamente la responsabilità. La sua funzione sarebbe quella di atteggiarsi a componente di un accordo che ha proprio l'effetto di

ridimensionare notevolmente il ruolo del giudice157. D’altra parte,

configurare il patteggiamento alla stregua di un’assunzione implicita di responsabilità è riduttivo e non tiene in debita considerazione che le circostanze che potrebbero indurre l'imputato che sceglie di patteggiare la pena, siano ben diverse dalla mera assunzione di responsabilità, né il giudice tributario

potrebbe spiegare dette ragioni.

2.7. I limiti al patteggiamento della pena per i reati