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multiculturalismo. - 3. L'integrazione degli stranieri.

1. Verso il multiculturalismo

Con il termine “multiculturalismo”, diffusosi in Occidente negli anni Sessanta, si va ad indicare il rispetto, la tolleranza e la difesa delle minoranze culturali. È diventato con il tempo un'ideologia politica che si propone di affrontare l'idea di una cittadinanza inclusiva nei confronti di culture diverse50. Questa necessità di

qualificare la diversità tra diverse culture è stata avvertita già a partire dagli anni Cinquanta nel mondo occidentale, in risposta al boom economico, ma non solo, la causa principale diventa ben presto quella di conoscere come culture diverse possano dividere e condividere idee e spazi comuni.

Ad oggi, lo si può intendere come il portato della globalizzazione e delle crescenti migrazioni a livello internazionale, producendo una società caratterizzata da una crescente pluralizzazione di tutte le culture.

L'idea di multiculturalismo, così come la si intende oggi, ha origini sicuramente non recenti e parte dall'idea di riconoscere ed accettare che esistono delle diversità, prima in termini sociali e poi, di conseguenza, nell'ambito giuridico e politico. In questo senso, diviene importante sottolineare l'aspetto del riconoscimento dell'altro e prima ancora di se stessi, come analizzato nell'opera “Multiculturalismo. La politica del riconoscimento”, da Charles Taylor. L'autore, infatti, analizza la politica contemporanea ripartendo dalla necessità di riportare al centro il bisogno o la domanda del riconoscimento, elemento naturale per la caratterizzazione di

un'identità, in quanto è a partire dal riconoscimento di se stesso o da parte di altre persone che l'essere umano concepisce l'appartenenza ad una comunità.

Per Taylor, infatti: “un riconoscimento adeguato non è soltanto una cortesia che dobbiamo ai nostri simili: è un bisogno umano vitale”51. Il passaggio ad un vero e

proprio riconoscimento così inteso, nel Novecento si è tradotto nel rispetto del concetto di dignità, in senso universalistico ed ugualitario, divenuto importante non solo nella sfera intima dell'essere umano, ma anche nella sfera pubblica, in cui la politica dell'uguale riconoscimento ricopre un ruolo decisivo nell'affermazione delle Costituzioni democratiche, perché si sostanzia nell'uguale dignità di tutti i cittadini e nell'uguaglianza nel godimento dei diritti. Nel lavoro dello stesso autore, alla politica dell'affermazione di pari dignità fa immediatamente seguito la politica della differenza, ove si affermano le naturali differenze che intercorrono tra diversi individui o diversi gruppi, in cui si ritrovano numerose denunce di discriminazioni. In questo modo si garantisce la dignità di ogni individuo e di conseguenza la possibilità di ricorrere a politiche che incidano direttamente su tali diversità. Sostanzialmente, si palesa l'idea secondo la quale è proprio con il riconoscimento e l'affermazione delle differenze che si rende possibile l'attuazione di politiche che garantiscano uguaglianza verso tutti i soggetti.

La base di questo tipo di riconoscimento porta con sé anche l'idea di dover generare un dialogo con altri soggetti, per avere consapevolezza di sé, dei propri diritti e dei propri doveri.

La società odierna porta alla necessità di generare delle interdipendenze con gli altri soggetti e, quindi, con altre culture. Questo riflette la necessità di aprire un “dialogo multiculturale” che per non restare astratto deve concretizzarsi in regole normative, che mettano tutti i soggetti nelle pari condizioni di potersi esprimere e di esprimere le loro necessità. Infine, nel quadro degli scambi multiculturali, internazionali e globali, le norme del rispetto universale e della reciprocità egualitaria costituiscono principi guida all'azione52. I limiti del rispetto universale sono sempre saggiati dalle

differenze che esistono tra gli individui e la reciprocità egualitaria non sarà

51 C. Taylor, Multiculturalismo. La politica del riconoscimento. Milano, Edizioni Anabasi,1993. Cit. pag. 43 52 S. Benhabib, La rivendicazione dell'identità culturale. Eguaglianza e diversità nell'era globale. Bologna,

probabilmente mai realizzata in una comunità mondiale in cui Stati e popoli vivono in condizioni di diverso sviluppo tecnologico, economico e militare e siano soggetti a restrizioni e strutture sociali, storiche e culturali diverse.

In ogni contesto sociale e giuridico, però, tutti gli esseri umani possono legittimamente esigere che vengano loro riconosciuti determinati diritti fondamentali (almeno diritto alla vita, alla libertà, alla sicurezza, all'equo processo davanti alla legge e alla libertà di parola e associazione). Molti aggiungono anche i diritti socioeconomici (diritto al lavoro, assistenza sanitaria, sussidi di anzianità e invalidità) sino ai diritti politici e culturali53.

Per Benhabib la democrazia è da intendere come un modello di organizzazione dell'esercizio collettivo e pubblico del potere nelle istituzioni fondamentali di una società, sulla base del principio secondo cui le decisioni sul benessere di una collettività costituiscono l'esito di una procedura di deliberazione, libera e ragionata, tra individui considerati eguali sul piano morale e politico. La sua concezione di democrazia si basa sul modello deliberativo, per cui il fondamento normativo della democrazia come forma di organizzazione della vita collettiva non sta nella sola prosperità economica né nel senso di identità collettiva, poiché come il raggiungimento di un elevato benessere economico può essere raggiunto anche da governi autoritari, così anche i regimi antidemocratici possono riuscire meglio di quelli democratici a garantire un senso di identità collettiva.

Il fondamento della legittimità democratica va ricondotto all'assunto secondo cui le istituzioni che rivendicano il potere vincolante lo fanno in quanto le loro decisioni rappresentano allo stesso modo il punto di vista degli interessi di tutti. Questo assunto può trovare compimento solo dove le decisioni siano per principio aperte ad appropriati processi di deliberazione pubblica da parte di tutti i cittadini liberi ed eguali54.

Il modello deliberativo secondo Seyla Benhabib, mette in relazione due aspetti fondamentali. Da una parte si prende in considerazione le istituzioni consolidate all'interno del sistema, da quello legislativo a quello giudiziario, dall'altra si pone l'attenzione sulla sfera pubblica democratica, che attira l'attenzione sulle attività e le

53 S. Benhabib, op. cit., pag. 50 54 S. Benhabib, op. cit. pag. 145-146

lotte politiche di movimenti sociali, associazioni e gruppi nella società civile ed è in questo contesto che trova il suo fondamento anche la lotta multiculturale.

L'assunto alla base è che il rilievo dato alla risoluzione dei dilemmi multiculturali attraverso processi di affermazione della volontà popolare sia compatibile con tre condizioni normative:

– reciprocità egualitaria: i membri delle minoranze culturali, religiose, linguistiche e di altro tipo non devono, sulla base della loro condizione di appartenenza, beneficiare di diritti civili, politici, economici e culturali a un grado inferiore rispetto ai membri della maggioranza;

– autoascrizione volontaria, un individuo non deve venire automaticamente ascritto a un gruppo culturale, religioso o linguistico sulla base della propria origine. È necessario che l'appartenenza di un individuo a un gruppo consenta la forma più ampia di autoascrizione e autoidentificazione. Nei casi in cui l'autoidentificazione fosse controversa, lo stato non dovrebbe tuttavia limitarsi ad accordare al gruppo il diritto di stabilire e disciplinare l'appartenenza a spese dell'individuo. È auspicabile che agli individui, a un certo punto della loro vita adulta, venga chiesto se accettano di mantenere l'appartenenza alle proprie comunità di origine;

– libertà di uscita e associazione, la libertà dell'individuo di uscire da un gruppo deve essere libera, sebbene possa comportare la limitazione di privilegi formali o informali, come l'esclusione sociale o la perdita di determinati diritti55.

Nel complesso, gli assetti istituzionali dovrebbero contemperare le rivendicazioni individuali di autonomia da parte dei partecipanti, visti come esseri culturali in grado di definire se stessi, e rispettare le rivendicazioni di autonomia da parte di gruppi che vogliono avvalersi dei propri diritti di autodeterminazione.

La tensione costitutiva tra diritti umani e rivendicazione di autodeterminazione è fondamentale per le democrazie liberali che vogliano restare tali.

Dato il crescere spedito della globalizzazione e della frammentazione, i diritti umani e le rivendicazioni di sovranità vengono oggi a trovarsi sempre più in conflitto gli

uni con le altre (Heiberg 1994)56. Da una parte cresce su scala globale la coscienza

dei principi universali dei diritti umani, dall'altra identità particolaristiche nazionali, etniche, religiose e razziali sono rivendicate con sempre maggior forza; conflitti generati appunto dal ruolo assunto dalla globalizzazione.

Le rivendicazioni di cittadinanza e naturalizzazione di forestieri e stranieri naturalizzati entro i confini di una società, come pure le leggi e le norme che ne governano le procedure rappresentano delle linee di demarcazione entro le quali analizzare il complesso stato dei diritti umani. I diritti umani trascendono i diritti dei cittadini e si estendono a tutte le persone come esseri morali.

Nei dibattiti contemporanei su tali questioni prevalgono due approcci: l'argomento universalista radicale a favore delle aperture delle frontiere e la prospettiva civico- repubblicana delle “concezioni compatte della cittadinanza”. La seconda concezione mette a punto dei criteri di integrazione e cittadinanza più rigidi rispetto alla prima, accettando solo coloro che rispondono a delle esigenze di similitudine con i cittadini dello stato che accoglie.

Questa è una delle sfide del multiculturalismo, in seno all'integrazione, in particolare nel Novecento, in cui si è avuto un vero e proprio “restringimento” del mondo57. Questo avviene per l'effetto di nuove tecnologie e nuove scoperte che

avvicinano i popoli, oltreché per il massiccio aumento delle nascite che hanno popolato gran parte del Pianeta. In questo mondo, tutti iniziano a partecipare alla vita politica e sociale della propria nazione, realizzando un “salto qualitativo”: si viene a creare un nuovo tipo di società, non più basata solo sulle decisioni delle classi borghesi. La comunicabilità istantanea creata nel Novecento non permette solo un più veloce spostamento di merci e notizie, ma ha anche un risvolto psicologico. In questo senso, gli esseri umani tendono ad avvicinarsi cercando nell'altro qualcosa che glielo renda simile.

Questi fenomeni creano, all'interno dei territori nazionali, la creazione di minoranze, siano esse linguistiche o culturali, che negli ultimi anni del XX secolo hanno iniziato a richiedere non solo più l'uguaglianza davanti alla legge, ma il riconoscimento e il rispetto della loro diversità, innescando così il fenomeno del

56 S. Benhabib, op. cit. pag. 197

multiculturalismo e di conseguenza la ricerca di strumenti che mirino a garantire i diritti di tutti i cittadini, nelle loro diversità, e allo stesso tempo mantenere la compattezza dell'entità politica.

Il “problema” del multiculturalismo e dell'integrazione delle minoranze, dovrebbe anzitutto essere interpretata in ottica non solo più nazionale, ma con approccio globale, in primo luogo per ciò che attiene all'affermazione dei diritti inviolabili. Ciò che avviene nelle riunioni e nelle conferenze delle Nazioni Unite per discutere il problema dei diritti umani ne fornisce una prova. Molto presto, infatti, in queste occasioni il dibattito e il dialogo lascia il posto quanto meno ad incomprensioni, o a scontri ed offese, per cui i documenti che vengono poi emanati non sono altro che documenti con contenuti generici o con “raccomandazioni” al massimo. All'origine vi sono certamente delle divergenze politiche, è fin troppo evidente che sollevando il problema dei diritti inviolabili, i governi occidentali, primo tra tutti quello americano, spesso cercano di mettere in difficoltà i loro interlocutori per poi negoziare, partendo da una posizione di superiorità, su una serie di temi concreti. È altrettanto certo che i leader dei paesi del Terzo e del Quarto mondo parlano spesso, sui diritti umani, di “imperialismo dei diritti umani”58, ovvero tema strumentalizzato

dai governi del Primo mondo per mantenere in vita un'esigenza globale, sottraendosi così al confronto con chi negozia da condizioni superiori. Tutto però non si riduce solo ai confronti sugli interessi economici in gioco. Vi sono due linee di pensiero, la prima con mentalità “individualista” e la seconda di natura “collettivista”. La prima è quella che anteponendo l'individuo alla collettività ha come punto di riferimento sviluppo e creatività personali, l'autonomia, l'autenticità e di conseguenza la libertà. La seconda categoria, anteponendo, invece, la collettività al singolo individuo ha come punto di riferimento il rispetto alla tradizione, la deferenza alla gerarchia e quindi “l'agire appropriato”.

Le differenze alla base di tali teorie si legano anche ad aspetti più concreti. Di fatti, non può sorprendere che uno dei temi maggiormente discussi nel mondo occidentale e nel resto del mondo sia quello della priorità dei diritti individuali sull'obiettivo di un accelerato sviluppo economico o viceversa, dell'accettabilità o

meno di certi regimi autoritari che, mantenendosi in vita con sistemi chiaramente repressivi, hanno tuttavia fatto compiere ai loro Paesi sostanziali passi avanti sulla strada del benessere collettivo.

La strada che si tenta di percorrere, quindi, è una nuova apertura nei confronti delle culture in ottica della consapevolezza della diversità culturale di cui il mondo attuale è intriso e della necessità di norme atte all'integrazione delle stesse.