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La tutela del diritto all'assistenza ed alla previdenza sociale

3. Quali stranieri e quali diritti sociali?

3.1 La tutela del diritto al lavoro

3.1.2 La tutela del diritto all'assistenza ed alla previdenza sociale

Connesso al diritto al lavoro è previsto il diritto alla previdenza sociale ed all'assistenza sociale. Essi sono regolati dall'articolo 38 della Costituzione, che prevede due forme di tutela, da un lato nei confronti degli inabili ed indigenti e, dall'altro, nei confronti dei lavoratori. Suddetto articolo, al primo comma stabilisce il principio del diritto all'assistenza sociale per ogni cittadino, qualora il soggetto si dimostri inabile al lavoro e sia sprovvisto di mezzi propri di sostentamento, ovvero di risorse idonee per un'esistenza dignitosa. Al secondo comma, invece, stabilisce il principio per cui i lavoratori hanno diritto agli istituti di previdenza sociale e assistenza in caso di infortunio, malattia, invalidità e disoccupazione involontaria. Si tratta di due diritti diversi: uno è legato alla privazione della capacità lavorativa ed è, quindi, riconducibile alle esigenze di tutela della dignità umana garantita dall'art. 2 della Costituzione, nonché di affermazione del principio di pari dignità sociale, di cui all'art. 3 comma 1, e, in secondo luogo, afferma la necessità di integrazione sociale. In questo senso, lo Stato è tenuto a fornire queste garanzie in un'ottica di sicurezza sociale, nella quale confluiscono le prestazioni fornite dall'apparato statale. Di tale sistema fanno parte sia i servizi di beneficenza e assistenza, sia quelli di previdenza.

I primi, resi dallo Stato a particolari categorie soggettive, indipendentemente da forme di contribuzione dei destinatari. I secondi, invece, sono rivolti soprattutto ai lavoratori, resi sulla base di contribuzione poste a carico del soggetto destinatario o altri soggetti, quali possono essere ad esempio, i datori di lavoro.

Queste vengono garantite in particolare dalle istituzioni regionali, a seguito della riforma del Titolo V del 2001100. Attraverso tale riforma vengono, di fatti, affidate

alle Regioni le competenze per stabilire le condizioni di accesso al sistema di welfare regionale.

Tale quadro ha delineato due macro profili seguiti dalle istituzioni regionali. Attinente al primo profilo possono definirsi le aperture in senso universalistico di accesso al welfare di alcune Regioni, che hanno previsto anche per gli stranieri regolarmente soggiornanti sul territorio l'accesso al sistema delle prestazioni e dei servizi sociali, in parità di condizione con i cittadini italiani, sino alla possibilità di accedere alle prestazioni sociali anche a tutti coloro che sono in attesa di riconoscimento del permesso di soggiorno.

Il secondo profilo, invece, prevede una chiusura nei confronti degli stranieri, precludendo a coloro che non sono in possesso della cittadinanza italiana di accedere ad alcune prestazioni sociali, correndo il rischio di sollevare questioni di legittimità sui quali deve poi rispondere la Corte costituzionale, soprattutto a garanzia della portata universalistica del dettato costituzionale dell'ordinamento italiano, in quanto, di fatti, in questo modo, si attua concretamente la natura sociale dello Stato stesso, anche con riferimento agli stranieri, combinando l'articolo 38 con gli articoli 2 e 3 della Costituzione e gli articoli 10, comma 2 e 117 che assicurano parità di trattamento101. Questa protezione, nella legislazione nazionale, è anche

offerta dall'articolo 41 del T.U.I, che prevede infatti una piena equiparazione dei cittadini extracomunitari ai cittadini italiani nelle prestazioni sociali, anche economiche di assistenza sociale, avendo come unica condizione un permesso di soggiorno con durata non inferiore ad un anno.

La Legge n° 388/2000, dispone che l'assegno sociale e le provvidenze economiche oggetto di diritto soggettivo siano concesse agli stranieri titolari della Carta di

100 P. Caretti, op. cit.

soggiorno, ovvero il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, mentre le altre prestazioni e servizi sociali il requisito resta il permesso di soggiorno di durata almeno annuale, introducendo un ulteriore discrimine102.

Un quadro internazionale si può ricostruire ripartendo dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo, che all'articolo 22 riconosce ad ogni individuo, in quanto membro di una società il diritto alla sicurezza sociale ed all'assistenza sociale, in particolare nei casi di inadempimenti non dettati dalla volontà del soggetto, come i casi di invalidità, vecchiaia, malattia e disoccupazione.

La garanzia sopracitata è stata, inoltre, ripresa anche dal Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, che la amplia anche a forme di assicurazioni sociali e prestazioni, anche in favore della famiglia ed infine, è stabilita anche all'interno della Carta sociale europea, agli articoli 12-14, che riconoscono il diritto alla sicurezza sociale ed all'assistenza sociale al fine di contribuire al benessere ed allo sviluppo degli individui e dei gruppi della comunità.

Con specifico riferimento ai lavoratori stranieri, è ancora la già citata Convenzione OIL n° 143/1975 ad obbligare gli Stati a formulare ed attuare una politica diretta a promuovere e garantire la parità di opportunità e di trattamento in materia di sicurezza sociale. Nel merito della normativa comunitaria, occorre anzitutto sottolineare che l'accesso alle prestazioni sociali per i cittadini comunitari è gestito dal Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n° 883/2004, relativo al “coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale”, il quale all'articolo 4 prevede che i soggetti godano delle stesse prestazioni e siano soggetti agli stessi obblighi della legislazione dello Stato membro in cui risiedono, alle stesse condizioni dei cittadini di tale Stato. Tale Regolamento è stato revisionato attraverso il Regolamento n° 1231/2010, allargandone le disposizioni anche ai cittadini di Paesi Terzi. Esso, però, non si applica né all'assistenza sociale, né all'assistenza medica.

In ogni caso, la Direttiva n° 38/2004, relativa al “diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri”, chiarisce ulteriori punti in merito ai soggetti che accedono alle prestazioni sociali, distinguendo a seconda che il cittadino:

102 (a cura di) A. Guariso, Stranieri e accesso alle prestazioni sociali. Normativa nazionale ed europea, schede pratiche. In www.asgi.it , pag. 8

– risieda in altro Paese membro per meno di tre mesi;

– risieda in altro Paese membro per un periodo compreso tra tre mesi e cinque anni;

– risieda regolarmente da almeno cinque anni103.

Solo nel terzo caso ha la piena garanzia di libero accesso al sistema di prestazioni sociali a parità di condizione del cittadino dello Stato membro, mentre nel primo caso l'accesso è limitato finché il cittadino non diventa un onere eccessivo per il sistema assistenziale del Paese ospitante e nel secondo caso qualora l'individuo sia provvisto di un rapporto di lavoro o di disponibilità di risorse economiche sufficienti tali da non diventare un onere per l'assistenza sociale dello Stato ospitante. Per questi casi ogni Stato membro può decidere se negare o meno le prestazioni e sino a che livello riconoscerle.

Tali previsioni devono essere lette sulla base dell'articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, attraverso il quale l'Unione riconosce e rispetta il diritto di accesso alle prestazioni ed ai servizi sociali, anche in riferimento ai cittadini di Paesi Terzi, in particolare ai titolari del permesso di soggiorno CE di lungo periodo, ai familiari dei cittadini europei ed ai titolari di protezione internazionale. In questi casi, la normativa europea, recepita in Italia con il D. Lgs n° 3/2007 prevede che vi sia piena parità di trattamento con il cittadino italiano per generare una forma di integrazione piena ed esaustiva, anche in merito alle prestazioni sanitarie, scolastiche, oltre che sociali. Nelle prime due fattispecie grava sui soggetti l'onere di dimostrare alle pubbliche amministrazioni competenti il possesso dei requisiti minimi per usufruire dei benefici sociali, quali i già menzionati alloggi, quindi la residenza, e redditi minimi per il sostentamento. Nel caso di protezione internazionale, la Direttiva n° 95/2011 dispone che gli Stati provvedano affinché i soggetti beneficiari di tale status ricevano un'adeguata assistenza sociale al pari dei cittadini dello Stato membro, in quanto è stata loro riconosciuta una condizione di vulnerabilità al quale deve far fronte il sistema nazionale.