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Salute psichica dei profughi: cosa sta accadendo?

CAPITOLO II: DIRITTO ALLA SALUTE DEGLI STRANIER

8. Salute psichica dei profughi: cosa sta accadendo?

Gli ultimi anni, pur in assenza di dati ufficiali, sembrano indicare un cambiamento socio-demografico non trascurabile tra i profughi in arrivo nel nostro Paese, cominciato nel biennio 2011-2012 con l’Emergenza Nord Africa e proseguito, poi, nel 2013-2014, con l’operazione “Mare Nostrum”, fino ai nuovi approdi registrati ancora oggi. Chi opera nel settore ha visto crescere il numero di assistiti con basso livello di istruzione, spesso analfabeti, e con storie, dal punto di vista della salute psichica, legate non solo alla psicotraumatologia, ma anche alle condizioni di emarginazione sociale preesistenti alla migrazione. In questo stesso periodo, si è potuto osservare, a livello nazionale, un aumento rilevante dei ricoveri presso i Servizi psichiatrici di pazienti stranieri provenienti da Paesi a forte pressione migratoria dato questo che lascia ipotizzare un impatto della nuova situazione socio-demografica sulla salute psichica dei richiedenti asilo. L’analisi delle Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO) relative agli stranieri maggiorenni evidenzia, a partire dal 2010, un netto incremento dei ricoveri (Ricoveri Ordinari e Day Hospital) di stranieri affetti da disturbi psichici con un andamento che, soprattutto per gli uomini, si mantiene positivo anche negli anni recenti. In particolare, i ricoveri, che nel 2008 erano stati 2.953 tra gli uomini e 3.667 tra le donne, passano, nel 2010, a 4.013 e 4.557, rispettivamente. Nel 2015, il numero dei ricoveri tra gli uomini stranieri arriva a superare in valore assoluto quello delle donne: 4.880 vs 4.720. Benché il cambiamento demografico dei richiedenti asilo negli ultimi cinque anni non sia attualmente documentabile con dati statistici attendibili, né per quanto riguarda i livelli di scolarizzazione, né per altri aspetti potenzialmente condizionanti la salute mentale, i dati sui ricoveri psichiatrici sembrano offrire una conferma in tal senso, mostrando per gli stranieri uomini un trend in aumento. Peraltro, il flusso dei profughi in arrivo nel nostro Paese si è fortemente connotato al

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maschile e questo spiegherebbe il perché di un aumento evidenziato solo tra gli uomini. Occorre poi ricordare che la presente analisi179 è stata condotta sulla generalità dei ricoveri della popolazione straniera e non ha riguardato, in modo specifico, i richiedenti protezione internazionale. È da considerare, inoltre, la possibilità che l’arrivo in tempi brevi (e con una distribuzione di presenza su tutto il territorio nazionale) di alcune centinaia di migliaia di persone che non conoscono la nostra lingua, e con le quali esiste un’oggettiva difficoltà comunicativa, possa favorire una sovradiagnosi di psicopatologia. In altre parole, di fronte ad atteggiamenti e comportamenti non culturalmente decodificabili, a una spiccata fragilità sociale e a una formazione degli operatori che potrebbe non essere diffusa e uniforme (in particolare sulla psicotraumatologia), è possibile che si siano verificati ricorsi impropri al ricovero ospedaliero in ambito psichiatrico. Il sospetto che i cambiamenti in atto possano giocare un ruolo importante appare, dunque, giustificato. I dati indicano, in ogni caso, una situazione su cui porre attenzione e suggeriscono la necessità di studi più approfonditi per comprendere le complesse dinamiche di salute operanti nella popolazione immigrata.

179 Rapporto Osservasalute 2016, Salute della popolazione straniera, di dott. M.

Manzetti, S. Geraci, dott.ssa A. Burgio e dott. G. Baglio. consultabile sul sito osservatoriosullasalute.it

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Conclusioni

La legislazione ialiana sull’immigrazione è piuttosto recente: il primo intervento normativo è la legge n. 943 del 1986 era infatti diretta a disciplinare il trattamento dei lavoratori immigrati extracomunitari e inoltre ha previsto alcune misure per contrastare l’immigrazione clandestina. La successiva legge, n. 39 del 1990, nota come legge “Martelli” e altre discipline di quell’ epoca erano disorganiche ed erano improntate sempre ad una logica di tipo emergenziale; tali normative vennero superate grazie alla legge n.40 del 1998, la c.d. “Turco-Napolitano”, legge che ha preso i nomi degli allora Ministri della Solidarietà sociale, Livia Turco e del Ministro dell’interno Giorgio Napolitano. Questa serie di leggi, attraverso anche la necessaria opera di coordinamento, in particolare con le disposizioni del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza, (il regio decreto n.773 del 1931), confluirono nel decreto legislativo n.286 del 25 luglio del 1998 ossia il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione giuridica dello straniero, il quale ha rappresentato il primo tentativo di dettare una disciplina organica del fenomeno dell’immigrazione extracomunitaria. Il Testo Unico dell’immigrazione è frutto della ottemperanza da parte del potere esecutivo, della delega prevista all'articolo 47 comma 1 della legge 40 del 1998, (legge “Turco-Napolitano”) il quale ha emanato il decreto legislativo n. 286 del 1998. La successiva legislazione ha tentato di attaccare alcuni principi ispiratori della disciplina del testo unico sull’immigrazione, si pensi ad esempio alla legge n.189 del 2002, la c.d. “Bossi-Fini”, la quale ha avuto un approccio al fenomeno migratorio esclusivamente di tipo lavoristico; e successivamente i c.d. “pacchetti sicurezza” rispettivamente dell’anno 2008 e 2009 i quali hanno fronteggiato l’immigrazione solo dal punto di vista della sicurezza e dell’ordine pubblico, rendendo così in molti casi necessario l’intervento della Corte costituzionale: si pensi ad

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esempio alla sentenza n.249 del 2010 la quale ha annullato la c.d. “aggravante di clandestinità” che era stata introdotta dal pacchetto sicurezza del 2008. Questo per mostrare come il percorso legislativo italiano è stato caratterizzato inizialmente da una serie di interventi disomogenei e improntati alla difesa della pubblica sicurezza e alla repressione di situazioni d’irregolarità, successivamente si sono avute riforme di più ampio respiro volte al riconoscimento della presenza nel Paese della comunità immigrata, sviluppando a tal fine politiche di accoglienza e d’integrazione dello straniero.

La tutela della salute in Italia delle persone non appartenenti all’Unione europea, anche non in regola con le norme per l’ingresso e il soggiorno, è regolamentata dal decreto legislativo n. 286 del luglio 1998 ossia il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero. I principi e le disposizioni contenuti in questo decreto hanno trovato concretezza applicativa con l’emanazione del Regolamento di attuazione previsto dallo stesso Testo Unico (DPR n. 394 del 31 agosto 1999) e dalla circolare del Ministero della Sanità n. 5 del marzo 2000. Obiettivo di questa impostazione normativa è quello di includere a pieno titolo gli immigrati in condizione di regolarità giuridica, e in maggioranza presenti con permessi di media e lunga durata, nel sistema delle garanzie di tutela sanitaria, a parità di condizioni e di opportunità con il cittadino italiano. Il diritto all’assistenza è stato anche esteso a coloro che sono presenti in Italia in condizione di irregolarità giuridica (siglato come Stranieri Temporaneamente Presenti, STP), cui sono garantite oltre alle cure urgenti anche quelle essenziali e continuative, e i programmi di medicina preventiva. E tuttavia, in ragione del ruolo crescente assunto dalle amministrazioni locali in materia di salute e assistenza sanitaria, l’impostazione inclusiva data dal legislatore ha dovuto misurarsi con le differenti interpretazioni normative a livello locale e con la discrezionalità da parte delle Regioni

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nell’implementare e rendere operative le politiche sociali e sanitarie definite per gli stranieri a livello centrale. Nell’intento di superare la marcata eterogeneità applicativa, è stato sottoscritto in data 20 dicembre 2012 l’Accordo Stato-Regioni e Province Autonome recante “Indicazioni per la corretta applicazione della normativa per l’assistenza sanitaria alla popolazione straniera da parte delle Regioni e Province Autonome”.

Come si può chiaramente evincere in tema di accesso alle prestazioni sanitarie del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), il legislatore ha previsto un regime differenziato tra stranieri regolarmente soggiornanti e stranieri non in regola con le norme relative all’ingresso ed al soggiorno. I primi infatti, nella misura e per il lasso di tempo in cui dispongano di un valido titolo di soggiorno o siano in attesa del suo rinnovo, sono tendenzialmente equiparati, nei rapporti con il sistema sanitario pubblico, ai cittadini italiani. Per i secondi invece la tutela è ridimensionata e ovviamente compromessa dalla posizione giuridica non regolare.

Quanto ai richiedenti di protezione internazionale, devono essere obbligatoriamente iscritti al Servizio sanitario nazionale (SSN) anche durante il periodo in cui sono in attesa del permesso di soggiorno. Nonostante ciò, persistono a tutt’oggi delle difficoltà nell’iscrizione al SSN legate, ad esempio, al rilascio del codice fiscale. Il legislatore ha previsto (all’art. 21 del Decreto Legislativo n. 142 del 18 agosto 2015) che i richiedenti possano essere comunque assistiti attraverso l’utilizzo del codice STP. Tale modalità, se non evitabile attraverso opportuni accordi tra le diverse amministrazioni, dovrebbe essere in ogni caso utilizzata per un periodo limitato, in quanto il livello di tutela sanitaria assicurato dal codice STP è inferiore a quanto garantito agli iscritti al SSN.

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Peraltro, l’Agenzia delle Entrate ha emanato di recente una “Comunicazione di servizio” (n. 8 del 26 luglio 2016) che stabilisce la possibilità di rilascio di un codice fiscale provvisorio da parte della Questura/Polizia di frontiera, già al momento della verbalizzazione della richiesta di protezione internazionale proprio al fine di consentire l’iscrizione al SSN. Coloro che ricevono una qualsiasi forma di protezione (permesso di soggiorno come rifugiato, protezione sussidiaria, motivi umanitari) sono anch’essi iscritti obbligatoriamente al SSN per tutta la durata del loro permesso di soggiorno e nelle more del periodo di rinnovo del permesso stesso. L’iscrizione obbligatoria è estesa anche ai familiari regolarmente presenti e a carico.

Nel Mediterraneo attualmente agiscono, sotto il coordinamento della Guardia Costiera, numerose unità navali che prestano soccorso alle imbarcazioni di migranti in difficoltà e accolgono questi ultimi a bordo. Tale modalità di intervento (consolidatasi in Italia a partire da ottobre 2013, con l’inizio della missione “Mare Nostrum”) trova il suo fondamento etico-giuridico nella Convenzione internazionale di Amburgo sulla ricerca e il salvataggio in mare, del 27 aprile 1979, che obbliga gli Stati aderenti, tra cui l’Italia, ad assicurare assistenza a chiunque si trovi in difficoltà, indipendentemente dalla nazionalità e da qualsiasi altra condizione personale, e a provvedere alle cure mediche primarie unitamente ad altri bisogni di tipo materiale, fino alla consegna in un luogo sicuro.

Secondo quanto previsto sia dalla Costituzione italiana, art. 10, comma 3: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”; sia dal diritto internazionale. L’art. 33 della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati (1951), infatti, ribadisce che “Nessuno Stato Contraente espellerà o

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respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita e la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza…” (principio di non refoulement).

Infine l’art. 32 della Costituzione italiana ribadisce la centralità della tutela della salute per ogni individuo presente nel nostro Paese, come diritto fondamentale della persona e non solo del cittadino, oltreché interesse della collettività. Tale ultimo riferimento introduce la dimensione della sanità pubblica e la conseguente necessità (in particolare nel caso dell’arrivo di un numero rilevante di persone sul territorio nazionale) di individuare precocemente eventuali patologie trasmissibili e adottare, oltre alle misure di salvaguardia della salute individuale, anche le opportune attività di sorveglianza richieste dal Regolamento sanitario internazionale. Tuttavia in base ai dati forniti dal Ministero della salute i profughi non sono portatori di malattie infettive che possono mettere a rischio la salute della collettività. Anzi secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) i migranti che arrivano hanno patologie dell’apparato cardiocircolatorio, mentale o legate allo stato di gravidanza, ma per lo più sono ferite dovute a incidenti. Quello di cui certamente soffrono i migranti sono le “ferite invisibili” dovute alla loro provenienza da zone di guerra e dal viaggio, al quanto terrificante, che affrontano.

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