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Diritti politici degli stranieri

CAPITOLO I: I DIRITTI FONDAMENTALI DEGLI STRANIERI

4. Diritti politici degli stranieri

I diritti politici degli stranieri costituiscono un tema sul quale gli stati sono meno disposti a trattare per il forte ancoraggio con la cittadinanza. Concedere diritti politici allo straniero come il diritto di voto, costituisce delle resistenze rispetto a quello di riconoscere un diritto sociale come ad esempio l’assistenza sanitaria. Basti pensare che la stessa CEDU al suo art. 1644 il quale prevede le restrizioni all’ attività politica degli stranieri, ossia prevede che i diritti di libertà di espressione, di riunione, di associazione, di associazione sindacale sono diritti che trovano ospitalità nel testo ma il cui riconoscimento non vieta agli stati aderenti di limitare l’attività politica degli stranieri. Perciò in tali ambiti gli stati possono esercitare una discrezionalità legislativa nazionale. I diritti politici, la partecipazione degli stranieri alla vita politica è uno dei casi emblematici in quanto costituirebbe uno dei più formidabili momenti sul quale fondare l’integrazione. La

44 “Nessuna delle disposizioni degli articoli 10, 11 e 14 può essere interpretata nel

senso di proibire alle Alte Parti contraenti di imporre restrizioni all’attività politica degli stranieri”.

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partecipazione degli stranieri alla vita politica costituisce oggi un dibattito molto forte in tutta Europa. La discussione è sempre legato alla dimensione locale delle elezioni, quasi come se le elezioni politiche nazionali costituissero un tabù. A livello europeo, laddove c’è il riconoscimento del diritto di voto agli stranieri si tratta sempre di riconoscimento locale, si pensi ad esempio ai Paesi Bassi, alle realtà scandinave; mentre il diritto di voto agli stranieri regolari si prevede al livello nazionale solo a certe condizioni agli immigrati provenienti dalle ex colonie nel Regno Unito.

Quanto ai riferimenti normativi a livello sovranazionale, l’Italia ha ratificato la Convenzione di Strasburgo del 199245 ossia la Convenzione riguardante la partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale. È un documento sottoscritto da un certo numero di Stati ma ratificato da un numero minore, perciò sono diminuite le ratifiche di fronte alla vera attuazione. L’Italia lo ha ratificato nel 1994, questo ha comportato l’impegno di riconoscere agli stranieri extracomunitari regolarmente residenti sul territorio nazionale, alle stesse condizioni previste per i cittadini, una serie di diritti civili e politici. In Particolare con la ratifica del capitolo A, le parti si impegnano a riconoscere agli stranieri le libertà strumentali ai diritti politici: la libertà di espressione, di riunione, di associazione e dunque si tratta di riconoscere una serie di diritti civili che costituiscono il preludio a un esercizio e ad una partecipazione politica consapevole.

Trasferendoci a livello comunitario, non esistono specifiche disposizioni nei trattati per quanto concerne l’estensione del suffragio agli stranieri all’interno dei Paesi dell’Unione europea per i cittadini dei Paesi terzi. Per quanto concerne l’estensione del diritto di

45 La Convenzione di Strasburgo è stata adottata dal Consiglio d'Europa il 5 febbraio

1992. Entrata in vigore il 1º maggio 1997, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 8 marzo 1994, n. 203 limitatamente ai capitoli A e B.

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elettorato attivo e passivo per i cittadini dell’Unione europea le cose cambiano, in quanto tra le varie conseguenze del trattato di Maastricht46, vi fu l’estensione del diritto di elettorato attivo e passivo solo per i cittadini dell’Unione europea e che risiedono stabilmente in un altro stato membro dell’unione diverso da quello della loro cittadinanza, i quali possono votare e candidarsi, perciò elettorato attivo e passivo sia per le elezioni per il Parlamento europeo, sia per le elezioni di carattere locale. Per le elezioni locali, il diritto di elettorato passivo incontra alcune limitazioni: non è concesso candidarsi ad esempio né come sindaco né come vicesindaco ma concorrono solo alla carica di consigliere, ma al di là di tali limiti per quanto concerne l’elettorato passivo, i diritti politici per i cittadini dell’Unione europea trovano una notevolissima applicazione. La Convenzione di Strasburgo del 1992, prevede obblighi internazionali per il legislatore di adeguare la disciplina interna ossia l’art. 117 primo comma della Costituzione47. L’Italia oltre a ratificare il capitolo A della Convenzione, ha anche ratificato il capitolo B il quale impegna i Paesi aderenti a consentire la creazione di organi consultivi nelle collettività locali. Organi consultivi aperti al maggior numero possibile di stranieri i quali devono avere la possibilità di far sentire la propria voce alle istituzioni politiche locali quando si tratti di decidere questioni che attengono a quelle comunità. Sembra che ci sia una partecipazione a livello locale, sembrerebbe che ci sia un avvicinamento al diritto di voto, ma l’Italia non ha ratificato il capitolo C della Convenzione ossia quello che impone alle parti di concedere agli stranieri extracomunitari regolarmente residenti nel territorio nazionale, il diritto di elettorato attivo e passivo nelle elezioni locali. Dunque l’Italia ha posto in essere una ratifica solo parziale, in quanto

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Il trattato di Maastricht è stato firmato il 7 febbraio 1992 a Maastricht (Paesi Bassi).

47 “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della

Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.

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ha sostenuto che l’eventuale ratifica di quel capitolo C avrebbe dovuto comportare la modifica di norme di carattere costituzionale. E quindi in virtù del fatto che un Paese non può essere costretto a modificare la propria Costituzione per un obbligo internazionale, l’Italia ha fatto valere tale circostanza.

Andando ad analizzare il Testo Unico sull’immigrazione48, vediamo che all’art. 9 comma 12 lett. D49

prevede la possibilità di partecipare alla vita pubblica locale nei limiti previsti dalla legge, ossia si prevede per i cittadini stranieri extracomunitari, regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale e titolari di carta di soggiorno la possibilità di partecipare alla vita pubblica e locale esercitando il diritto all’elettorato quando previso dall’ordinamento. La dottrina prevalente ritiene che le disposizioni costituzionali attualmente vigenti non consentirebbero di estendere i diritti propriamente politici agli stranieri, se non modificando la Costituzione. Attualmente giacciono in parlamento diverse proposte di modifiche costituzionali per estendere i diritti politici agli stranieri extracomunitari regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale sempre per quanto concerne le elezioni locali. Gran parte del dibattito in tema di elettorato attivo e passivo si è concentrato solo a livello locale e questo sia in Italia che all’estero. Riportando degli esempi concreti verificatisi in Italia, il comune di Genova, nel luglio del 2004, emanò una delibera con la quale modificò il proprio statuto prevedendo che per le elezioni comunali e circoscrizionali venissero assegnati il diritto di elettorato attivo e passivo ai cittadini stranieri extracomunitari regolarmente soggiornanti; successivamente, nel 2005, anche altri comuni, come quelli di Ancona e Torino emanarono delibere analoghe a quelle del

48 Decreto legislativo n. 286 del 25 luglio 1998, testo unico delle disposizioni

concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

49 Oltre a quanto previsto per lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio

dello stato, il titolare del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo può: lettera d) partecipare alla vita pubblica locale, con le forme e nei limiti previsti dalla vigente normativa.

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comune di Genova. Il governo in carica dell’epoca però, in virtù dell’articolo 13850

del Testo Unico degli enti locali, decreto legislativo 18 agosto n. 267 dell’anno 200 che prevede l’annullamento straordinario, ha annullato nell’immediato quelle delibere anche in virtù del parere favorevole del consiglio di stato.

Il discorso è molto diverso per quanto concerne l’attribuzione del diritto di voto da parte di alcune regioni a favore dei cittadini stranieri immigrati regolarmente residenti nel territorio della regione, ma solo in riferimento ai referendum consultivi di cui all’art. 123 primo comma della Costituzione51. Si tratta di referendum di consultazione a livello regionale sull’assunzione di provvedimenti di carattere amministrativo e che hanno una ricaduta territorialmente circoscritta, perciò non si tratta delle elezioni regionali ma di consultazioni, di referendum consultivi. La Corte costituzionale nella la sentenza n. 379 dell’anno 2004, afferma che dato il carattere puramente consultivo di tali referendum, e dunque tale scelta da parte di alcune regioni è pienamente conforme ai principi delineati dalla nostra Costituzione. La Corte dice che nell’area delle possibili determinazioni delle regioni è pienamente compatibile la scelta di coinvolgere in altre forme di partecipazione soggetti che prendono parte consapevolmente alla vita pubblica e locale anche se non hanno il diritto di voto e non possiedono la cittadinanza italiana, l’elemento rilevante è valorizzare il requisito della residenza stabile e regolare. Un'altra sentenza importante della Corte da richiamare è la n. 372 del 2004, sentenza

50 “In applicazione dell'articolo 2, comma 3, lettera p), della legge 23 agosto 1988, n.

400, il Governo, a tutela dell’unità dell'ordinamento, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'interno, ha facoltà, in qualunque tempo, di annullare, d'ufficio o su denunzia, sentito il Consiglio di Stato, gli atti degli enti locali viziati da illegittimità”.

51 “Ciascuna Regione ha uno statuto che, in armonia con la Costituzione, ne

determina la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento. Lo statuto regola l'esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali”.

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storica, la quale ha riportato l’attenzione su un dibattito antico, ossia quanto concerne le norme programmatiche che nei primi anni di vigenza della Costituzione animò lo scenario dottrinale italiano. Il centro del dibattito era concentrato sul fatto che ci si chiedeva se alcune norme della Costituzione avessero un carattere precettivo oppure puramente programmatico, e dunque se fossero immediatamente vincolanti per i destinatari o se invece per il legislatore tracciassero una parabola di lunga durata e si imponeva semplicemente un’attenzione verso quegli orizzonti. Questa pronuncia ha in un certo senso rispolverato quel dibattito. Siamo negli anni 2002-2003 quando le regioni a statuto ordinario hanno dovuto riscrivere i propri statuti regionali per adeguarli al nuovo Titolo V della riforma costituzionale del 2001. Tale riforma imponeva alle regioni di adattare, adeguare i loro statuti ormai risalenti agli anni’70 e ’80. In quel periodo i legislatori regionali si sono sentiti come dei veri e propri costituenti atteggiandosi come assemblee costituenti seppur in scala ridotta, ad esempio la regione Toscana nel suo proprio Statuto aveva stabilito che la regione si occupava di promuovere l’estensione dei diritti di voto per i cittadini immigrati. La regione Toscana quindi tra le sue finalità poneva anche la promozione del diritto di voto agli immigrati; questo atteggiamento è stato visto come un’opera di persuasione da parte degli organi regionali da riflettere su scala nazionale. Il governo aveva impugnato proprio quelle norme dello Statuto toscano, sostenendo che quelle norme andassero oltre le competenze stabilite alle regioni; la Corte però con sentenza n. 372 del 2004, afferma che esse sono norme che non hanno alcun vincolo, che non hanno alcuna percettività immediata, sono norme di portata culturale, ossia sono previsioni che tracciano sì per il legislatore regionale un orizzonte ma di tipo programmatico senza sostanziali ricadute di effettività.

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